Responsabilità medica, lesioni volontarie e prescrizione civile del diritto
La finalità terapeutica e il consenso informato con risvolti sulla qualificazione del fatto quale lesione volontaria e conseguenze sulla prescrizione del diritto al risarcimento del danno

Nel caso di specie il medico chirurgo procedeva ad effettuare un intervento diverso da quello concordato con i genitori del paziente, più invasivo e delicato, provocando danni permanenti molto gravi.
Giunto il caso avanti la Corte di Cassazione, parte ricorrente sosteneva che l'intervento chirurgico eseguito in assenza di consenso doveva integrare il reato di lesioni, colpose ove il medico avesse ritenuto per errore esistente il consenso, dolose in caso di consapevolezza di tale mancanza, lamentando inoltre, il ricorrente, che la Corte d'appello non aveva tenuto in debita considerazine il fatto che l'attività chirurgica, pur di per sé legittima, qualora non giustificata dal consenso è fonte di illecito penale.
Con sentenza n. 15239 del 3 luglio 2014, la Suprema Corte si sofferma sul dibattuto criterio del consenso informato all'intervento sanitario; richiama, in proposito precedenti giurisprudenziali, come il principio secondo cui «per ravvisare la sussistenza di nesso causale tra lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante l'omessa informazione da parte del medico) e lesione della salute per le, pure incolpevoli, conseguenze negative dell'intervento (tuttavia non anomale in relazione allo sviluppo del processo causale: Cass., n. 14638/2004), deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato l'intervento ove fosse stato compiutamente informato, giacché altrimenti la condotta positiva omessa dal medico (informazione, ai fini dell'acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque evitato l'evento (lesione della salute)» (sentenza n. 2847 del 2010 cit.).
Secondo altro precedente non assume alcuna influenza, «ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, la circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica» (sentenza 19920 del 2013 cit.).
Ma nel caso di specie non vi era discussione sull'eventuale errore medico, mai lamentato.
Si trattava, in sostanza, di stabilire se per il solo fatto di avere operato in assenza del consenso informato, l'eventuale danno subito nell'intervento sanitario (correttamente eseguito) possa qualificare una modifica dell'elemento soggettivo della fattispecie penale (con tutte le conseguenze del caso anche nell'ambito civile, compresa la decorrenza del termine di prescrizione).
Secondo la Corte di Cassazione non ricorrono gli estremi delle lesioni volontarie nel comportamento del sanitario che sia riconducibile nella categoria degli atti medici o nel quale sia comunque rinvenibile una finalità terapeutica.
Nella sentenza è stato, quindi, determinato il seguente principio di diritto;
«In tema di responsabilità civile da trattamento sanitario ed ai fini dell'individuazione del termine prescrizionale per l'esercizio dell'azione risarcitoria, non è ipotizzabile il delitto di lesioni volontarie gravi o gravissime nei confronti del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento da questo non consentito (anche se abbia esito infausto e anche se l'intervento venga effettuato in violazione delle regole dell'arte medica), se comunque sia rinvenibile nella sua condotta professionale una finalità terapeutica o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici. In questi casi, infatti, la condotta non è diretta a ledere e, se l'agente cagiona lesioni al paziente, è al più ipotizzabile il delitto di lesioni colpose se l'evento è da ricondurre alla violazione di una regola cautelare».
Di seguito il testo della Sentenza n. 15239 del 3 luglio 2014:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione del 24 e 25 settembre 2004 __________ convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Pavia, il prof. S.P. ed il Policlinico ______________ affinché fossero condannati al risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento chirurgico alla testa da lui subito nel febbraio 1985, all'età di poco più di un anno, dal quale era derivata, a suo dire, la completa cecità. Tale situazione era conseguente al fatto che il sanitario aveva eseguito un intervento chirurgico diverso da quello concordato, non necessario ed assai più pericoloso di quello stabilito anche con il pediatra che aveva in cura il bambino.
Il Tribunale respinse la domanda e compensò le spese, accogliendo la preliminare eccezione dì prescrizione sollevata dai convenuti.
2. Proposto appello da parte del _________ la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 4 febbraio 2008, ha rigettato il gravame, ha confermato l'impugnata sentenza ed ha compensato le spese del giudizio di secondo grado.
Ha osservato la Corte territoriale richiamando ampi stralci della motivazione resa dal Tribunale di Pavia e condividendone le ragioni - che, poiché l'intervento risaliva al 4 febbraio 1985 ed il primo atto interruttivo della prescrizione era costituito da una lettera raccomandata inviata al Policlinico il 30 dicembre 1998, era comunque decorsa sia la prescrizione quinquennale che quella decennale.
Sicché, per poter ritenere esistente ancora un margine di azione nei confronti degli appellati, l'unico mezzo era quello di configurare, nella specie, l'ipotesi del delitto di lesioni volontarie gravissime, soggetto all'epoca alla prescrizione di anni quindici, estensibile anche a fini civili in base alla previsione dell'art. 2947 del codice civile.
Tuttavia, anche ammettendo che il prof. P. avesse eseguito l'intervento al cranio del piccolo __________ contro l'espressa volontà dei genitori ed in colpevole volontario inadempimento del contratto professionale concluso, secondo la Corte ciò non consentiva comunque di configurare il reato di lesioni volontarie. A tale conclusione la Corte ambrosiana è pervenuta richiamando la precedente giurisprudenza sull'argomento, ponendo in evidenza come la liceità dell'attività chirurgica, sia pure fondata sul principio del consenso informato, escluda che si possa raffigurare il delitto di lesioni dolose «per il solo fatto che l'intervento praticato dal medico chirurgo sia difforme da quello consentito dal paziente o, addirittura, in relazione ad esso il paziente abbia manifestato la propria contrarietà».
La Corte ha quindi riconosciuto che la prescrizione del diritto si era comunque maturata.
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Milano propone ricorso ____________ atto affidato a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi il prof. P. e la F. I. Policlinico ______________ Il ricorrente ha presentato memoria.
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