Si può lucrare sul compenso dell'avvocato? Un caso nel gratuito patrocinio

La liquidazione del compenso del legale in misura diversa dalla condanna alle spese, nel gratuito patrocinio non è ammessa. Cassazione civile Ordinanza n. 21611/2017

Si può lucrare sul compenso dell'avvocato? Un caso nel gratuito patrocinio

Ci sono alcuni, pochi, casi nei quali ci si ritrova innanzi ad una incongruenza fra la quantificazione del compenso dell'avvocato effettuata dal giudice in sede di emissione del provvedimento e quanto poi viene riconosciuto concretamente in capo allo stesso legale.

Ma vi sono anche casi nei quali per legge all'avvocato spetta una liquidazione del compenso in misura ridotta mentre nulla si dice di quanto dove pagare controparte, ed è il caso del gratuito patrocinio.

Già in queste pagine ho avuto modo di segnalare (vedasi "Diritto al compenso dell'avvocato e condanna - in diversa misura - al pagamento spese legali") come tali incongruenze (genericamente parlando) debbano essere eliminate in un'ottica del consolidamento di un principio che sia chiaro: la condanna al pagamento delle spese legali deve essere una forma di "rimborso" di una spesa effettuata o da effettuare in conseguenza del provvedimento. L'art. 91 cod. proc. civ. usa appositamente il termine "rimborso" immettendo nell'ordinamento una norma inderogabile.

Art. 91 - Condanna alle spese
Il giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a lui condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare ...

Tale principio, che sembrerebbe banale, subisce continui tentativi di deroga, stante l'evidente bramosia di lucrare sul lavoro altrui (non vedo altro modo per descrivere il fenomeno). Citiamo, in primis, certi accordi fra studi legali e committenti "forti" che pattuiscono dei compensi forfettari a pratica per nulla tenendo in considerazione l'eventuale pagamento integrale da parte di controparte soccombente. Accordi che, a mio avviso, sono nulli in quanto contrastanti con il principio sopra indicato.

Un caso particolare è quello della normativa sui compensi introdotta dalla T.U. Spese di Giustizia per il cosiddetto gratuito patrocinio. La normativa prevede che il legale ammesso al gratuito patrocinio possa ricevere dallo Stato i compensi nella misura ridotta del 50% (la metà).
Il legale che accetti di prestare la propria opera a favore di una persona non abbiente che venga ammessa al patrocinio a carico dello Stato sa che quella stessa opera verrà remunerata al 50%.

Ma cosa accade se quel legale risulta vittorioso e controparte viene condannata a pagare l'intero "rimborso" delle spese legali?
In questa problematica subentra il provvedimento che qui sotto si riporta (Cassazione civile Ordinanza n. 21611 19 settembre 2017), che esprime una indicazione giurisprudenziale che merita un plauso.

Era successo, nel caso di specie, che il legale che aveva prestato la sua attività per un soggetto ammesso al gratuito patrocinio, avesse vinto la causa con condanna di controparte a pagare le spese legali. Lo stesso legale aveva visto quelle competenze liquidate a favore del suo cliente volare in direzione delle casse dello Stato, dovendosi lo stesso accontentare di una di gran lunga minore somma.
In effetti, il provvedimento, poi impugnato in Corte di Cassazione, aveva condannato controparte al pagamento della somma di Euro 4.490,00, prevedendo che questa cifra dovesse essere direttamente versata in favore dello Stato. Viceversa la stessa Corte nel provvedere sulla richiesta di liquidazione del ricorrente, aveva riconosciuto all'avvocato la minor somma di Euro 1.337,50 oltre accessori di legge, decisione questa confermata dall'ordinanza impugnata.
Non è forse questo il caso di cui sopra? Il concetto di "rimborso" dove va a finire?

La Suprema Corte richiama una autorevole pronuncia della Corte Costituzionale (n. 270/2012) affermando " ... laddove al fine di escludere i dubbi di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 sollevati dalle ordinanze di rimessione, ha escluso che, ove sia pronunziata condanna alle spese di giudizio a carico della controparte del soggetto ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, vi sia una iniusta locupletatio dell'Erario, atteso che, anche recentemente, la giurisprudenza di legittimità aveva puntualizzato che la somma che, ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 133, va rifusa in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore del soggetto non abbiente ...".

La sentenza di merito viene cassata e il principio richiamato è il seguente

"... qualora nell'ambito di un giudizio civile risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133, e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 103 del medesimo decreto, al fine di evitare che l'eventuale divario possa costituire occasione di ingiusto profitto dello Stato a discapito del soccombente ovvero, al contrario, di danno erariale".

 

 

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile Ordinanza n. 21611 del 19/09/2017:

 

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

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