Non applicabile la particolare tenuità del fatto per i procedimenti avanti al Giudice di Pace
Non applicabile la non punibilità per particolare tenuità del fatto nei procedimenti di competenza del Giudice di Pace. Cassazione, Sezioni Unite penali, Sentenza n. 53683/2017

1. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite
«La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace».
Tale il principio cui sono pervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 53683 del 22/6-28/11/2017, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale e alle incertezze applicative dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. nei procedimenti penali innanzi al Giudice di Pace.
2. La questio iuris sollevata dalla sezione rimettente
La III Sezione penale1 disponeva la rimessione alle Sezioni Unite del ricorso presentato dal Procuratore generale presso la Corte d’appello avverso la sentenza del Giudice di pace che aveva ritenuto applicabile l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.2, posto il contrasto giurisprudenziale sull'argomento e ponendo all’uopo la seguente questione di diritto:
«Se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., sia applicabile nei procedimenti relativi ai reati di competenza del giudice di pace».
Invero erano apprezzabili due orientamenti:
- il primo orientamento sosteneva la soluzione della non operatività dell'art. 131 bis c.p. nel procedimento dinanzi al giudice di pace, attribuendo all'art. 34 D. Lgs. 274/2000 valore di norma speciale attraverso la quale si manifesta la "finalità conciliativa" che caratterizza la giurisdizione penale del giudice di pace, evidenziando a tal proposito gli elementi differenziali fra le fattispecie in questione, in termini non sovrapponibili (grado di colpevolezza, occasionalità del fatto nonché pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può arrecare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato), trovando dunque applicazione l’art. 16 c.p. [NdR vedi es. "Davanti al Giudice di Pace non si applica la particolare tenuità del fatto"];
- il secondo orientamento, invece, prende le mosse dallo stesso rilievo dell'orientamento precedente (presenza di elementi differenziali) pervenendo tuttavia alla soluzione opposta, consentendo di ravvisare ambiti di applicazione separati e concorrenti, potendo il Giudice di Pace o quello comunque competente su tali reati trovarsi a constatare la presenza dei requisiti specifici e più stringenti previsti per l'operatività dell'art. 34 D. Lgs. 274/2000 (occasionalità della condotta; astensione della persona offesa dall'esercizio del diritto di opporsi), ovvero la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 131-bis3.
Rilevavano dunque l’art. 131 bis c.p. e l’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, rubricati rispettivamente “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” ed “Esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto”4.
L'Avvocato generale presso la Corte di Cassazione segnalava «come la diversità di disciplina dei due istituti sia, da un lato, la naturale conseguenza, e, dall'altro, il riflesso obbligato dei differenti procedimenti in cui essi sono rispettivamente incastonati nonché delle peculiari finalità di ciascuno», posto che il procedimento innanzi al Giudice di Pace «persegue la finalità di trattare la microconflittualità sociale suscettibile di assumere valenza penale con forme e strumenti mirati e flessibili, i quali attribuiscono un peso speciale all'interesse della persona offesa e al ruolo che le viene assegnato nella procedura».
Il decisum
Le Sezioni Unite ritengono che debba essere convalidato il primo orientamento ermeneutico.
Come spiega la Relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo poi divenuto il d.lgs. n. 28 del 2015, l'istituto della non punibilità per c.d. "irrilevanza per particolare tenuità del fatto" rappresenta il naturale sviluppo degli antecedenti storici rinvenibili nell'ordinamento minorile (art. 27 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448) e nella disciplina del procedimento instaurato innanzi al giudice di pace (art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000).
