Molestia ex art. 660 c.p.: costituzionalmente legittima la procedibilità d'ufficio
Inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 c.p. nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela del reato di molestia, con annessa rimettibilità della stessa. Corte cost. ord. 220/2018

Questione di legittimità costituzionale del reato di molestia o disturbo alla persona ex art. 660 c.p. perché non prevede la procedibilità a querela.
Il Tribunale ordinario di Varese1 sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 c.c. recante la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone in riferimento all’art. 3 della Costituzione «nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela del reato di molestia, con annessa rimettibilità della stessa, quanto meno limitatamente alle condotte idonee a recare molestia o disturbo esclusivamente a persona determinata».
Nel caso di specie, riguardante molestie telefoniche, la persona offesa costituitasi parte civile rimetteva esplicitamente la querela, remessione peraltro accettata dalla difesa dell’imputato. Tuttavia, la procedibilità d’ufficio impediva alla remissione di operare efficacia, imponendo invece una pronuncia nel merito nonostante le contrarie intenzioni delle parti.
Il raffronto tra molestia ex art. 660 c.p. e atti persecutori ex art. 612-bis c.p.
La rilevanza della questione discenderebbe dall'impossibilità per la persona offesa di giovarsi dell’istituto di cui all’art. 152 c.p..
L'evidenza dell'illegittimità risiederebbe nel raffronto con il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p., connotato da evidenti tratti di specialità e maggiore gravità rispetto al reato di molestia di cui all'art. 660 c.p., tuttavia punito a querela della persona offesa, dunque potendo questa rimettere la querela con effetti estintivi per il reato.
Sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che il reato di molestia o disturbo alle persone tuteli anche la tranquillità pubblica, bene giuridico non protetto dalla fattispecie di atti persecutori, secondo il giudice a quo la procedibilità d'ufficio troverebbe giustificazione qualora la condotta di disturbo arrecasse nocumento a soggetti indeterminati. Al contrario, la molestia lederebbe lo stesso bene giuridico protetto dall’art. 612-bis c.p. con conseguente irragionevole differenziazione di trattamento sotto l'aspetto della procedibilità, specie a fronte di un’offesa più tenue2. Pertanto, l'illegittimità della norma sarebbe scongiurata soltanto ritenendo penalmente rilevanti le sole condotte idonee a mettere a repentaglio la tranquillità pubblica, con esclusione di quelle "uni-direzionate" nei confronti del singolo o di singoli soggetti determinati.
L'art. 660 c.p. tutela la tranquillità pubblica e il corretto utilizzo della rete telefonica e la procedibilità d'ufficio è il regime comune alle contravvenzioni. Opportunità di un intervento legislativo
La Corte costituzionale ha ritenuto la questione comunque infondata nel merito, poiché il reato di cui all’art. 660 c.p. richiede che la molestia o il disturbo avvengano «in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono», tutelando quindi non solo il soggetto passivo della molestia o del disturbo, ma anche la tranquillità pubblica e il corretto utilizzo della rete telefonica a vantaggio dell’utenza generale, mentre il più grave delitto previsto dall’art. 612-bis c.p. potrebbe essere commesso anche in ambito privato.
Invero, il reato di molestia ex art. 660 c.p. è inserito nell’ambito delle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, per cui, come già chiarito con l’ordinanza n. 392 del 2008, un intervento additivo sarebbe del tutto eccentrico rispetto ai principi generali del sistema del diritto penale italiano, che prevede la procedibilità a querela solo per taluni delitti, a fronte della procedibilità d'ufficio di tutte le fattispecie contravvenzionali e la fattispecie di cui all'art. 660 c.p. non potrebbe avere un regime di procedibilità diverso da quello previsto per tutte le contravvenzioni.
La Corte, infine, consapevole della possibile inattualità dell’art. 660 c.p. nel ricomprendere le molestie perpetrate col mezzo del telefono nei confronti di soggetti determinati, i cui effetti sovente restano in una sfera privata, ha ritenuto opportuno un intervento del legislatore in materia, rispetto alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
Avv. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”
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1 Ordinanza del 26 ottobre 2016 (reg. ord. n. 74 del 2017)
2 «che il giudice rimettente asserisce di essere a conoscenza che questa Corte, con l’ordinanza n. 392 del 2008, ha già dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 cod. pen., censurato, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la procedibilità d’ufficio anche nell’ipotesi in cui la molestia è rivolta non già ad un numero indeterminato di persone, ma a danno di un soggetto ben determinato; che, tuttavia, in tal caso si prendevano a raffronto norme incriminatrici assai dissimili rispetto alla contravvenzione in esame, mentre l’introduzione dell’attuale termine di comparazione, ossia l’art. 612-bis cod. pen., renderebbe nuova la questione in questa sede sollevata».
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Di seguito il testo di
Corte costituzionale, ordinanza 7 - 29 novembre 2018, n. 220
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 660 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Varese, nel procedimento penale a carico di N. P., con ordinanza del 26 ottobre 2016, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2017.
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