Responsabilità da sperimentazione di farmaco fra casa farmaceutica e azienda ospedaliera
Archiviata la responsabilità da “contatto sociale” per la responsabilità medica. La casa farmaceutica risponde a titolo contrattuale o per responsabilità da prodotto pericoloso ex 2050 c.c.? Cass. Sentenza n. 10348/2021

Il fatto.
Tizio, al fine di curare una malattia oncologica grave, decideva di aderire alla sperimentazione di un farmaco promosso dalla casa farmaceutica Alfa e di cui l’azienda ospedaliera si era fatta parte operativa.
Dopo alcuni mesi dalla somministrazione del nuovo farmaco, Tizio accusava problematiche cardio-circolatorie, all'aggravamento delle quali veniva interrotta la sperimentazione.
Dopo alcuni anni di visite ed esami, veniva diagnosticato a Tizio uno scompenso cardiaco dovuto a patologia cardiovascolare, rilevandosi che tale patologia era una diretta conseguenza della somministrazione del farmaco sperimentale, risultando come possibile effetto collaterale anche dal modulo illustrativo utilizzato per il rilascio del consenso informato.
Agiva in giudizio Tizio per chiedere il risarcimento del danno e il tribunale accoglieva la domanda condannando Casa Farmaceutica ed Azienda Ospedaliera (con condanna solidale) al risarcimento del danno.
Sentenza confermata in grado di appello.
Entrambe le corti del merito avevano ritenuto che la figura dello sperimentatore delegato consentisse di inquadrare nell'ambito contrattuale anche il rapporto tra la casa farmaceutica e Tizio, ravvisando nella specie gli estremi del «contatto sociale» (e ciò tanto più in quanto la casa farmaceutica non aveva dimostrato in alcun modo l'inesistenza di un rapporto o collegamento tra sé e i medici della struttura ospedaliera napoletana).
Inoltre, le corti del merito avevano ravvisata un'errata valutazione del rapporto costi-benefici ai fini dell'inserimento di Tizio nel programma sperimentale.
Sul caso si è pronunciata la Corte di Cassazione con Sentenza n. 10348 depositata in data 20 aprile 2021.
Il principio del “contatto sociale” archiviato per la responsabilità medica?
La Corte di Cassazione brevemente liquida il principio della responsabilità sanitaria da «contatto sociale» la quale, ricorda, venne elaborata dalla giurisprudenza, a partire dall’arresto della Corte di Cassazione n. 589/1999 1) per inquadrare secondo il paradigma contrattuale la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti,
Concetto sviluppatosi via via fino a considerare che il rapporto che il paziente pone in essere con la struttura sanitaria e con il medico oltre che avere effetti tra le parti, estende i suoi effetti (denominati “protettivi”) anche verso i congiunti del paziente.
Si ricorda l'importante arresto della S.C. del 2 Ottobre 2012 n. 16754, secondo il quale l'omessa diagnosi di malformazione del feto e conseguente nascita indesiderata, portano al diritto del nato a chiedere il risarcimento del danno per la sua esistenza diversamente abile, oltre che il diritto del padre ad ottenere il risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione accoglie la lamentela promossa dalla casa farmaceutica riguardante l’inesistenza di responsabilità per “contatto sociale”, ricordando che la Legge Gelli-Bianco ha modificato radicalmente le precedenti impostazioni.
Tale responsabilità, afferma la Corte, va esclusa (anche se chiarisce subito: “ … nel caso specifico … “); aggiunge che la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della casa farmaceutica su un "contatto sociale" non sussiste stante la non sussistenza del “contatto”, che non vi è stato in particolare con Tizio, giacché sarebbe emerso pacificamente che costui aveva avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell'Azienda Ospedaliera.
Aggiunge in ordine al concetto di "contatto sociale" che "siffatta categoria giuridica (ormai superata, nello specifico ambito sanitario, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 7 I. n. 24/2017, che ha ricondotto in ambito extracontrattuale la responsabilità del sanitario esercente la propria attività alle dipendenze di una struttura, «salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente») presuppone dunque l'accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti (il "contatto", per l'appunto) che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell'eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta."
Quindi rivolge l’attenzione agli usuali canoni interpretativi della responsabilità, il quali nel caso della casa farmaceutica dovranno entrare nell’ipotesi della responsabilità contrattuale solamente se l’operazione di reclutamento di Tizio risultasse riferibile (oltre che alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, “ in modo che l'inadempimento individuato a carico dei sanitari (quale quello evidenziato dalla Corte territoriale) risulti imputabile anche alla società farmaceutica a norma dell'art. 1228 c.c..”.