Tuttavia, mentre l’istituto di cui all’art. 34 D. Lgs. 274/2000 ha natura prettamente processuale in quanto condizione di esclusione della procedibilità, con l’art. 131 bis c.p. il Legislatore ha inteso dar vita ad una depenalizzazione in concreto del fatto tipico costituente reato attraverso l'opera interpretativa del giudice, quantunque quest’ultimo avesse ritenuto tale fatto «non punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale», realizzando quindi il principio dell’extrema ratio. Da tale impostazione deriverebbe l’eslclusione di qualsivoglia "potere di veto" alla dichiarazione di non punibilità ex art. 131 bis c.p., previsto invece nella disciplina di cui all'art. 34 dinanzi al giudice di pace5, «potere di veto che si sarebbe rivelato, se trasformato in un principio dispositivo generale, di ostacolo alla concreta attuazione del principio di proporzione sotteso all'istituto in esame».
Di talché il differente ruolo assegnato alla persona offesa rappresenta uno dei più significativi elementi di differenziazione fra le due discipline, posto che la centralità dell'attribuzione del potere di veto alla persona offesa nell’istituto di cui all’art. 34 D. Lgs. 274/2000 si comprende in virtù della finalità conciliativa che costituisce l’obiettivo della giurisdizione penale del Giudice di Pace6.
Ed invero, le Sezioni Unite ritengono «che la ricerca della eventuale esistenza di un rapporto di specialità nei sensi di cui all'art. 15 cod. pen. non sia l'operazione ermeneutica in grado di dare una risposta soddisfacente ed una chiave di lettura utile al rapporto fra l’art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000 e I'art. 131-bis cod. pen.», essendo ognuno dei due precetti portatore di elementi specializzanti che valgono semmai a qualificarlo come rapporto di "interferenza", mostrando piuttosto l'art. 16 c.p. «che si debba applicare il principio generale di espansività delle disposizioni codicistiche alle materie regolate da altre leggi penali - cioè quelle speciali, come recita la rubrica della norma - con l'espresso limite derivante dal fatto che queste ultime, sulle stesse materie, abbiano già stabilito altrimenti: un limite che ha la natura di una clausola di salvaguardia della disciplina speciale, complessivamente richiamata»7.
Quindi, posto che il D. Lgs. 270/2000 ha carattere di "legge penale speciale" ai sensi e per gli effetti dell'art. 16 c.p., non è possibile limitarsi al raffronto fra i due istituti, dovendosi piuttosto verificare se la legge penale speciale nel suo complesso contiene o meno un'autonoma disciplina della materia, precludendo a priori il confronto fra singole leggi o disposizioni sulla stessa materia, espressamente disciplinato dall'art. 15 c.p.8.
Infine, l'ulteriore profilo della natura sostanziale del nuovo istituto di cui all’art. 131 bis c.p. e dunque dell’attitudine a soggiacere alla disciplina intertemporale prevista dall'art. 2, co. 4,c.p., con obbligo di operatività in quanto lex mitior, non comporta la cedevolezza di tali argomentazioni, stante che secondo le Sezioni Unite «le caratteristiche proprie del novello istituto potrebbero venire in considerazione nei sensi anzidetti, infatti, solo se si superassero le obiezioni mosse alla possibilità di costruire il rapporto fra l'art. 34 e l'art. 131-bis come concorso (apparente) fra norme in rapporto di specialità oppure se si ammettesse la eventualità di una "convivenza" operativa, per i reati di competenza del giudice di pace, tra l'istituto previsto per il processo comune e quello specifico plasmato per il procedimento penale dinanzi a tale organo di giustizia».
Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”
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1 Ordinanza del 4 aprile 2017. Il Primo Presidente con decreto del 2 maggio 2017 assegnava il ricorso alle Sezioni Unite.
