Domiciliazione ex lege in cancelleria, un dinosauro sopravvissuto all'estinzione
Domiciliazione ex lege in cancelleria, ai sensi dell'art. 82 del R.D. 37/1934, con l'avvento delle nuove tecnologie si appalesa come un dinosauro sopravvissuto all'estinzione. Cassazione Sentenza n. 9863/2017

L’art. 82, del R.D. n. 37 del 22.01.1934, prevede che gli Avvocati, che esercitano il proprio ufficio in un giudizio, fuori della circoscrizione del Tribunale, al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria, presso la quale la causa è in corso.
In mancanza di tale elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria.
La “ratio” della suddetta normativa era quella di stabilire un collegamento territoriale tra ufficio giudiziario adito ed Avvocato della parte costituita, per un più agevole ed immediato espletamento delle formalità di notificazioni e comunicazioni (Cass. Civ., Sez. Lav., 13587/2009, Trib. di Milano, Sez. X, 10.04.2013, Trib. di Nocera Inferiore, Sez. I, 5.12.2013).
Il legislatore, nel 1934, con l’emanazione del suddetto testo normativo, aveva l’obiettivo di semplificare le notificazioni e comunicazioni tra avvocati, senza gravare la categoria forense e le cancellerie di difficili e lunghe ricerche anagrafiche, per individuare i destinatari di atti giudiziari e delle relative comunicazioni.
La funzione della suddetta norma deve essere, infatti, inquadrata nel contesto storico della sua emanazione, quando, non solo non esisteva internet, la posta elettronica, i social network, gli smartphone, i computers ed in generale, i mezzi di comunicazione del ventunesimo secolo, ma poteva risultare difficile, anche, comunicare telefonicamente tra privati, essendo il telefono in uso da pochi anni e raggiungere, con i mezzi di trasporto del tempo, privati e pubblici, le varie sedi degli uffici giudiziari.
In ordine al citato art. 82 si è posto il problema ermeneutico se fosse applicabile a tutti i giudizi, di primo e secondo grado, che si svolgevano fuori dalla circoscrizione del Tribunale di appartenenza del proprio albo professionale o solo a quelli dinanzi al Tribunale e non a quelli celebrati dinanzi alla Corte di Appello, salvo che si trattasse di procedimento fuori dal distretto del Giudice del gravame.
La giurisprudenza tradizionale riteneva che la norma dovesse essere applicata in ogni caso in cui l’Avvocato fosse incaricato di svolgere la propria attività professionale innanzi ad un Giudice avente sede non compresa nella circoscrizione del Tribunale dove si trova l’ordine professionale di iscrizione e quindi, anche nelle cause dinanzi alle Corti di Appello, ancorché aventi sede nel distretto di appartenenza del legale, affinché la finalità della norma venisse attuata a pieno (Cass. Civ. 976/1976, Cass. Civ. 7899/1987, Cass. Civ. 4502/1996).
La giurisprudenza più recente, invece, disattendeva l’orientamento suddetto ed interpretando la norma letteralmente, riteneva che la stessa si applicasse solo ai giudizi dinanzi al Tribunale e non alle Corti di Appello (Cass. Civ. 13587/2009, Cass. Civ. 11486/2010, Cass. Civ. 19125/2011).
L’art. 82, infatti, menziona: “...gli avvocati i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati....”.
Il contrasto giurisprudenziale, sull’ambito applicativo del citato art. 82, è stato risolto nel 2012 dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (sent. 10143/2012), che sentenziava l’applicabilità della norma “de qua”, anche, ai giudizi dinanzi alle Corti di Appello, in quanto il riferimento topografico alla circoscrizione del Tribunale non è diretto ad individuare il Giudice dinanzi al quale la causa è pendente, ma l’albo professionale di appartenenza, tenuto in base alla circoscrizione di ciascun Tribunale e non al distretto delle Corti di Appello. In tale pronuncia, però, pur ribadendo l’orientamento tradizionale, sopra riportato, era affermato altro importante principio che, a seguito dell’entrata in vigore dell’obbligo per gli Avvocati di indicare, negli atti di parte, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, ex art. 125 del c.p.c., così come modificato dall’art. 25, primo comma, lett. i) n. 1, della L. 183/2011 e dall’art. 2, comma 35 ter lett. a) del D.L. 138/2011, convertito in L. 148/2011, la domiciliazione presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria presso la quale è in corso il giudizio, operava solo se il difensore, fuori distretto, non indicava negli atti, il proprio indirizzo PEC., comunicato all’ordine professionale di appartenenza.
