Responsabilità professionale dell'avvocato e modifica dell'orientamento giurisprudenziale

Alcune argomentazioni sulle conseguenze del cambio di indirizzo giurisprudenziale (cd. overruling) in corso di causa tratte da Corte Cassazione SS.UU. civili Sentenza 4135/2019 e richiesta di rimessione nei termini

Responsabilità professionale dell'avvocato e modifica dell'orientamento giurisprudenziale

Estraiamo alcuni brani, di sicuro interesse, della Sentenza n. 4135 depositata in data 12 febbraio 2019 della Corte Cassazione SS.UU. civili nella parte in cui tratta della posizione dell'avvocato (nei confronti del proprio cliente) che imbocca una strategia difensiva impostata su un’esegesi della normativa che viene modificata in corso di causa e, in genere, delle sorti della causa che subisce questa modifica in corsa.

La vicenda interessa, in particolare, una richiesta di rimessione in termini della parte che confidando in un determinato orientamento aveva omesso di utilizzare determinati motivi di impugnazione poi ammessi con giurisprudenza successiva.

 

La rimessione in termini non è ammessa per un errore interpretativo di una norma seppur di difficile lettura.

La rimessione in termini potrà essere ammessa nel caso si verifichi una causa non imputabile. Tuttavia, afferma La S.C. “deve trattarsi pur sempre di un errore derivante da causa non imputabile perché cagionato da un fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, che presenti il carattere dell'assolutezza e non della mera difficoltà, in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza”.

Un errore, pertanto, proveniente dall’esterno e non da una propria personale lettura della normativa.

Continuano le SS.UU.: “alla nozione di «causa non imputabile» è estraneo, invece, l'errore derivante dalla scelta processuale della parte, seppure determinata da una difficile interpretazione di norme processuali nuove o di complessa decifrazione, risolvendosi in un errore di diritto che, di regola, non può giustificare la rimessione in termini per evitare o superare la decadenza da un termine processuale e per giustificare impugnazioni tardive”.

 

Opera esegetica e nomopoietica come irrinunciabile strumento di aggiornamento dell’ordinamento alle modifiche sociali.

Da manuale le seguenti citazioni delle Sezioni Unite.

L'interpretazione giudiziale, pur essendo uno «strumento percettivo e recettivo, non correttivo e/o sostitutivo della voluntas legis» (Cass.14 giugno 2016, n. 12144), consente alla disposizione legislativa di divenire «norma» e di assumere il significato attribuitole dall'interprete tra i diversi e plausibili significati traibili dal testo, secondo le variabili dello spazio e del tempo nel quale il momento esegetico si realizza”.

Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, che sembra implicitamente evocare il metodo sillogistico-deduttivo postulante la univocità e unicità del prodotto dell'interpretazione giuridica, la «norma» non è il presupposto o l'oggetto ma il risultato dell'interpretazione che si alimenta di tecniche discorsive di tipo argomentativo e persuasivo ispirate al principio di ragionevolezza”.

 

L’inaffidabilità spazio-temporale della norma.

Il dettato normativo, quindi, ma anche la “norma” quale risultato dell’opera esegetica, non si deve considerare come un riferimento “fisso”, sul quale poter fare affidamento.

E, ancora, si cita: “Il riferito «affidamento» riposto nel significato «letterale» della disposizione, cui conseguirebbe un'unica risposta decisionale considerata «esatta», quindi prevedibile in senso proprio, si scontra con la constatata complessità dei processi interpretativi, il cui esito è il prodotto della funzione nomopoietica distribuita tra tutti i soggetti dell'ordinamento, continuamente alimentata dal dibattito processuale del giudice con e tra le parti”.

 

La posizione dell’avvocato che opera in uno scenario “normativo” in movimento.

La S.C:, dopo avere affermato che l'avvocato difensore è tenuto ad adempiere all'obbligazione inerente all'esercizio del mandato con la diligenza necessaria in relazione alla natura e all'importanza dell'attività professionale esercitata in concreto aggiunge che l’avvocato difensore: “... non è un mero consulente legale con il compito di pronosticare l'esito della lite e di informarne il cliente, né è un giudice cui spetta la decisione; egli ha l'obbligo di proporre soluzioni favorevoli agli interessi del cliente, anche nelle situazioni che richiedono la soluzione di problemi interpretativi complessi, di attivarsi concretamente nel giudizio con gli strumenti offerti dal diritto processuale, indicando strade interpretative nuove, portando argomenti che facciano dubitare delle soluzioni giurisprudenziali correnti e anche della giustizia della legge, sollevando eccezioni di incostituzionalità e di contrarietà con il diritto sovranazionale, ecc.”.

L’affermazione è interessante perché avevamo avuto l’impressione che negli ultimi anni si stesse lavorando per impedire questo tipo di attivismo della difesa, sanzionata con inammissibilità, raddoppi del contributo unificato, ecc, ogni qual volta vi fosse la tentazione del difensore di forzare il giudicante ad una revisione dello status quo.

E giustamente, poco dopo le SS.UU. ricordano che “l'avvocato è anche tenuto ad osservare il fondamentale dovere di precauzione, cioè ad «adottare la condotta più idonea a salvaguardare gli interessi del cliente» … ciò significa che, nella pluralità dei significati plausibili inclusi nel potenziale semantico del testo legislativo, deve scegliere quello più rigoroso, ovvero il senso che ponga la parte assistita quanto più possibile al riparo da decadenze e preclusioni”.

Qualcuno, con un po’ di impegno, riuscirà a far convivere queste due affermazioni un una unità logica. Noi la interpretiamo così: l’avvocato ha il compito di cercare e percorrere incisive anche se talvolta fantasiose strade interpretative; tuttavia quando si tratta di preclusioni e decadenze deve limitarsi all’interpretazione più restrittiva, ciò nell’interesse del cliente.

 

Ancora, affermano le SS.UU. : “Nel rapporto professionale con il cliente la responsabilità dell'avvocato è esclusa nei casi di risoluzione di questioni interpretative di particolare difficoltà o opinabili (art. 2236 c.c.), a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave”.

La parte tuttavia non si salva e sulla stessa ricadono le difficoltà interpretative. Leggiamo, infatti: “ma non per questo la parte ha diritto alla rimessione in termini nel compimento di attività precluse o per le quali è decaduta, occorrendo pur sempre l'esistenza di uno stato di fatto configurabile come causa non imputabile cui la decadenza o la preclusione siano immediatamente riconducibili, a norma dell'art. 153, comma 2, c.p.c. “.

 

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