IRAP Avvocati e presenza praticanti nello studio
La Corte di Cassazione in ordine all'applicabilità dell'IRAP nello studio professionale

La Cassazione Civile torna, per l’ennesima volta, ad occuparsi del tributo IRAP a carico dei professionisti.
Con la sentenza del 23 luglio 2013 numero 17920 la Sezione Sesta della Corte, su ricorso presentato da avvocato professionista avverso decisione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana (Firenze) del febbraio 2011 che respingeva il gravame proposto in proprio confutando il richiesto rimborso dell’IRAP pagata negli anni 2002-2006, ha negato che la sola circostanza della presenza di praticanti nello studio, anche se retribuiti e forniti di spazi indipendenti possa, in assenza di una puntuale indagine sulla sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione (indagine da compiersi per opera del Giudice di merito), ritenersi sufficiente per farsi luogo all’applicazione del tributo.
Cassata la sentenza gravata, la Corte ha disposto rinvio della controversia ad altra sezione della Commissione Regionale fiorentina per l’applicazione del principio alla fattispecie concretae per la decisione sulle spese di procedura.
La principale ragione adotta dalla Corte a supporto e fondamento della decisione pare individuarsi nella funzione formativa che i praticanti svolgono all’interno dello studio sotto l’egida del professionista, funzione che non può, per la sola circostanza della presenza di un compenso o di una dotazione di spazi, assimilarsi alla figura del lavoratore subordinato, non partecipando alla formazione del reddito del professionista.
In verità e nonostante il richiamo a precedente conforme risalente al 2009, sul punto si ricordano decisioni contrastanti delle Commissioni.
Certamente merita pregio il disposto rinvio ai fini della corretta applicazione del principio di diritto, laddove la Commissione non potrà non tenere conto, ai fini dell’individuazione dell’autonomia di organizzazione (presupposto dell’imposta), dell’elemento formativo da bilanciare con l’eventuale espletamento, retribuito, di mansioni tipiche di un lavoratore subordinato. La prevalenza della prima peculiarità, da analizzarsi in concreto, a nostro giudizio dovrà condurre ad un giudizio negativo circa l’applicazione del tributo per l’assorbente rilievo che le eventuali attività che potrebbe compiere altro dipendente non praticante costituirebbero soltanto l’espletamento, per il futuro avvocato, di compiti “residuali” e/o di “contorno”, ininfluenti per l’applicazione del presupposto impositivo.