Responsabile il medico se non risolve il dubbio diagnostico

L’errore diagnostico si configura anche quando si omette di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi. Cassazione Sentenza n. 12968/2021

Responsabile il medico se non risolve il dubbio diagnostico

L'esercizio dell'attività medica, come si sa, impone a chi la pratica la massima prudenza, perizia e diligenza nello svolgimento delle attività sanitarie che essa comporta, soprattutto con riguardo alle sue fasi più delicate come la diagnosi e l’individuazione della terapia, anche chirurgica, da effettuare sul paziente.

La scelta degli interventi terapeutici è rimessa alla discrezionalità del sanitario, cosicché la colpa di quest’ultimo, è ravvisabile nell’osservanza delle regole di condotta proprie della professione finalizzate alla prevenzione del rischio collegato alla scelta terapeutica.

Quando più alternative sono possibili, gli obblighi derivanti dalla posizione di garanzia del medico si fanno ancor più rigorosi al fine di evitare ogni rischio per salute stessa del paziente.

Talché, secondo quanto di recente stabilito dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 12968 del 6 Aprile 2021) in tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si può configurare anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi.

In particolare, è stata di recente ritenuta imprudente la condotta sanitaria di procedere ugualmente all’intervento chirurgico, senza previamente espletare gli esami strumentali e senza somministrare una terapia farmacologica.

Vediamo, quindi, qual è stato l’iter argomentativo utilizzato dalla Corte per stabilire quando la scelta del sanitario può dirsi improntata alla massima prudenza, o per contro, ha messo a rischio la salute e la vita del paziente.

 

Il caso all’esame della Suprema Corte

La vicenda tratta dai supremi giudici trae origine dal ricorso della parte civile, avverso la posizione di un chirurgo, assolto dal reato di lesioni colpose.

Il chirurgo era stato chiamato a rispondere per la scelta di aver sottoposto una paziente ad un intervento chirurgico di isterectomia totale per via laparoscopica per una sospetta endometriosi senza che sussistesse alcuna indicazione, omettendo di compiere preliminarmente gli accertamenti strumentali, quali una risonanza magnetica dello scavo pelvico e una ecografia transvaginale con sonda ad alta frequenza, che avrebbero consentito di formulare una diagnosi corretta e sicura, o comunque di escludere l'esistenza della suddetta patologia.

Il chirurgo, secondo i ricorrenti, nonostante il mancato espletamento degli esami strumentali e di una terapia farmacologica, procedeva ugualmente all’intervento chirurgico, che, per la considerevole probabilità di produrre gravi conseguenze lesive a danno della paziente, doveva ritenersi altamente rischioso.

Le difese di parte civile, insomma, contestano al sanitario la mancanza di un’effettiva valutazione del rischio, tale per cui, se il medico avesse effettivamente intrapreso il percorso diagnostico suggerito all’epoca dalla migliore scienza ed esperienza di quel contesto storico dalla società scientifica, si sarebbe potuto evitare l’intervento assai rischioso per la paziente, poi deceduta.

La Corte, ritiene fondato tale rilievo, attinente alla scelta di procedere ad un intervento chirurgico per sua natura rischioso, ancorché corretto nelle sue modalità di espletamento, ed annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, rinviando per un nuovo giudizio al giudice di merito.

 

Responsabilità medica e diagnosi differenziale

Il punto centrale posto alla base della decisione dei supremi giudici va rinvenuto nella contestazione dell'intervento chirurgico eseguito sulla paziente, conseguente ad un’errata diagnosi.

Infatti, se con esami più approfonditi, poteva essere scoperta qualche patologia tale da sconsigliare l’intervento, il medico avrebbe dovuto indagare tale alternativa qualora ciò avrebbe potuto cambiare il quadro clinico, con l’effetto che l’operazione sarebbe stata considerata molto più pericolosa di quanto si potesse pensare.

Entra in rilievo il tema della c.d. “diagnosi differenziale” in medicina.

La “diagnosi differenziale” in medicina è quel procedimento che tende a distinguere tra patologie che possono presentare sintomi e aspetti simili.

E’ un percorso di esclusione, non solo dal punto di vista logico ma anche scientifico; quando ci si trova dinnanzi ad un quadro sintomatologico che può essere dovuto a più cause alternative, a più malattie, l'individuazione della malattia è la tappa di arrivo di un percorso intellettuale per esclusione.

La malattia viene, quindi, individuata per via residuale, una volta che le ipotesi alternative sono state eliminate.

Tale processo avviene sia mediante l'esame diretto sul paziente, la c.d. clinica, sia mediante le indagini strumentali: analisi di laboratorio o immagini diagnostiche.

