La mediazione obbligatoria nella normativa e nella giurisprudenza

La partecipazione personale della parte obbligatoria nella mediazione è frutto di qualche estensiva interpretazione della normativa, ma non costituisce la regola. Alcune riflessioni sulla giurisprudenza di merito

La mediazione obbligatoria nella normativa e nella giurisprudenza

Nel nostro ordinamento la tradizione romanistica attribuisce il ruolo preminente della legge cui la magistratura deve attenersi nell’applicarla al caso concreto.

Non si può correre il rischio di rendere le sentenze alla stregua di precedenti vincolanti soprattutto nei casi in cui vengano proposte interpretazioni oltremodo estensive che si discostano non solo dalla ratio ma anche dalla lettera della legge.

Centri di interesse possono esaltare e dare risonanza mediatica a sentenze di merito magari isolate e giuridicamente confutabili per trarre vantaggio in relazione ai propri scopi.

Le disposizioni di legge cui si vuol fare riferimento sono l’art.5 comma 1 bis e comma 2 e l’art.8 del decreto legislativo 04.03.2010 n.28 che concernono la mediazione obbligatoria, la mediazione delegata ed il procedimento.

Sono state sbandierate da enti ed organismi di mediazione due recenti sentenze che hanno portato alla improcedibilità della domanda giudiziale sul presupposto della mancata comparizione personale della parte, comunque assistita e difesa dall’avvocato, al procedimento di mediazione conclusosi con esito negativo (Tribunale di Roma 12.11.2018 e Tribunale di Vasto 17.12.2018).

Non corrisponde al vero, né può essere affermato, che le due sentenze appena citate, abbiano stabilito i due principi della obbligatorietà della presenza personale della parte e dell’obbligo dello svolgimento effettivo del tentativo di conciliazione, legislativamente non previsti.

Si tratta di mere interpretazioni estensive, isolate e disattese da centinaia di altre pronunce di Tribunali che sono pervenute a decisioni nel merito considerando assolta la condizione di procedibilità e ritenendo irrilevante non solo la mancata partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione già avviato ma anche la mancata comparizione della parte chiamata al primo incontro.

Inoltre, come si vedrà più avanti, esiste una giurisprudenza di segno contrario che probabilmente ha maggior fondamento sul piano normativo.

Non è assolutamente desumibile da alcuna disposizione di legge che le parti debbano necessariamente partecipare all’incontro di mediazione di persona o per delega né il legislatore ha previsto che l’incontro di mediazione debba essere “effettivo” (semmai il contrario).

Addirittura, il giudice della Sezione V del Tribunale di Roma nella sentenza del 12.11.2018 giunge ad affermare che, secondo la giurisprudenza di merito prevalente, la partecipazione alla mediazione sia un atto personalissimo della parte non delegabile (se non mediante atto notarile considerato altresì che la partecipazione del difensore all’uopo delegato ha il solo scopo di garantire un’assistenza tecnica (v. art.8 d.lgs.) e non di rappresentanza processuale.

Si tratta di un orientamento minoritario che invero contrasta con il dettato della legge e con la giurisprudenza prevalente in materia.

 

Non si può tener conto dei seguenti rilievi critici:

 

1. L’art.8 comma 2 del decreto legislativo n.28/2010 prevede che il procedimento di mediazione si svolga “senza formalità” presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento dello stesso.

Già di per sé questo rilievo pone nel nulla ogni tentativo di rendere “formale” la partecipazione delle parti all’incontro. La stessa disposizione prevede che “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” ma non impedisce affatto né vieta che l’avvocato possa munirsi di procura speciale a transigere da parte del proprio assistito superando la differenza tra assistenza e rappresentanza. La presenza personale della parte non è richiesta nemmeno in giudizio (la facoltà di transigere e conciliare la controversia viene conferita dalla parte all’avvocato in giudizio; nel giudizio di cognizione ordinaria, il giudice formula la proposta di conciliazione ex art.185 bis c.p.c. senza la presenza personale delle parti).

Sul punto si è espressa anche la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. III, 26.07.2017 n.18394) stabilendo che la procura alle liti conferita all’avvocato è qualificabile come mandato con rappresentanza processuale e il rapporto interno, disciplinato dalle norme di diritto sostanziale, non è dissociabile quanto al contenuto della rappresentanza in giudizio.

Nella procura alle liti rilasciata al difensore può essere rilasciata anche la facoltà di transigere e conciliare la controversia così come previsto dall’art. 84 comma 2 del codice di procedura civile.

