Responsabilità erariale del Giudice Tributario per colpa grave
Sentenza senza precedenti della Corte dei Conti sulla responsabilità erariale del magistrato tributario per assenze e mancata stesura di provvedimenti

Con sentenza numero 133 del 26 agosto 2013 la Sezione giurisdizionale per l'Emilia-Romagna della Corte dei conti, ha condannato un Giudice in servizio presso la Commissione Tributaria Provinciale al risarcimento del danno erariale a favore del Ministero dell'Economia per responsabilità amministrativa.
Il provvedimento merita di venire segnalato a motivo della sua particolarità investendo la responsabilità di soggetto chiamato a svolgere funzioni giurisdizionali che, in linea di principio e ad un superficiale approccio, sembrerebbero sottratte al sindacato della giurisdizione contabile.
Il giudizio prende le mosse da una segnalazione inoltrata dall'Ufficio di Presidenza della Commissione Tributaria Regionale presso la quale il Giudice prestava servizio alla Procura Regionale della Corte dei Conti, segnalazione cui faceva seguito accurata istruttoria svolta dalla Procura ricevente all'esito della quale veniva disposta la citazione in giudizio.
Le ragioni di fatto che la Procura ha portato a fondamento della domanda di risarcimento possono così sintetizzarsi:
- omissione del deposito dei fascicoli e delle sentenze relative alle udienze di discussione tenutesi nell'arco temporale compreso tra il novembre del 2005 e il dicembre del 2008 per un totale di 91 provvedimenti per i quali il convenuto era stato designato relatore ed estensore;
- assenza, senza giustificato motivo, da numerose udienze indicate nel numero di otto, alla data di instaurazione del giudizio.
A fronte di detti fatti, documentati ed accertati, la Procura riteneva sussistere l'ipotesi di colpa grave per reiterata violazione degli obblighi di servizio e, di conseguenza, la responsabilità amministrativa con distinzione tra danno patrimoniale diretto e danno da disservizio, danno, quest'ultimo, ravvisabile nell'aggravamento degli adempimenti amministrativi e di organizzazione del lavoro dell'ufficio (riassegnazione dei fascicoli ad altro Giudice, ritardi con conseguenti costi a carico dell'Erario ecc.). Voci di danno che la Procura stimava in euro dodicimila (danno patrimoniale diretto), ammontare corrispondente agli emolumenti fissi percepiti nel periodo dal convenuto, e, in via equitativa, in importo eguale per l'aggravamento che la condotta omissiva avrebbe comportato all'organizzazione del lavoro della Commissione (danno da disservizio) con maggiorazione di interessi, rivalutazione. Con specifica domanda di condanna alle spese di lite.
Si costituiva il convenuto il quale negava la sussistenza di responsabilità osservando, in particolare:
- che le ragioni del ritardo erano motivate da un grave problema familiare;
- che le assenze contestate furono sempre giustificate sia pure oralmente e con debito preavviso;
- che 34 dei provvedimenti non depositati erano già stati stampati al momento della perquisizione compiuta e al sequestro dei fascicoli da parte della Guardia di Finanza mentre le relazioni riguardanti altri 53 fascicoli sarebbero state, sempre all'epoca del sequestro, già redatte ma non ancora stampate (sarebbero state presenti nel computer del convenuto).
- che, nel periodo di riferibilità degli addebiti, il convenuto avrebbe preso parte alle udienze di sezione e quindi alle relative decisioni anche come Giudice non relatore;
- che non sarebbero ravvisabili gli elementi oggettivi e soggettivi a fondamento di una condotta colpevole, vuoi per insussistenza di danno erariale vuoi per carenza dell'elemento soggettivo nella condotta.
La Corte, in via pregiudiziale, condividendo le argomentazioni sviluppate dalla Procura, riteneva la sussistenza, nella fattispecie in esame, della giurisdizione contabile riconoscendo che la condotta del convenuto, giudice tributario di Commissione Provinciale, non avesse alcuna attinenza con il contenuto di provvedimenti giurisdizionali e quindi la decisione non avrebbe avuto riflessi sul concreto esercizio della funzione giudicante. Facendo richiamo al costante orientamento della Suprema Corte, il Collegio riteneva di poter distinguere, nella condotta del convenuto, tra comportamenti inerenti gli obblighi di servizio e altri comportamenti, sottratti da sindacato, attinenti all'esercizio delle funzioni giudicanti.
