La falsa rappresentazione giudiziale di un fatto non configura truffa processuale
Non costituiscono truffa processuale gli artifici e raggiri contenuti in una domanda giudiziale, volti a trarre in inganno il giudice circa l'esistenza di un sinistro (Cass. Pen. Sez. II, 10 maggio 2016)

Con la sentenza n. 21611 del 10/05/2016, la Seconda Sezione della Suprema Corte si è espressa sulla configurabilità della c.d. truffa processuale a seguito della rappresentazione giudiziale di un fatto inesistente al fine di ottenere il relativo risarcimento dei danni.
1. Il fatto
Imputato per il reato di cui all'art. 640 c.p., veniva tratto in giudizio con l’accusa di tentata truffa consistita nell'intraprendere un'azione giudiziale civile con domanda di risarcimento delle conseguenze lesive di un infortunio sciistico in realtà inesistente1.
Il giudice di primo grado2 assolveva l’imputato per insussistenza del fatto, richiamando la giurisprudenza di legittimità che già in via astratta precludeva la configurabilità della c.d. truffa processuale fuori dall'ipotesi prevista dall'art. 374 c.p. (oltre a ritenere che dall’istruttoria non emergessero elementi atti ad accertare se l’infortunio denunciato fosse veramente accaduto come rappresentato dall’imputato – assoluzione ex art. 530, co. 2 c.p.p.). La Corte d’appello3 confermava quanto statuito dal giudice di prime cure.
2. La questio juris
Secondo la ricorrente parte civile, la condotta posta in essere dall'imputato è tale da indurre in errore tanto il giudice quanto le stesse parti civili che, pertanto, risultano al contempo soggetti raggirati e danneggiati da tale condotta, i quali potevano credere alla versione dei fatti offerta dall'imputato ed autodeterminarsi ad un risarcimento del danno anche prima della pronuncia del giudice. Da ciò, secondo la ricorrente, a prescindere dalla configurabilità della c.d. truffa "processuale", si era in presenza di truffa “ordinaria”.
Tuttavia, la Suprema Corte, concordando con le conclusioni del giudice di merito e recependo pedissequamente il principio in precedenza elaborato dalla stessa Sezione4, ha ritenuto che, pur non esigendosi l'identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell'induzione in errore, «va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una testimonianza falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo (non espressione di libertà negoziale, bensì) esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti».
Dunque, mancando un atto di disposizione patrimoniale, la struttura oggettiva del delitto di truffa difetta di una delle sue componenti, trovando la disposizione patrimoniale la sua causa nell’intervento pubblicistico-giurisdizionale del giudice.
Invero, la Suprema Corte individua le caratteristiche della persona e della funzione del giudice tali da rendere impossibile la configurazione del delitto di truffa attraverso la falsa rappresentazione giudiziale di un fatto. Infatti, il giudice:
a) è persona diversa dalla vittima dell’ingiusto danno,
b) nell’esercizio della funzione giurisdizionale non compie un libero atto di disposizione patrimoniale bensì incide sul patrimonio delle parti nell'esercizio di un potere giurisdizionale di matrice pubblicistica,
c) è privo d'ogni potere di gestione sui beni e di qualsivoglia obbligo di compiere atti giuridici nell'interesse della parte posto che l’esercizio della funzione giurisdizionale è naturalmente diretto al perseguimento dell'interesse generale a prescindere dall'interesse della parte processuale.
Infine, siffatta condotta non è idonea neppure a configurare il delitto di frode processuale, posto che il Legislatore ha già determinato il contenuto della fattispecie delittuosa de qua all'interno della previsione di cui all'art. 374 cod. pen..
L’art. 374 c.p. rubricato frode processuale punisce «chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni». La disposizione punisce altresì chi commette il fatto «nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale internazionale, o anteriormente ad esso».
Vigendo il divieto di analogia in malam partem, nessun'altra condotta diversa da quelle individuate dal Legislatore nell'articolo or ora citato (l'immutare artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone al fine di ingannare il giudice in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nell'esecuzione di una perizia) potrà sussumersi al suo interno espandendone l'area del penalmente rilevante.
Così la Suprema Corte, per cui «dall'esistenza del delitto di frode processuale, sembra potersi desumere la "voluntas legis" di limitare l'incriminazione degli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice ai casi tassativamente descritti dall'art. 374 c.p., e, quindi, l'impraticabilità (pena la violazione del divieto di analogia in malam partem), di ogni operazione volta all'applicazione di questa norma alla c.d. truffa processuale».
In definitiva, la falsa rappresentazione in giudizio di un fatto non è condotta per sé idonea a configurare gli elementi tipici né della truffa "ordinaria" né della frode processuale.
Dott. Andrea diamante
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1 L’imputato, convenendo in giudizio la società gerente dell’impianto sciistico al fine di accertare la sua responsabilità in ordine ad un sinistro ed ottenere il risarcimento dei danni relativi alle lesioni conseguitene, mediante artifici e raggiri consistiti nel prospettare falsamente, nell'atto di citazione, che tale sinistro era avvenuto sull'impianto di risalita gestito dalla convenuta, mantenuto in funzione nonostante le cattive condizioni metereologiche che, a causa dell'inadeguatezza del seggiolino e della scarsa manutenzione della pista, aggiungendo che dette condizioni avevano causato quel giorno "innumerevoli" infortuni con intervento dei "mezzi di soccorso innumerevoli volte", avrebbe compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il giudice a condannare la Società al risarcimento dei danni per le lesioni asseritamente derivate dal sinistro, non conseguendo l'ingiusto profitto per cause indipendenti dalla propria volontà.
2 Tribunale di Reggio Emilia.
3 Corte d'appello di Bologna, seconda sezione penale, n. 332 del 17.03.2015.
4 Cassazione penale sez. II 23 maggio 2007 n. 29929
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione penale Sentenza n. 21611 del 10/05/2016:
Svolgimento del processo
1. T.P. veniva giudicato dal Tribunale di Reggio Emilia sull'accusa di tentata truffa consistita nell'intraprendere un'azione giudiziale civile con domanda di risarcimento delle conseguenze lesive di un infortunio sciistico in realtà inesistente. Il giudice di primo grado, all'esito del dibattimento nel quale si costituivano parti civili la Cerreto Laghi 2004 s.r.l. e la Unipol Assicurazioni s.p.a. (società, quest'ultima, cui era stata diretta la pretesa risarcitoria ed entrambe convenute nel giudizio civile), assolveva l'imputato ex art. 530 c.p.p., comma 2, per insussistenza del fatto.
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