2 Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza in data 14 luglio 2015, con la quale il Giudice di pace di Verona ha dichiarato gli imputati non punibili per la particolare tenuità del fatto ad essi contestato ex art. 131 bis c.p. in riferimento alla contravvenzione di inosservanza dell'obbligo della istruzione elementare del figlio minore. Il Giudice di pace aveva ritenuto applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., introdotta con d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
Il Giudice di Pace affrontava la questione del concorso fra l'istituto di carattere generale di cui all’art. 131 bis c.p. e quello previsto dall'art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 applicabile ai soli reati di competenza del giudice di pace e applicabile ai soli casi di procedibilità a querela, ritenendo integrato un caso di concorso apparente fra la norma che disciplinano i due istituti da risolvere secondo il principio di specialità posto dall'art. 15 c.p.. In tal senso, si riteneva speciale l’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. in quanto contenete elementi specializzanti (l'ampliamento del numero dei reati interessati, l'applicazione solo a persone che non siano delinquenti abituali, la maggior snellezza dell'istituto non legato al previo consenso della persona offesa, le implicazioni sull'eventuale giudizio civile in tema di danno e, infine, l'iscrizione del procedimento concluso con la detta formula, nel casellario giudiziale), posta anche la differenza ontologica tra i due istituti, integrando una condizione di non procedibilità quello di cui all’art. 34 e una causa di non punibilità quello di cui all’art. 131 bis c.p.
Il Procuratore generale deduceva con unico motivo di ricorso per Cassazione l’erronea applicazione dell'art. 131 bis c.p. ritenendolo «non operativo nel procedimento speciale dinanzi al giudice di pace, essendo piuttosto applicabile l'art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, il quale regola i casi di definizione di detto procedimento mediante esclusione della procedibilità quando risulta la particolare tenuità del fatto».
3 Orientamento argomentatamente sostenuto da Sez. 5, n. 28737 del 09/06/2017, M., non mass.; Sez. 5, n. 24768 del 06/05/2017, Acotto, non mass.; Sez. 5, n. 15579 del 13/01/2017, Bianchi, Rv. 269424; Sez. 5, n. 9713 del 12/01/2017, Rubiano, Rv. 269452; Sez. 2, n. 1906 del 20/12/2016, dep. 2017, Barranco, non mass.; Sez. 4, n. 40699 del 19/04/2016, Colangelo, Rv. 267709.
«Tali sentenze, pur prendendo le mosse dallo stesso rilievo dell'orientamento precedente riguardo alla differenza che connota gli istituti in esame, pervengono alla soluzione opposta. E cioè, dopo avere ribadito sotto qualsiasi profilo il concorso apparente fra le due norme, da sciogliere mediante ricorso al principio di specialità, segnalano l'irragionevolezza della esclusione dell'art. 131-bis proprio in relazione a fatti di minima offensività, quali sono quelli di competenza del giudice di pace, oltre che la elusione delle finalità deflative perseguite con la riforma del 2015 che ha dato vita alla nuova causa di esclusione della punibilità.
Ma soprattutto, in punto di diritto, l'orientamento in questione fa leva sulla natura sostanziale del nuovo istituto, richiamandosi espressamente alla sentenza Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593, la quale su tale base ha sviluppato e argomentato la conclusione della applicabilità dell'art. 131-bis ai procedimenti pendenti al momento di entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2015, esaltando gli effetti di maggior favore della nuova causa di non punibilità. Un precetto che il principio posto dall'art. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU), come interpretato dalla Corte di Strasburgo, imporrebbe di applicare anche retroattivamente, come del resto previsto anche dall'art. 2, comma 4, cod. pen., con il solo ostacolo del giudicato.
In conclusione, per tale orientamento, non diversamente che per il precedente, i due istituti presentano profili di assoluta diversità. Ma proprio tale connotato è quello che consentirebbe di ravvisare ambiti di applicazione separati e concorrenti, potendo il giudice di pace o quello comunque competente su tali reati, trovarsi a constatare l'assenza dei requisiti specifici e più stringenti previsti per l'operatività dell'art. 34 (occasionalità della condotta; astensione della persona offesa dall'esercizio del diritto di opporsi), ed invece la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.
Non osterebbe a tale conclusione il "principio di specialità" dal momento che le due norme non si trovano in rapporto di genere a specie.
D'altra parte, si segnala l'erroneità del riferimento all'art. 2 d.lgs. n. 274 del 2000, che riguarda la relazione fra le norme del codice di procedura penale e le norme processuali dello speciale rito dinanzi al giudice di pace.