Non è sufficiente far riferimento ad un generico concetto di delega (come aveva assunto il Tribunale) fra casa farmaceutica e ospedale, dovendosi piuttosto accertare compiutamente il contenuto del rapporto intercorso fra i due. Solamente qualora questo esame consenta di qualificare i medici sperimentatori come ausiliari (non solo dell'Azienda, ma anche) ma anche della casa farmaceutica, della quale la stessa si sia valsa nell'adempimento di un'obbligazione assunta nei confronti di Tizio, si potrà estendere la responsabilità contrattuale nei confronti della casa farmaceutica.
Ancora, afferma la Corte: “Né un siffatto rapporto di ausiliarietà fra medici sperimentatori e casa farmaceutica può essere presunto per il solo fatto che la [casa farmaceutica] sia stata promotrice della sperimentazione, dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi sia stata partecipazione -anche mediata- della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale, tale da consentire di qualificare la struttura ospedaliera e i medici "sperimentatori" come ausiliari della prima, in modo da poter predicare la responsabilità della società farmaceutica ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.;”.
Produttore di farmaco e attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c.
Qualora non sia possibile ricondurre a responsabilità contrattuale l’attività degli sperimentatori alla casa farmaceutica, la responsabilità di quest’ultima potrà essere esaminata a titolo extracontrattuale.
La responsabilità extracontrattuale potrà essere definita in relazione alle fattispecie di cui all'art. 2050 c.c. o all'art. 2043 c.c., dovendosene provare tutti gli elementi.
E’ ben noto come la dimostrazione di responsabilità contrattuale agevoli la parte danneggiata sotto il profilo probatorio, mentre, viceversa, l’illecito aquiliano debba essere provato in tutte le sue componenti (fatto – danno – nesso, a cui aggiungere l’elemento soggettivo).
Afferma la Suprema Corte: “dunque affermarsi, in termini generali, che la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica -eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici- può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici "sperimentatori", soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dell'accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell'art.1228 c.c.; in difetto, a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell'artt. 2050 c.c. o, eventualmente, dell'art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa”.
Sulla qualificazione dell’attività di produzione e immissione in commercio di farmaci come attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., il provvedimento in questione non si sofferma considerando superata la questione con l'accoglimento del primo motivo. Tuttavia, su tale inquadramento della responsabilità del produttore di farmaci, la giurisprudenza si è soffermata varie volte, e storicamente rilevante è la Sentenza n. 6587 del 07/03/2019 della Terza Sezione, la quale ha affermato il seguente princpio:
“ai fini dello scrutinio in ordine alla sussistenza della prova liberatoria di cui all'art. 2050 c.c. (e cioè la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno), è necessario valutare, da un lato, la rigorosa osservanza di tutte le sperimentazioni e i protocolli previsti dalla legge prima della produzione e della commercializzazione del farmaco … ; dall'altro l'adeguatezza della segnalazione dell'effetto indesiderato, dovendosi solo per completezza qui precisare che non una qualunque informativa circa i possibili effetti collaterali del farmaco possa scriminare la responsabilità dell'esercente, essendo invece necessario che l'impresa farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche, allo stato di avanzamento della ricerca, al fine di eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti nella maniera più completa ed esaustiva possibile i potenziali consumatori”.
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1 - Si riportano alcuni passaggi della motivazione: “ … trattandosi dell'esercizio di un servizio di pubblica necessita', che non puo' svolgersi senza una speciale abilitazione dello Stato, da parte di soggetti di cui il "pubblico e' obbligato per legge a valersi" (art. 359 c.p.), e quindi trattandosi di una professione protetta, l'esercizio di detto servizio non puo' essere diverso a seconda se esista o meno un contratto. La pur confermata assenza di un contratto, e quindi di un obbligo di prestazione in capo al sanitario dipendente nei confronti del paziente, non e' in grado di neutralizzare la professionalita' (secondo determinati standard accertati dall'ordinamento su quel soggetto), che qualifica ab origine l'opera di quest'ultimo, e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalita' ha fatto affidamento, entrando in "contatto" con lui. …
In assenza di dette ipotesi di vincolo, il paziente non potra' pretendere la prestazione sanitaria dal medico, ma se il medico in ogni caso interviene (ad esempio perche' a tanto tenuto nei confronti dell'ente ospedaliero, come nella fattispecie) l'esercizio della sua attivita' sanitaria (e quindi il rapporto paziente-medico) non potra' essere differente nel contenuto da quello che abbia come fonte un comune contratto tra paziente e medico. …
il medico-chirurgo nell'adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attivita' professionale e' tenuto ad una diligenza che non e' solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall'art. 1176, comma 1, ma e' quella specifica del debitore qualificato, come indicato dall'art. 1176, comma 2, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica.”.Tale impostazione aveva assunto conseguenze anche sotto il profilo probatorio.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Sez. III, Sentenza n. 10348 del 20/04/2021
FATTI DI CAUSA
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