Richieste petulanti e aggressive al Sindaco non integrano minaccia a pubblico ufficiale

Minaccia a pubblico ufficiale. Richiedere, in modo insistente petulante e aggressivo, contributi pubblici può risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei suoi compiti istituzionali? (Cass. Pen. Sent. n. 13153/2020)

- di Avv. Andrea Savoca
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Richieste petulanti e aggressive al Sindaco non integrano minaccia a pubblico ufficiale

Non integra il reato di cui all'art. 336 c.p. la continua ed insistente richiesta di elargizioni non accompagnata dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei suoi compiti istituzionali. (Cass. Pen. Sent. n. 13153/2020)
 

Aggressività e petulanza della richiesta: minaccia a pubblico ufficiale?

La Corte d'appello, ribaltando l'esito del giudizio di primo grado, condannava l'imputato per il reato di minaccia a pubblico ufficiale sul presupposto che con la sua condotta assidua, petulante e aggressiva di richieste di aiuti economici rivolta nei confronti del Sindaco avesse determinato nella di lui persona uno stato di timore tale che lo induceva a concedere contributi non dovuti così fornendo all'imputato illeciti vantaggi.

Avverso la sentenza de qua, veniva proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato di cui all'art. 336 c.p.

Si ivi lamentava invero, la mancata configurazione del reato in contestazione, poiché la condotta dell'imputato non avrebbe in alcun modo inciso sulla determinazione volitiva del Sindaco, il quale non ha mai consegnato somme di denaro a Randazzo non dovute in violazione di leggi o regolamenti.

 

Minaccia a pubblico ufficiale: non rileva la mera petulanza

La Corte, nell'accogliere la tesi difensiva, ha annullato con rinvio la sentenza oggetto di gravame, censurando per l'effetto l'operato dei giudici dell'appello i quali, non conformandosi ai criteri ermeneutici fissati nella giurisprudenza di legittimità in materia, hanno erroneamente ritenuto di dover atttribuire valenza minatoria alle condotte petulanti, insistenti ed ostili poste in essere dall'imputato.

Invero, la Corte ha ricordato che, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 336 c.p., occorre che la condotta posta in essere dall'agente sia dotata di effettiva potenzialità a coartare la volontà del pubblico ufficiale nell'assolvimento dei doveri d'ufficio, tale non potendo dirsi la reazione genericamente minatoria del privato mera espressione di sentimenti ostili non accompagnati da specifiche prospettazioni di un danno ingiusto che siano sufficientemente concrete da risultare idonee a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei suoi compiti istituzionali.

Ebbene, alla luce di tali considerazioni, la continua ed insistente presenza dell'imputato negli uffici del comune per richiedere elargizioni legate al di lui stato di indigenza, in assenza di qualsivolglia minaccia idonea a coartare la volontà del pubblico ufficiale, è da ritenere quale mera condotta invasiva e petulante, non idonea certamente a ritenere ingretato il reato di cui all'art. 336 c.p.

In conlcusione, la Suprema Corte, nel ritenere la superiore condotta tull'al più idonea a configurare il meno grave reato di molestie, per cui è sufficiente un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Avv. Andrea Savoca

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione Penale Sez. VI, Sentenza n. 13153 Data Udienza 20/02/2020, Deposito 28/04/20

 

RITENUTO IN FATTO

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