 

2. La legge non prevede assolutamente che la mancata comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore comporti la improcedibilità della domanda dinanzi all’autorità giudiziaria.

Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude con esito negativo (art.8 comma 1 D.Lgs. n.28/2010).

La norma non parla di “effettività” del primo incontro limitandosi a richiedere semplicemente che le parti e i loro avvocati si esprimano sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione.

La mancata partecipazione di una parte al procedimento è espressione inconfutabile di mancanza di volontà di iniziare la mediazione.

E’ assurdo sanzionare con la improcedibilità una parte che non ha partecipato personalmente al procedimento di mediazione ed ha introdotto successivamente il giudizio o ha resistito nel giudizio essendo manifesta la volontà di tutelare in sede giudiziaria i propri diritti.

Né la norma richiede che il giudice investito nella controversia nel successivo giudizio di merito debba sindacare le modalità con cui le parti abbiano deciso di non avviare il procedimento di mediazione potendo semplicemente esprimere un diniego sulla possibilità di prosecuzione.

 

3. La legge prevede espressamente la “sanzione” per la parte che non sia comparsa dinanzi al mediatore all’art.8 comma 4-bis del D.Lgs.n.28/2010 che stabilisce che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Questa disposizione esclude nella maniera più categorica che possa essere sanzionata con l’improcedibilità la mancata partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione perché appunto prevede che questa possibilità si possa verificare e che possa essere eventualmente sanzionata con le misure espressamente previste e dalle quali il giudice non si può discostare.

E’ proprio la norma che dà la possibilità alla parte di non partecipare alla mediazione senza doverne giustificare il motivo esponendosi eventualmente alle conseguenze sanzionatorie tipicamente previste dalla norma e giammai all’improcedibilità.

 

4. Esiste comunque una giurisprudenza di merito che si discosta completamente dal filone innanzi esaminato.

Con ordinanza del 24.03.2016, il Tribunale di Verona ammette che il primo incontro informativo non è un momento estraneo alla ricerca dell’accordo e che la mediazione possa legittimamente chiudersi al primo incontro, sicché nell’espressione “senza l’accordo” deve necessariamente rientrare anche l’ipotesi che le parti o una di esse non intendano tout court proseguire con la mediazione, ritenendo preferibile che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria.

La condizione di procedibilità si realizza “sic et simpliciter nel mettere le parti nella condizione di prendervi parte, all’interno della cornice procedimentale che la legge predispone come obbligatoria, senza che tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione possa essere ”forzato” sino al punto di ritenere non assolta la condizione di procedibilità anche quando la parte, all’esito del primo incontro con il mediatore, rifiuti di proseguire con la mediazione manifestando la chiara e ferma volontà che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria, cioè dall’organo cui l’ordinamento costituzionale conferisce l’attribuzione dei poteri giurisdizionali”.

Il Tribunale di Verona rileva che le norme ordinarie che prevedono una giurisdizione cd. “condizionata” sono di stretta interpretazione (cfr. ex multis Corte Cost. 403/07), trattandosi di norme eccezionali che, in quanto derogative del principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo né essere applicate in via analogica ma devono al contrario essere interpretate nel loro significato minore, quello cioè che utilmente (e sufficientemente) realizza il fine che le stesse perseguono.

Il giudice del Tribunale di Verona osserva che se l’ordinamento riconosce il diritto del soggetto evocato in causa a non partecipare al processo restando contumace, analogamente dovrebbe riconoscere al soggetto convocato in mediazione quantomeno il diritto di non aderirvi.

L’orientamento accolto dal Tribunale di Verona, già stato fatto proprio da numerosi Uffici giudiziari, non rappresenta dunque un’eccezione nel panorama giurisprudenziale (cfr. per tutti Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 22 aprile 2014, Tribunale Taranto, sez. II, ord. 16/04/2015).

Da ultimo, il Tribunale di Savona con sentenza del 19.10.2018 si è uniformato all’orientamento del Tribunale di Verona, aggiungendo altresì un ulteriore rilevo derivante dal confronto tra l'istituto della mediazione e l'altro istituto "fratello": la convenzione assistita.

L'art. 3 del Dlgs 132/14, disciplinando l'invito obbligatorio alla stipula di una "convenzione di negoziazione assistita" dagli avvocati, fra le parti di una controversia rientrante nel novero di quelle assoggettate a tale (nuova) ipotesi di improcedibilità della domanda giudiziale, stabilisce, al comma 2°, che"Quando l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se l'invito non è seguito da adesione, è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione, ovvero quando è decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a)": eventi, tutti, innegabilmente riconducibili - espressamente o implicitamente (nel caso di mancata adesione o di infruttuoso decorso del termine) - alla mera volontà negativa delle parti in lite alla negoziazione.

