Particolare tenuità del fatto e reato continuato

Ancora sulla tenuità del fatto. Compatibilità con il reato continuato. Nota a Cassazione penale, Sez. III, Sentenza n. 29897 del 13.7.2015

- di Avv. Francesca Fioretti
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Particolare tenuità del fatto e reato continuato

La riforma che ha introdotto nel nostro ordinamento la nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto – che può tranquillamente definirsi “storica”, sia per la portata innovativa dell’istituto, sia per le fondamentali ricadute applicative sui processi in corso – ha sollevato una serie di questioni giuridiche che gli interpreti saranno di volta in volta chiamati a risolvere, quantomeno per la prima fase di applicazione dell’istituto.

Uno degli interrogativi concerne la compatibilità della causa di esclusione della punibilità con la fattispecie del reato continuato.

Chiarita la natura sostanziale del nuovo art. 131-bis c.p.1 e la conseguente applicabilità dell’istituto anche ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, per il principio di retroattività della lex mitior, la Cassazione ha ritenuto che la questione sia proponibile anche nel giudizio di legittimità, trattandosi di circostanza che, ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p., non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi in merito alla punibilità in concreto dell’imputato per il reato di cui all’art. 349 c.p., ovvero la violazione di sigilli.

Preliminarmente il Collegio analizza la questione sulla base delle linee guida già espresse dalla Corte nella sentenza n. 15449, rilevando che, non essendovi superamento dei limiti edittali prescritti dalla norma, occorre verificare la particolare tenuità dell’offesa e la contestuale non abitualità del comportamento. A tale proposito il giudice di legittimità dovrà attenersi a quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza nella motivazione del provvedimento impugnato “di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando la, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale”.

Rifacendosi alla lettera della legge e ai principi espressi nella relazione illustrativa del D. Lgs. 28/2015, la Corte pone l’accento sulla distinzione tra la “non abitualità del comportamento” e la sua “occasionalità”, utilizzata dal legislatore nella normativa sul processo innanzi al Giudice di Pace, che consente una diversa connotazione dell’azione dell’autore del reato. Se è vero, dunque, che la presenza di un singolo precedente giudiziario non è di per sé idonea ad impedire l’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto, in presenza degli altri requisiti, va, altresì, considerato che il legislatore pone dei limiti precisi nel definire “positivamente” le condotte qualificabili come abituali.

La dichiarazione di abitualità, professionalità a delinquere o della delinquenza per tendenza, costituiscono condizioni specifiche di pericolosità criminale che presuppongono un preventivo accertamento giudiziale.

Vi sono altre ipotesi, tuttavia, che non presuppongono tale accertamento e sono riferite al soggetto che abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

In tali casi, secondo i Giudici della terza sezione, possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito dello stesso procedimento, così ampliando il numero dei casi in cui il comportamento può definirsi abituale. Di conseguenza, anche i reati (della stessa indole) uniti dal vincolo della continuazione possono essere indice di abitualità del comportamento o, quantomeno, rappresentare un criterio sufficiente a poter escludere la non abitualità del suddetto comportamento.

Le conclusioni cui perviene la Corte, tuttavia, non sono perfettamente in linea con quelle espresse dai vari interpreti all’indomani dell’entrata in vigore della norma.

In particolare, la tesi per la quale la contestazione del reato continuato impedisce l’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto, pur rinvenendosi di massima anche nelle linee guida emanate dalla maggior parte delle Procure della Repubblica, è corredata da una serie di specificazioni che inquadrano la questione in maniera ben più problematica rispetto alla soluzione offerta dalla Cassazione.

Si segnala a tal proposito il documento redatto dalla Procura di Palermo2, secondo cui sia nel caso di concorso formale di reati (art., comma 1, c.p.) che di continuazione (art. 81 cpv c.p.) tra due sole fattispecie criminose, residua al giudice un potere di discrezionalità che si sostanzia in un’attenta considerazione anche dell’intervallo di tempo intercorrente tra i due fatti.

Nella giurisprudenza di merito si rinvengono interpretazioni di segno opposto3 che sottolineano come, anche nel caso di continuazione o di concorso formale, residui al giudice un margine di discrezionalità in ordine alla valutazione della particolare tenuità di ogni reato, in ragione del tenore della legge che fa espresso riferimento a ciascun fatto che, se isolatamente considerato, sia di particolare tenuità.

Di notevole interesse sono le questioni interpretative fornite dalla procura di Trento4, secondo cui è piuttosto complesso dare concretezza alle ipotesi di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime e reiterate. Nell’alveo di tali condotte non rientrerebbe il concorso formale di reati, caratterizzato dall’unicità della condotta incriminata. La formula normativa, a parere della Procura trentina, sarebbe affetta da una grave imprecisione tecnica, posto che sembrerebbe accreditare l’ipotesi di applicazione della causa di non punibilità solo nel caso di una lesione prodotta con un unico colpo, mentre alla conclusione opposta dovrebbe pervenirsi in caso di un’aggressione che si sia sostanziata nell’aver inferto alla vittima, nello stesso contesto, una pluralità di colpi. L’esempio fornito, seppur forse estremo, rende l’idea delle incertezze interpretative che ruotano attorno alla norma, in assenza di ulteriori indici illustrativi. Altra questione che potrà porsi è quella della disciplina applicabile nel caso in cui il soggetto sia chiamato a rispondere, nel medesimo procedimento, di più reati, non della stessa indole, di cui solo uno non qualificabile come particolarmente tenue. In tal caso è legittimo chiedersi se il soggetto possa essere dichiarato non punibile solo per uno dei fatti ascritti.

Avv. Francesca Fioretti

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1 Cass. Pen., Sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449; Cass. Pen., Sez. III, Ord. N. 21014 del 20.5.2015.

2 Rinvenibile in dirittopenalecontemporaneo.it del 2 luglio 2015.

3 Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195.

4 dirittopenalecontemporaneo.it del 18 giugno 2015.

 

Di seguito il testo di Corte di Cassazione Penale Sentenza n° 29897 depositata il 28/05/2015:

 

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