Diffamazione aggravata se consumata attraverso social network (nel caso, Facebook)
La commissione dei reati di ingiurie e diffamazione attraverso internet integra l'aggravante della consumazione a mezzo stampa (Cass. Pen., Sez. I, 08/06/2015, n. 24431).

1. L'atto del postare l'offesa sulla bacheca Facebook della persona offesa
L'art. 595 cod. pen. incrimina la condotta di chi lede la reputazione altrui comunicando con più persone e se ciò avviene con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di comunicazione il reato è aggravato ai sensi del 3° comma. Il social network rientra tra quei «qualsiasi mezzi di pubblicazione» la cui utilizzazione aggrava la condotta di chi lede l'altrui reputazione. Nel caso di specie si fa riferimento ad un messaggio inserito nella bacheca del noto social network di Mark Zuckemberg.
Il Giudice di prime cure1 aveva escluso l'aggravante dell'uso del mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di comunicazione all'atto del postare un commento offensivo nella bacheca della persona offesa, non integrando secondo il giudicante tale condotta pubblicazione e diffusione del contenuto offensivo se non quando la stessa persona offesa non abbia provveduto ad attivare i possibili meccanismi a tutela della privacy.
Secondo la Corte2, invece, la bacheca di Facebook ha la capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di soggetti in quanto tale strumento racchiude un numero apprezzabile di persone e, in ogni caso, l'utilizzo di Facebook costituisce una modalità con cui gruppi di persone socializzano le rispettive esperienze di vita valorizzando il rapporto interpersonale che viene allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione. L'atto del postare un commento in bacheca, dunque, configura pubblicazione e quindi diffusione dell'offesa stante l'idoneità dello strumento a determinarne la circolazione tra un gruppo di persone numericamente apprezzabile.
Da questi presupposti, la Suprema Corte ha ritenuto rientrante nella fattispecie di cui all'art. 595, co. 3, cod. pen. la pubblicazione di un commento offensivo nella bacheca della persona la cui reputazione ne è risultata pregiudicata.
2. Le precedenti pronunce di legittimità circa la diffamazione con il mezzo del Web.
Il Giudice di legittimità ha avuto modo in passato di affermare che il reato di diffamazione può essere commesso a mezzo internet e che tale ipotesi configura l'aggravante dell'avere commesso il fatto con il mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di comunicazione.
In particolare, per il Consesso il reato di diffamazione è configurabile anche nel caso di inserimento del messaggio diffamatorio in un sito internet, per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti e per il quale deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone3. Così come deve presumersi la diffusione di una notizia immessa nel circuito dei mezzi di comunicazione di massa (siano essi cartacei, radiofonici, televisivi, telematici) senza alcuna eccezione per i siti web, atteso che l'accesso ad essi è solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), di talché l'immissione di notizie o immagini in rete integra la ipotesi di offerta delle stesse "in incertam personam" e dunque implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato e difficilmente accertabile di utenti4. La presunzione della diffusione e della comunicazione a più persone è il criterio che il concetto di "pubblicazione" impone.
Per la Corte, la condotta dell'agente consistita nella immissione di scritti o immagini lesivi dell'altrui reputazione nel sistema "internet" è azione idonea a ledere il bene giuridico dell'onore, anzi configurandosi anche la circostanza aggravante di cui all'art. 595 comma 3 c.p., posto che l'utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è potenzialmente diretta "erga omnes", dovendosi intendere come "evento" del reato la percezione del messaggio diffamatorio da parte di una indistinta generalità di soggetti abilitati ad accedere al sistema "internet", rilevando affatto che tra costoro vi sia o possa esservi lo stesso soggetto diffamato5. Aggravante rinvenuta anche nel caso di invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, nulla rilevando l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi fosse anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consentendo detta situazione di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria6.
3. La diffamazione attraverso social network quale species della diffamazione con il mezzo del Web.
La recente decisione, a ben vedere, non fa altro che trasfondere in tema di social network i principi da tempo enunciati in sede di legittimità nelle ipotesi di diffamazione consumata attraverso internet, costituendo la pubblica offesa tramite social network soltanto una species del più ampio genus riferibile alla diffamazione con il mezzo del Web.
Invero, laddove si è sostenuto che integra il reato di diffamazione aggravata l'immissione nel Web della comunicazione lesiva dell'altrui onore, sia con scritti o immagini, a nulla rilevando ai fini della diversa qualificazione giuridica del reato che tra i fruitori del servizio internet ci sia o possa esservi anche la persona offesa, non potevasi addivenire ad un diverso tipo di valutazione in tema di comunicazione offensiva postata sulla bacheca di Facebook, potendosi nel qual caso rinvenire, come la recente sentenza ha fatto, tutti quegli elementi che depongono a favore di quanto nel tempo enunciato in punto di principio.
Una diversa qualificazione giuridica della condotta testé indicata avrebbe realizzato uno scarto ingiustificato tra i principi generali affermatisi negli anni e il singolo caso concreto, destituendo le enunciazioni di principio alternatesi univocamente nel tempo da quella portata generale che le rende tali. Nulla, dunque, può obiettarsi a quanto statuito dalla Suprema Corte.
Invero, la soluzione adottata dal giudice di prime cure condizionava la verificazione dell'aggravante alla mera eventualità dell'utilizzo da parte della persona offesa degli strumenti riduttivi della visibilità della bacheca personale. In effetti, una siffatta conclusione avrebbe introdotto un elemento ulteriore ai fini della qualificazione giuridica della condotta, vale a dire l'idoneità in concreto dello strumento a rendere pubblica l'offesa a fronte della capacità potenziale affermata dalla Suprema Corte e confermata con la presente sentenza. Un'enunciazione sicuramente aderente ad un diritto penale del fatto, se non fosse che l'utilizzo degli accorgimenti che restringono la visibilità della bacheca personale, vale a dire l'idoneità in concreto dello strumento alla pubblicazione e diffusione ai fini della configurazione dell'aggravante, può essere appurato soltanto attraverso il processo, nulla potendosi asserire a riguardo aprioristicamente.
Dott. Andrea Diamante
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1 Tribunale in composizione monocratica di Roma, dopo che il Giudice di Pace di Roma aveva declinato la sua competenza.
2 Il Giudice di legittimità è stato chiamato a risolvere una questione di competenza. Infatti, il procedimento era stato incardinato di fronte al Giudice di Pace di Roma, il quale ravvisando l'aggravante di cui al comma 3 dell'art. 595 cod. pen. dichiarava la propria incompetenza. Il giudice penale monocratico, a sua volta, non riteneva integrata l'aggravante invece dedotta dal primo giudice.
3 Cassazione penale sez. V 04 aprile 2008 n. 16262. Si faceva riferimento al giornale telematico, per il quale deve presumersi la comunicazione ad un numero plurimo di persone analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno.
4 Cassazione penale sez. V 21 giugno 2006 n. 25875. Proprio per tale principio, secondo la Suprema Corte, essendo la diffamazione reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e, dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato.
5 Cassazione penale sez. V 17 novembre 2000 n. 4741. Il caso di specie riguardava la competenza del giudice italiano nel caso in cui l'inserimento di scritti o immagini diffamatorie all'interno dei siti internet fosse avvenuta in territorio estero, importando piuttosto il luogo in cui la generalità di soggetti avrebbe potuto fruire del sito, stante la natura di reato di evento. Tuttavia la sentenza de qua si fa portatrice dei principi esposti.
6 Cassazione penale sez. V 16 ottobre 2012 n. 44980.
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Di seguito il testo di Corte Cassazione Penale sentenza n. 24431 del 08/06/2015:
La Corte:
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
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