Le Sezioni Unite, dunque, con tale ultima specificazione, senza ritenere abrogata di fatto la citata norma, per l’avvento delle nuove tecnologie, usate, anche nell’ambito forense e nelle cancellerie degli uffici giudiziari, ne limitavano l’ambito operativo, alle sole ipotesi di mancata indicazione negli atti di parte, dell’indirizzo PEC., confermando di aver preso in considerazione il diverso contesto dei mezzi di comunicazione e del progresso tecnologico dell’epoca attuale, rispetto a quella in cui la norma era stata emanata.
Per effetto dell’art. 16 sexies del D.L. 179/2012, modificato dal D.L. 90/2014 e convertito, con modificazioni, in L. 114/2014, che introduceva il c.d. domicilio digitale, in vigore dal 25.06.2014, le notificazioni presso il domicilio “ex lege” nella cancelleria dell'ufficio giudiziario procedente, potevano eseguirsi, esclusivamente, quando non era possibile, per causa imputabile al destinatario, effettuarle all'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all' articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.
La domiciliazione “ex lege” in cancelleria, ai sensi del più volte citato art. 82, è, comunque, “sopravvissuta”, al progresso tecnologico ed anche, all’entrata in vigore del suddetto domicilio digitale, in quanto se il difensore non ha eletto domicilio presso l’autorità giudiziaria (fuori distretto del Tribunale di appartenenza) innanzi alla quale pende la causa, le notifiche e le comunicazioni si faranno ancora in cancelleria, se l’indirizzo PEC. non sia accessibile, per causa imputabile al destinatario (Cass. Civ. 17048/2017). Recentemente, la fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte, sull’argomento, riguardava l’ipotesi in cui i difensori della parte appellata, all’atto della propria costituzione, il 26.04.2011, non eleggevano domicilio nella circoscrizione del Tribunale dove aveva sede la Corte di Appello, dinanzi alla quale era pendente il giudizio di gravame.
Il difensore della parte avversa notificava, in data 22.07.2014, presso la cancelleria del Giudice di secondo grado, ex art. 82 del R.D. 37/1934, la sentenza di appello, per il decorso del termine breve, per impugnare il provvedimento, ai sensi degli artt. 285 e 326 del c.p.c..
Parte appellata, soccombente nel giudizio di secondo grado e non a conoscenza della notifica presso la cancelleria, nonché del conseguente decorso del termine breve per impugnare, notificava il ricorso per Cassazione in data 19.02.2014.
Il Giudice di Legittimità, con la sentenza n. 9863/2017, emessa in data 19.04.2017, dichiarava inammissibile il ricorso “de quo”, perché presentato dopo la scadenza del termine di sessanta dalla notifica della sentenza di appello, presso la cancelleria del Giudice di secondo grado, ai sensi del cit. art. 82.
La Suprema Corte, con la sentenza suddetta, si è uniformata a quanto statuito, in materia, dalle Sez. Unite nel 2012 (vedasi Cass. Civ., S.U.,10143/2012) e dal più recente orientamento della medesima.
Sulla questione affrontata nella suddetta pronuncia, però, si può osservare:
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che, nell’anno 2011, all’atto della costituzione di parte appellata nel giudizio di gravame, non sussisteva l’obbligo di indicare la PEC., negli atti processuali, entrato in vigore con la legge di stabilità del 2012 e la conseguente modifica dell’art. 125 del c.p.c;
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che, sempre nell’anno 2011, vi era contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità, ai giudizi dinanzi alle Corti di appello, della domiciliazione “ex lege” in cancelleria, ex art. 82 R.D. 37/1934, risolto solo nel mese di giugno del 2012, con la sentenza, a Sez. Un., n. 10143/2012;
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che, nel mese di luglio del 2013, quando è stata notificata la sentenza di appello, presso la cancelleria del Giudice dell’impugnazione, ai sensi del citato art. 82, era già entrato in vigore l’obbligo, per gli avvocati di dotarsi di PEC., da comunicare al proprio ordine professionale e da indicare negli atti, ex art. 125 del c.p.c.; - che il domicilio digitale, ex art. 16 sexies cit., è entrato in vigore il 25.06.2014 ed ha limitato l’applicabilità dell’art. 82, solo al mancato funzionamento della PEC., per causa imputabile al destinatario;
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che, per quanto sopra detto, nel luglio del 2013, data della notifica al domicilio “ex lege”, in cancelleria, tutti gli avvocati erano già obbligati a dotarsi di PEC., reperibile presso gli ordini professionali di appartenenza e pertanto, il quadro tecnico-giuridico era il medesimo di quello, in cui è stato istituito il domicilio digitale, entrato in vigore circa un anno dopo. La notifica della sentenza di appello, nella fattispecie in esame, dunque, poteva essere effettuata alla PEC. del destinatario, con gli stessi strumenti tecnologici e con la stessa efficacia giuridica, di quelli utilizzabili, dopo l’entrata in vigore del cit. art. 16 sexies;
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che la Suprema Corte, nella fattispecie in esame, ha dichiarato, con sentenza del 19.04.2017, l’inammissibilità del ricorso, applicando una norma, emanata nel 1934 e nonostante, all’epoca dei fatti “de quibus” vi fossero tutti gli strumenti tecnico-giuridici a disposizione degli avvocati, per effettuare la notifica via PEC., anche in mancanza dell’indicazione del relativo indirizzo di posta elettronica certificata, negli atti, depositati prima dell’entrata in vigore del relativo obbligo.