L'assenza della parte, quand'anche sia attrice, all'incontro di mediazione disposto ex art. 5 Dlgs 28/10, è, quindi, sì punita dal Dlgs 28/10, ma non con l'improcedibilità, bensì con le sanzioni di cui all'art. 8.

Il Giudice del Tribunale di Savona conclude che l'unico adempimento richiesto ai fini della procedibilità della domanda è il deposito della domanda di mediazione presso l'organismo deputato.

 

Ai rilievi critici dinanzi evidenziati vanno aggiunte altre considerazioni.

Non è escluso che la mancata comparizione della parte al procedimento di mediazione sia una scelta determinata da una strategia difensiva. Non va trascurato che il difensore, ai sensi dell’art. 4 comma 3 del d.lgs. n.28/2010, è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La parte, obbligata a partecipare al procedimento di mediazione, opportunamente informata dall’avvocato, ben potrebbe ritenere di non partecipare perché, ad esempio, titolare di un diritto provato documentalmente o di particolari elementi probatori a supporto del diritto da attuare ovvero ben potrebbe decidere di non comparire rilasciando la procura speciale al proprio difensore.

Sono scelte legittime che presuppongono la assistenza tecnica del difensore che, pur informandosi rigorosamente ai principi deontologici ed informativi, potrebbe valutare di adottare strategie che escludano di accedere al procedimento di mediazione.

Le ragioni della strategia difensiva, essenziali per il corretto esercizio del diritto di difesa, verrebbero frustrate dai criteri imposti dalla giurisprudenza richiamata che indirettamente svilisce il ruolo istituzionale dell’avvocato. E’ palese altresì la violazione del principio costituzionale del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione).

Altre ragioni si fondano ancora sui principi fondamentali dell’ordinamento. Parto dalla direttiva comunitaria n.2008/52 da cui fondamentalmente trae origine la normativa che ha introdotto in Italia la mediazione, per evidenziare subito quanto affermato dall’art.5, paragrafo 2, in forza del quale la direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatoria oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario.

La normativa comunitaria, quindi, impone agli Stati membri di non impedire al cittadino di accedere alla giurisdizione ordinaria.

Mi sembra che tale obiettivo venga gravemente frustrato da quella richiamata giurisprudenza diretta ad ampliare ultra legem l’ambito della improcedibilità della domanda giudiziale estendendo oltremodo le sanzioni già legislativamente previste.

Collegato al principio comunitario appena esposto è il riferimento di cui all’art.25 della Costituzione che sancisce che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Trattasi di un principio fondamentale del nostro ordinamento, sancito a livello costituzionale, di cui i giudici non hanno tenuto conto nei provvedimenti richiamati che assumono contorni inquietanti se si pensa che, attraverso la improcedibilità, si sono sottratti ad una prerogativa loro assegnata dalla legge delle leggi.

Nelle fattispecie richiamate i giudici, sanzionando l’improcedibilità o rinviando per la seconda volta al tentativo di mediazione, hanno desunto dal comportamento delle parti il non effettivo esperimento della mediazione ovvero hanno ritenuto obbligatoria la presenza personale della parte al tentativo senza considerare che la stessa (rappresentata dal difensore come prevede espressamente l’art.84 c.p.c.) ha poi proposto comunque la domanda giudiziale ovvero ha resistito in giudizio, così denegando giustizia ovvero spogliandosi della funzione loro attribuita dalla legge.

Assume rilievo, ai fini della possibilità di adottare uno strumento alternativo di risoluzione della controversia in deroga o in alternativa alla giurisdizione ordinaria, la volontà delle parti che si sostanzi in un accordo che risulti per iscritto e che sia chiaro ed univoco.

In un istituto, tra l’altro, considerato nello ambito delle finalità deflattive del legislatore, quale l’arbitrato, è la legge a stabilire che si possa derogare alla giurisdizione ordinaria purchè vi sia l’accordo per iscritto tra le parti (807 c.p.c.).

Infatti, in presenza di tale requisito, il procedimento arbitrale è stato ritenuto sostitutivo a tutti gli effetti della giurisdizione statale sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Cassazione.

Nella mediazione, paradossalmente, alcuni giudici tendono a non considerare o a coartare la volontà delle parti con interpretazioni che vanno oltre il dettato normativo declinando la giurisdizione che ad essi compete.

 

Avv. Alessandro Moscatelli
del foro di Trani

 

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