Non consta neppure una presa di posizione esplicita da parte del legislatore dovendosi, semmai, tenere conto del fatto che, durante i lavori preparatori del decreto legislativo, lo specifico invito della Commissione Giustizia a introdurre nello schema di decreto legislativo un coordinamento fra le due discipline in questione fu declinato osservando che la legge-delega non lo richiedeva».
4 Art. 131 bis c.p. Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
1. Nei reati per i quali é prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità é esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa é di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
2. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
3. Il comportamento é abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
4. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69.
5. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
Art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto.
1. Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato.
2. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d'archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento.
3. Se è stata esercitata l'azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono.
5 L’intento conciliativo è rafforzato «con la previsione (art. 34, comma 3, d.lgs. n. 274 del 2000) di un potere potestativo della persona offesa, riferito ai reati perseguibili a querela, idoneo a precludere la conclusione del processo per minima offensività del fatto, accompagnato dalla previsione (art. 35) che le condotte riparatorie o risarcitorie dell'imputato siano atte a determinare l'estinzione del reato. Il tutto, nella prospettiva che al mancato raggiungimento dell'obiettivo della ricomposizione sociale segua l'affermazione di un diritto penale mite, non soggetto a sospensione di esecuzione ma caratterizzato dall'abbandono delle pene detentive».
6 Come ricorda la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 245 del 2014, la sentenza n. 47 del 2014 e l’ordinanza n. 349 del 2004. Da ultimo anche l'ordinanza n. 50 del 2016 – che richiama espressamente le sentenze n. 64 del 2009 e n. 298 del 2008, nonché le ordinanze n. 56 e n. 32 del 2010 e n. 28 del 2007 – nell'escludere l'irragionevolezza del sistema speciale che non annovera tra le formule terminative del processo quella del patteggiamento, ha osservato «come il procedimento davanti al giudice di pace presenti caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario; il d.lgs. n. 274 del 2000 contempla, infatti, forme alternative di definizione, non previste dal codice di procedura penale, le quali si innestano in un procedimento connotato, già di per sé, da un'accentuata semplificazione e concernente reati di minore gravità, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo: procedimento nel quale il giudice deve inoltre favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e 29, commi 4 e 5), e in cui la citazione a giudizio può avvenire anche su ricorso della persona offesa (art. 21)».
7 «Va ribadito che, da un lato, come dottrina e giurisprudenza concordemente riconoscono, è da escludere che tra l'art. 34 e l'art. 131-bis possa configurarsi un rapporto di genere a specie per la sostanziale diversità dei presupposti e degli effetti riconducibili ai due istituti, con l'ulteriore corollario che non viene in considerazione neppure il tema della possibile abrogazione tacita del primo ad opera del secondo, ai sensi dell'art. 15 prel. Infatti, il requisito fondante di tale precetto, e cioè la incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, è negato in radice proprio dai tratti differenziali delle due fattispecie, che invece non impediscono, in linea di principio, la convivenza di esse nell'ordinamento».
8 Le Sezioni Unite sono ben memori di come la Corte costituzionale nell’ordinanza n. 47 del 2014 – con cui è stata riconosciuta la compatibilità costituzionale della norma sulla esclusione della sospensione condizionale in relazione alle pene per reati di competenza del giudice di pace – ha posto in evidenza come il precetto in esame non potesse essere valutato isolatamente, anche solo nell'ottica della delineazione di eventuali ingiustificate disparità di trattamento ai sensi dell'art. 3 Cost., senza cioè tenere conto delle connotazioni complessive del "microcosmo punitivo" in cui si inserisce e da cui ripete la propria giustificazione. Con la conseguenza che non è dato tentare di istituire una correlazione tra singole componenti della costellazione punitiva, sostanziale e processuale, del giudice di pace, isolatamente considerate, quanto piuttosto è doveroso valutarle in ragione del loro inserimento in un sistema diversamente strutturato nel suo complesso, quale, appunto, quello dinanzi al giudice di pace.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Sezioni Unite penali, sentenza n. n. 53683 del 28/11/2017
RITENUTO IN FATTO
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