Omicidio colposo nel sinistro stradale: difetta la colpa se l’evento è inevitabile
All'eccesso di velocità non è necessariamente ascrivibile ogni conseguenza dannosa, anche se trattasi di incidente mortale. Cassazione penale, Sentenza n.34375/2017

1. La massima
La violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità a titolo di colpa, giacché occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio che la regola stessa mirava a prevenire; difetta, in altri termini, l’evitabilità e quindi la colpa quando l’evento si sarebbe verificato anche qualora il soggetto avesse agito nel rispetto delle norme cautelari.
Così la VI Sezione, fornendo un’ortodossa lettura sulla responsabilità penale per colpa in ossequio all’elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata1, circoscrivendo i confini della violazione della regola cautelare realmente foriera di responsabilità, prendendo le mosse da un caso di violazione delle norme del Codice della Strada.
2. Il fatto
In entrambe le pronunce di merito la dinamica del sinistro veniva pacificamente ricostruita nel senso che il ciclomotore condotto dalla persona offesa, giunto in corrispondenza di un incrocio, rallentava la sua marcia e si accingeva a svoltare a sinistra approssimandosi alla linea di mezzeria, allorquando la conducente perdeva l’equilibrio e cadeva. Contestualmente sopraggiungeva sulla carreggiata opposta l’auto condotta dall’imputato che, non potendo tenere strettamente la destra per la presenza di un’altra auto ferma allo “stop”, giunta all’incrocio con una velocità superiore a quella prescritta, urtava il corpo della persona offesa nel frangente in cui cadeva dal ciclomotore ma prima che arrivasse a terra, cagionandone quindi la morte. Non vi era stato alcun urto tra i mezzi poiché la persona offesa era caduta in terra autonomamente in concomitanza con l’arrivo dell’autovettura.
3. La quaestio iuris
In entrambi i gradi di merito2 l’imputato veniva condannato per il delitto di omicidio colposo aggravato della violazione delle norme sulla circolazione stradale ex art. 589 c.p. vigente ratione temporis.
I giudici del merito individuavano quale profilo di colpa l’eccessiva velocità tenuta dall’imputato nel sopraggiungere all’incrocio che non gli aveva consentito di evitare l’urto con il corpo della vittima.
La Corte di appello riteneva l’evento addebitabile all’imputato a titolo di colpa in quanto questi avrebbe dovuto moderare la velocità in prossimità dell’incrocio, specie per la presenza di un’auto ferma allo “stop” che lo costringeva a non tenere strettamente la destra, dunque avrebbe dovuto tenere un comportamento più prudente per evitare ogni pericolo. Invero, pur ammettendo che il sinistro fosse stato causalmente innescato dalla condotta imperita della vittima, l’evento veniva ricondotto eziologicamente al comportamento colposo dell’imputato che, qualora avesse tenuto la condotta esigibile, avrebbe potuto arrestare la marcia avvedendosi della persona offesa che stava cadendo dal ciclomotore.
L’imputato proponeva ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’accertamento del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento dannoso sotto il profilo della “causalità della colpa”. Secondo la difesa, atteso che le regole cautelari violate dall’imputato non erano comunque idonee ad evitare il rischio determinato della caduta improvvisa della vittima sulla sede stradale, l’evento in esame si sarebbe ugualmente verificato ancorché l’imputato avesse rispettato il limite di velocità, mancando la prova che il comportamento alternativo corretto dell’agente avrebbe con certezza escluso il decesso della persona offesa. Di conseguenza l’evento morte non sarebbe eziologicamente riferibile alla condotta imprudente dell’imputato.
3. Il decisum
Invero, anche il Supremo Collegio ha ritenuto il ragionamento seguito dalla Corte territoriale carente e logicamente viziato, non avendo fatto buon governo dei principi giuridici che regolano l’individuazione della colpa ai sensi dell’art. 43 c.p., ritenendo di conseguenza che il fatto ascritto all’imputato non costituisce reato.
Nel caso in esame, secondo la Corte, il giudice di merito ha erroneamente valutato la condotta dell’imputato «confondendo e sovrapponendo i diversi piani che attengono alla verifica relativa alla sussistenza del nesso causale e al giudizio volto all’accertamento della colpevolezza».