La colpa per omessa diagnosi differenziale consiste in un mancato approfondimento diagnostico, che preclude di giungere ad una diagnosi corretta, alla quale invece poteva approdarsi.

Il medico è tenuto a valutare se occorra compiere gli approfondimenti diagnostici necessari, per stabilire quale sia l'effettiva patologia che affligge il paziente ed adattare le terapie a queste plurime possibilità; l'esclusione di ulteriori accertamenti può essere giustificata esclusivamente per la raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa.

Fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico-chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado di escludere la patologia alternativa, proseguendo gli accertamenti diagnostici ed i trattamenti necessari.

L’errore diagnostico, dunque, “si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi” (Cass. Pen. Sez. 4, n. 23252 del 21/02/2019; Cass. Pen. Sez. 4, n. 21243 del 18/12/2014).

 

La casistica giurisprudenziale in ambito di diagnosi differenziale

La giurisprudenza nelle quali viene richiamato in modo esplicito il principio in esame, per il quale cioè versa in colpa il medico che non pone in diagnosi differenziale la malattia che genera il quadro clinico, ha riguardato, tra gli altri il caso esaminato da Cass., sez. IV, 12 febbraio 2004, n. 14881.

Si è ritenuto che la morte di un bambino di undici anni per gli esiti di peritonite fosse riconducibile a colpa per imperizia del medico che aveva trattato il caso del piccolo paziente poiché, a fronte di un quadro clinico caratterizzato da sintomi indicativi di un'appendicite acuta, aveva sopravvalutato l'esito negativo dell'esame dell'addome e ritenuto quindi l'esistenza di una patologia renale senza considerare la frequenza dei casi, non inconsueti, di appendicite nei quali l'esame dell'addome non fornisce indicazioni utili per la "posizione retrocecale dell'appendice".

La diagnosi alternativa forma oggetto anche della sentenza Cass., sez. V, 16 febbraio 2005, n. 11969, dove il medico è stato ritenuto in colpa per aver sottovalutato, in presenza di un elettrocardiogramma negativo, i sintomi clinici indicativi di una cardiopatia in atto optando per una diversa diagnosi, poi smentita dall'improvviso decesso del paziente, e omettendo quindi di adottare le cautele necessarie in presenza di un quadro clinico idoneo alla formulazione di una duplice diagnosi.

 

Gli obblighi del medico di fronte ad un intervento chirurgico rischioso

L'attività del medico deve essere improntata alla massima prudenza.

Se il sanitario si trova di fronte a due alternative terapeutiche, prima di scegliere quale strada intraprendere, deve sottoporre il paziente a tutti gli accertamenti diagnostici necessari.

In ambito di responsabilità medica, la giurisprudenza di legittimità, si è sempre espressa nel senso della necessità del sanitario, posto di fronte all'alternativa di stabilire la terapia curativa, di preferire la soluzione meno pericolosa per la salute del paziente, tanto più laddove una di esse sia costituita da un intervento idoneo a produrre molto probabilmente effetti demolitivi permanenti.

La colpa del sanitario è rinvenibile ogni qualvolta in cui lo stesso non si astiene da un intervento che la comune cultura nel settore ritiene oltremodo rischioso e giudica utile solo in caso di certezza di una determinata diagnosi.

A tal fine, il medico è obbligato ad acquisire tutte le informazioni necessarie sia dal paziente che da altre fonti affidabili, per garantire la correttezza del trattamento chirurgico.

Il medico, prima di eseguire un’operazione, deve effettuare tutte le indagini possibili per arrivare a una diagnosi certa, in modo da restringere il quadro diagnostico e sulla base di ciò valutare il percorso clinico più sicuro per il paziente, ad esempio, praticando terapie farmacologiche, in alternativa all’intervento chirurgico.

La colpa medica professionale per errore diagnostico si configura, infatti, non solo quando costui non riesce a inquadrare il caso clinico in una patologia specifica in presenza di uno o più sintomi, ma anche quando omette di eseguire o disporre controlli ulteriori e doverosi per procedere a una corretta formulazione della diagnosi.

Bisogna riportarsi al momento in cui la decisione di operare è stata presa e valutare, ora per allora, se, con esami più approfonditi, poteva essere scoperta qualche patologia tale da sconsigliare l’intervento.

Se come nel caso di specie, un adeguato approfondimento diagnostico, previo espletamento di tutti gli esami preventivi del caso, poteva ragionevolmente far emergere un quadro clinico diverso, così da evitare l'intervento chirurgico rischioso, la condotta del medico non può, quindi, essere immune da censure.

Avv. Angelo Forestieri

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione Penale Sez. 4, Sentenza n. 12968 dep. 06/04/2021

 

 

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