Tale pronuncia appare, dunque, in contrasto con la funzione originaria del più volte menzionato art. 82, consistente nel rendere meno gravoso il procedimento di notifica dei difensori, chiamati a prestare la propria opera fuori dal circondario del Tribunale di appartenenza, in quanto, nell’anno 2013, era sicuramente, meno agevole consegnare l’atto, agli ufficiali giudiziari, per la notifica nella cancelleria del Giudice di secondo grado, che eseguire la notifica, via PEC., dal proprio computer, in studio o addirittura, nella propria abitazione.
Gli effetti dell’applicabilità o meno, al caso di specie, della domiciliazione “ex lege” in cancelleria, sono sicuramente più gravi per il destinatario, che, con elevatissima probabilità, non avrebbe avuto conoscenza della suddetta notifica, con conseguente decorso del termine breve di impugnazione della pronuncia, a propria insaputa, rispetto alla semplicissima ricerca che la controparte avrebbe dovuta effettuare, con poche mosse sul proprio computer, per trovare la PEC. del legale avversario e procedere alla relativa notifica, così come disposto dal citato art. 16 sexies, non ancora entrato in vigore all’epoca dei fatti, ma già realizzabile, per la sussistenza di tutti gli strumenti tecnologici e giuridici in tal senso.
La Suprema Corte, inoltre, in tema di notifica dell’atto di impugnazione, al legale domiciliatario, trasferitosi di sede, ha costantemente, affermato che il notificante ha l’onere di individuare il luogo dove effettuare la notifica, previo riscontro, delle risultanze dell’albo professionale, anche per via telematica od informatica, non costituendo la relativa ricerca un significativo onere temporale per il difensore (per tutte Cass. Civ., Sez. Un., 3818/2009, Cass. Civ. 11294/2012).
In ordine a tanto, il Giudice di Legittimità, negli anni 2009 – 2012, mentre riteneva corretto ed opportuno, in mancanza, peraltro di qualsiasi previsione normativa in tal senso, in caso di trasferimento di sede del difensore domiciliatario, porre a carico del notificante l’onere di individuare il nuovo luogo di notifica dell’atto, sostenendo non gravosa la ricerca, in via telematica, tramite consultazione del relativo albo professionale, facilmente accessibile con internet, con diversa sentenza del 2017, riferibile a fatti del 2014, in caso di mancata elezione di domicilio fuori dal circondario, ha ritenuto, ancora, applicabile la domiciliazione “ex lege”, in cancelleria, istituita nel 1934, con la quasi certezza di mancata conoscenza della relativa notifica per il destinatario, valutando, in quest’ultima ipotesi (si ripete nel 2014), troppo gravoso per il notificante fare quelle ricerche, considerate facilmente espletabili in altre simili circostanze.
Si può, quindi, concludere che la sentenza della Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 9863/2017 del 19.04.2017, è sicuramente conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia ed ha fatto applicazione della normativa vigente all’epoca dei fatti, ma, altrettanto, sicuramente, ha precluso la trattazione di un ricorso, sulla base di una normativa emanata nel 1934, per porre rimedio a problemi di notificazioni e comunicazioni non più esistenti ed attuali, perché risolti dal progresso tecnologico, vulnerando la stessa “ratio” dell’art. 82 in questione.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile Sentenza n. 9863 del 19/04/2017
SVOLGIMENTO del PROCESSO
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