Sul valore della confessione fatta al CTU e natura degli interessi sul danno da risarcire

Risarcimento danno professionale e assicurazione. Alcuni principi in una sentenza: valore della confessione fatta al CTU, natura degli interessi sul danno, vessatorietà della clausola claims made. Cassazione Civile Sentenza n. 24468/2020

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Sul valore della confessione fatta al CTU e natura degli interessi sul danno da risarcire

La Corte di Cassazione Civile Ordinanza n. 24468 depositata in data 04/11/2020, che ha deciso un delicato caso di danni ad un nascituro provocati dalla struttura sanitaria, ha il merito di affrontare, confermando, alcuni principi in materia processuale e relativi alla clausola assicurativa claims made.

Vediamoli in sintesi.

 

Valore della confessione resa al CTU

Si contestava avanti alla Suprema Corte la decisione della Corte d’Appello di non dare il giusto peso alla dichiarazione al Consulente Tecnico d’Ufficio resa da una parte con contenuto a sé sfavorevole.

La Corte ricorda che “alle dichiarazioni a sè sfavorevoli rese dalla parte al CTU non può che attribuirsi la stessa valenza probatoria che è riconosciuta dall’art. 2735 c.c., comma 1, seconda parte, alle dichiarazioni confessorie stragiudiziali, fatte al terzo”, trattandosi, in sostanza di confessione stragiudiziale alla quale il giudicante potrà assegnare valore probatorio comparandola con le altre diverse risultanze probatorie ed effettuando la selezione di quelle ritenute maggiormente convincenti.

Si dovrà tenere in considerazione che l’art. 2735 c.c. assegna alla confessione stragiudiziale fatta alla controparte o a chi la rappresenta la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale.

 

Natura compensativa degli interessi sul risarcimento del danno da fatto illecito

Lamentava parte ricorrente per cassazione che la Corte d’Appello aveva illegittimamente liquidato il risarcimento del danno “cumulando” rivalutazione monetaria ed interessi, con ciò ponendo in essere una duplicazione del danno.

La Corte di Cassazione ricorda quelli che sono principi consolidati in materia e che risalgono ad una SS.UU. del 1995 (Sent 1712/1995), ai quali si sono conformate le decisioni successive e che possiamo in questa Rivista ritrovare in “Le SS.UU. su interessi e rivalutazione, spese legali stragiudiziali e costi del perito di parte”, un commento alla Sentenza delle Sezioni Unite n. 16990/2017.

Gli interessi sul risarcimento del danno non sono interessi moratori, ma hanno natura compensativa.

Afferma la Corte del 2020: “Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito, hanno, infatti, fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall’art. 1224 c.c. ..., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dalla temporanea indisponibilità dell’equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non viene a risarcire un altro e maggiore danno, ma è soltanto una diversa espressione monetaria del medesimo danno … . Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è sempre implicitamente inclusa anche la richiesta di riconoscimento, sia degli interessi “compensativi”, sia della rivalutazione monetaria – quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni – ed il Giudice di merito deve attribuire gli uni e l’altra anche se non espressamente richiesti, pure in grado di appello, senza per ciò incorrere in ultrapetizione (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18243 del 17/09/2015).

Quanto alle modalità di calcolo la Corte ricorda che “qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva … , è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso: in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio”.

 

La clausola assicurativa clams-made non è vessatoria

La S.C. ricorda che i contrasti emersi nella giurisprudenza di legittimità e riguardanti la validità della clausola “claims made” apposta nelle polizze assicurative della responsabilità civile è stata definitivamente risolta dalle Sezioni Unite nel 2016 (Sentenza 9140).

Le SS.UU. hanno nel 2016 espresso il seguente principio di diritto:

nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola “claims made” mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del D.Lgs. n. 206 del 2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata”.

Ancora citiamo un precedente intervento in questa Rivista che già illustra le argomentazioni delle SS.UU., raccolte in un più recente arresto (Cassazione Sentenza n. 13877/2020): “La clausola assicurativa "claims made" pura o mista secondo la Cassazione”.

La odierna Corte attesta che la clausola claims-made pura non comporta alcun squilibrio nella prestazione resa dall’assicuratore. Ricordiamo che per claims.made si intende che l’assicurazione risponde solo e sempre dei danni comunicati dall’assicurato in vigenza di polizza.

In tal modo l’assicurazione assorbe il rischio dei possibili sinistri dovuti a comportamenti precedenti alla stipula ma non risponde per quelli dovuti a comportamenti posti in essere durante la vigenza contrattuale ma comunicati dopo la scadenza.

Afferma la S.C.: “la maggiore alea per l’assicurato di vedersi non indennizzati i sinistri che vengono a verificarsi in prossimità della scadenza della polizza … viene ad essere compensata dalla maggiore alea che grava sull’assicuratore per eventuali richieste risarcitorie presentate dopo l’inizio della efficacia del contratto, per sinistri occorsi anteriormente ad essa: non risultando in tal modo alterato il sinallagma delle prestazioni a carico dei contraenti”.

Conferma, infine, che va esclusa la natura vessatoria della clausola “claims made”, in quanto non integra una limitazione della responsabilità in capo all’assicurazione ma è riconducibile piuttosto alla delimitazione del rischio incidente sull’oggetto del contratto.

 

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