Nel merito, la Corte affermava la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi di una responsabilità a carico del convenuto, prendendo a riferimento la disciplina normativa sull'ordinamento della giustizia tributaria e, segnatamente, delle puntuali e specifiche disposizioni riguardanti l'organizzazione degli uffici, del lavoro e di svolgimento dei compiti dei singoli giudici tributari e delle sezioni nel complesso.
A giudizio della Corte le emersioni documentali sono idonee a provare il mancato adempimento del convenuto all'obbligo di correttezza e diligenza professionale, con profilo di colpa grave.
Sia il mancato deposito dei fascicoli che delle sentenze nel periodo oggetto di controversia, sia le assenze che avrebbero dovuto essere comunicate, giustificate ed autorizzate nei termini e nei modi indicati dalle norme richiamate (circostanza, quanto alla comunicazione e alla giustificazione, non rinvenibile in atti), sarebbero, come provati, elementi oltremodo sufficienti ad integrare la responsabilità contestata.
Quanto all'elemento soggettivo, sulla cui mancanza la difesa del convenuto pare avere dedicato particolare riguardo, la Corte ritiene di aderire al concetto di colpa grave espresso e definito, nei suoi tratti, dalla Corte dei Conti, quale espressione di colpa professionale ex. articolo 1176 comma secondo del codice civile, ossia in quella "particolare diligenza occorrente con riguardo alla natura e alle caratteristiche di una specifica attività esercitata".
Pertanto, a giudizio della Corte, affinché si abbia colpa grave non è richiesto un comportamento assolutamente abnorme bensì è sufficiente che " l'agente abbia omesso di attivarsi come si attiverebbe, nelle stesse situazioni, anche il meno provveduto degli esercenti quella determinata attività".
Sulle voci di danno, la Corte provvedeva a decurtare la somma richiesta dalla Procura, quale danno patrimoniale diretto, riconoscendo che il convenuto ha partecipato alla maggior parte delle udienze fissate nel periodo oggetto di esame.
Riteneva altresì sussistente un danno da disservizio causato all'apparato amministrativo della Giustizia Tributaria, configurabile quale mancato conseguimento del buon andamento dell'azione pubblica e stimabile nel minor valore delle prestazioni rese e la misura dell'aggravamento dei costi amministrativi connessi all'accertamento delle irregolarità e agli adempimenti conseguenti. Detto danno, quindi, secondo la Corte andrebbe distinto dal danno patrimoniale e sarebbe costituito "dalle somme che l'amministrazione ha utilizzato per supplire alla mancata o imparziale prestazione del servizio stesso, risorse di tempo e denaro che altrimenti sarebbero state utilizzate per fini istituzionali".
Nella specie, il danno da disservizio sarebbe identificabile nei costi sostenuti perché il servizio non è stato in parte o in tutto reso (dall'Amministrazione), con distrazione di risorse impiegate nella ricerca dei fascicoli non depositati, nella stesura dei solleciti, nella riassegnazione delle cause e nel deposito delle sentenze.
Alla soccombenza veniva connessa la condanna alle spese di giudizio.
La decisione, come si legge nella sintesi dei fatti narrata, pare unica nel suo genere, salvo ovviamente casi non conosciuti (così afferma la Procura nei propri atti). La rilevanza, che ne suggerisce il commento, può certamente rinvenirsi nell'individuazione del confine tra la condotta che potrebbe essere oggetto di esame e valutazione sotto il profilo del danno erariale da parte della giurisdizione contabile e altra condotta non censurabile o, meglio, censurabile ma da altra giurisdizione e sotto requisiti differenti.
Il giudice tributario convenuto non sarebbe, secondo l'opinione della Corte dei Conti territoriale, esente da responsabilità amministrativa qualora, nonostante la sua posizione particolare nell'ordinamento della giustizia, procuri con la propria condotta non riferibile ad atti espressione della funzione giudicante (nel suo contenuto) un danno erariale a lui riferibile secondo nesso eziologico e sussistendone i presupposti soggettivi.
Una " linea di confine" che la Corte ha, con criteri logici e in modo esauriente, spiegato.