Ed invero, certa la violazione della regola cautelare, se da un lato non si pongono dubbi sulla sussistenza della causalità materiale della condotta ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p., in quanto l’imputato con la sua condotta attiva ha urtato il corpo della persona offesa determinandone il decesso, dall’altro non può invece giungersi ad analoghe conclusioni con riferimento alla causalità della colpa «che si configura quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico o avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno».
Di tal ché la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento non sono sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche chiedersi necessariamente nell’ambito del giudizio di colpevolezza per colpa se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio che la regola stessa mirava a prevenire, difettando l’evitabilità e quindi la colpa quando l’evento si sarebbe comunque verificato, anche qualora il soggetto avesse agito nel rispetto delle norme cautelari.
Nel caso di specie, essendo incontestato che la persona offesa avesse perso l’equilibrio improvvisamente, in maniera del tutto autonoma e contestualmente al passaggio dell’autovettura, l’indagine condotta dal giudicante avrebbe dovuto essere volta ad accertare se una condotta di guida prudente poteva avere significative probabilità di scongiurare l’evento. Un’indagine che avrebbe dato esito negativo.
5. I principi nomofilattici
La Suprema Corte addiviene a tale conclusione facendo uso dei principi nomofilattici formulati dalla Suprema Corte in tema di elemento soggettivo e nesso di causalità nei reati colposi.
- SS.UU., 24/04/2014, n. 38343: il profilo causale della colpa si mostra anche con riferimento al momento soggettivo, quello cioè più strettamente aderente al rimprovero personale e non sarebbe razionale pretendere, fondando poi su di esso un giudizio di rimproverabilità, un comportamento che sarebbe comunque inidoneo ad evitare il risultato antigiuridico; (…) la valutazioni che riguardano lo sviluppo causale si riverberano sul giudizio di evitabilità in concreto, trattandosi dunque della causalità della colpa che si configura non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico, ma anche quando una condotta appropriata aveva apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno;
- Sez. IV, 13/12/2016, n. 9390: il giudice è chiamato ad individuare i tratti tipici caratterizzanti l'evento, per poi procedere formulando l'interrogativo se tale evento era prevedibile ed evitabile ex ante, alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche e delle massime di esperienza;
- Sez. IV, 11/02/2016, n. 7783: l'elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l'evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall'agente con l'adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione "ex ante", non avrebbe potuto comunque essere evitato;
- Sez. IV, 06/11/2009, n. 43966: l'individualizzazione della responsabilità penale per colpa impone di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (ciò che si risolve nell'accertamento della sussistenza del "nesso causale") e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (ciò che si risolve nell’accertamento dell'elemento soggettivo della "colpa"), ma anche se l'autore della stessa potesse "prevedere" "ex ante" quello "specifico" sviluppo causale e attivarsi per evitarlo. In quest'ottica ricostruttiva, occorre poi ancora chiedersi se una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) avrebbe o no "evitato" l'evento: ciò in quanto si può formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno;
- Sez. IV, 22/05/2008, n. 25648: l'essenza della condotta colposa va ravvisata nell'oggettivo contrasto tra la condotta concretamente tenuta dal soggetto agente e quella prescritta dall'ordinamento, sempre che risulti la prevedibilità dell'evento, ovvero la possibilità di riconoscere il pericolo che ad una data condotta potesse conseguire la realizzazione di un fatto; per ascrivere a titolo di colpa l'evento cagionato al soggetto attivo è, inoltre, necessario accertare l'evitabilità dell'evento, ovvero che il prescritto comportamento alternativo corretto fosse in concreto idoneo ad evitare l'evento dannoso.
Dott. Andrea Diamante
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1 - Di cui si dà contezza al punto 5.
2 - Corte di Appello di Bologna, sentenza del 7.10.2016, che confermava la sentenza resa dal Tribunale di Rimini in data 16.07.2010.
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Di seguito il testo di
Cassazione penale, Sezione VI, sentenza 13 luglio 2017, n.34375:
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 7.10.2016, la Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza resa dal Tribunale di Rimini, in data 16.07.2010, che aveva condannato F.M. per il delitto di omicidio colposo aggravato della violazione delle norme sulla circolazione stradale ai danni di S.L.S.R. .
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