Danno non patrimoniale ed estraneo convivente: presupposti per il risarcimento
Il risarcimento del danno non patrimoniale spetta anche al convivente estraneo avente con il deceduto un rapporto affettivo forte e stabile, con comunanza di vita particolarmente intensa. Cassazione Ordinanza n. 18568/2018

1. La massima
Non qualunque forma di convivenza con persona estranea al nucleo familiare consente il risarcimento del danno non patrimoniale, ma solo quella in cui inequivocabilmente emerge un rapporto affettivo stretto, forte e stabile, per la comunanza di vita e per la convivenza di tipo relazionale affettivo particolarmente intensa tale da porre i soggetti interessati come familiari di fatto.
In tal senso l'ordinanza n. 18568 del 10/05/2018 – 13/07/2018 con cui la III Sezione ha posto i limiti affinché possa ritenersi legittima la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale – iure proprio ed hereditatis – per il decesso del convivente estraneo al nucleo familiare.
2. Il fatto e la quaestio iuris
La Corte di appello1 rigettava l'appello proposto dagli attori avverso la sentenza di prime cure, confermando il respingimento della loro domanda risarcitoria proposta in qualità di eredi testamentari della loro convivente, componente di fatto – in assenza di legami di sangue – della famiglia degli attori, deceduta a causa delle lesioni mortali riportate a seguito del sinistro stradale occorsole2.
La vittima veniva ricoverata con diagnosi di ingresso di "politraumatizzato in stato di shock", veniva sottoposta ad intervento chirurgico e ad esami radiografici, quindi condotta in terapia intensiva. La donna, sia prima che dopo l'intervento chirurgico, rimaneva cosciente, lamentandosi per il dolore e riconoscendo le persone presenti intorno a lei. Tra il momento del sinistro e il momento della morte decorrevano complessivamente 6/7 ore.
Il ricorso interposto dai coniugi denunciava, per quanto qui importa:
- violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dell'art. 2 Cost., nullità della sentenza e del procedimento, nonché omesso esame di fatto decisivo e controverso in quanto la Corte territoriale avrebbe negato il loro diritto ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio subito a seguito della morte della loro convivente, sostenendo che al mero convivente non può essere riconosciuta tutela risarcitoria, quindi restringendo ai familiari di sangue e al convivente more uxorio della vittima l'ambito soggettivo dei destinatari, escludendo poi la rilevanza della circostanza che la persona deceduta fosse da anni con loro convivente e per questo trattata come un parente dagli altri componenti della famiglia, elemento peraltro pienamente provato e mai contestato;
- violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., artt. 2043 e 2059 c.c., art. 32 Cost. in quanto la Corte territoriale, richiamando la sentenza n. 15350/2015 delle Sezioni Unite, avrebbe negato il loro diritto ad ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali iure hereditatis, quindi subiti dalla vittima in conseguenza delle lesioni che ne determinarono poi il decesso, sul presupposto che tale danno sarebbe ad essi spettato iure hereditatis mentre nella domanda si rappresentava come iure proprio; i ricorrenti sostenevano ravvisabile il c.d. danno da lucida agonia (o danno catastrofale o danno catastrofico) risarcibile e trasmissibile, oltre al danno biologico.
3. Il decisum. Il soggetto estraneo legato alla persona offesa da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente
La Suprema Corte, nel ritenere fondato il ricorso3, ha spiegato perché anche soggetti estranei al legame di sangue possono essere destinatari di un ristoro economico per la perdita del convivente.
In particolare, l'art. 1 D.Lgs. 212/2015 è intervenuto nell'art. 90 c.p.p., stabilendo che in caso di decesso di persona offesa in conseguenza del reato le facoltà ed i diritti previsti dalla legge possono essere esercitati e fatti valere dai «prossimi congiunti» della stessa e «da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente», con piena equiparazione tra prossimi congiunti della persona offesa e soggetti legati alla persona offesa da relazione affettiva nella stabile convivenza.
Poi, la Sezione III ha già affermato che «il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorchè colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare», aggiungendo inoltre che «perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonchè la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell'art. 2 Cost.»4. Inoltre, è stato precisato che «integra di per sè un danno risarcibile ex art. 2059 c.c. - giacchè lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell'art. 2 Cost. - il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti»5.
4. Segue. Il danno iure proprio
Ciò detto, secondo la III Sezione il fatto pienamente provato e mai contestato che la vittima fosse da anni stabilmente inserita nel nucleo della famiglia dei ricorrenti6, nell'ambito della quale era trattata e considerata alla stregua di uno stretto congiunto, che i figli della coppia trattavano la donna come una nonna o come una zia appellandola in questi termini e che fosse socialmente percepita come un effettivo componente della famiglia avrebbe dovuto indurre il giudice territoriale a riconoscere il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in capo ai ricorrenti.
La Corte ha espressamente precisato che con ciò «non intende affatto affermare il principio che qualunque forma di convivenza con persona, estranea al nucleo familiare, consenta il risarcimento», bensì piuttosto distinguere le mere convivenze da quelle in cui secondo le risultanze istruttorie emerge inequivocabilmente che i conviventi estranei «sono legati da stretto, forte e stabile rapporto affettivo», per la comunanza di vita e per la convivenza di tipo relazionale affettivo particolarmente intensa tale da porsi reciprocamente come familiari di fatto.
5. Segue. Il danno iure hereditatis
Nel caso di specie ricorrevano anche i presupposti individuati dall'ormai ius receptum per il riconoscimento in capo agli eredi del risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis sia con riferimento al danno terminale che a quello catastrofale7, in quanto la vittima era sopravvissuta al sinistro per un appezzabile lasso di tempo nel corso del quale non perdeva coscienza e quindi acquisiva al suo patrimonio il diritto al risarcimento del danno terminale subito sotto il profilo biologico e soprattutto sotto il profilo morale. Di talché tale diritto con la sua morte si trasmetteva ai ricorrenti che fin dall'atto di citazione avevano sostanzialmente richiesto iure hereditatis.
Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”
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1 Corte di appello di Firenze, sentenza n. 252 del 25/02/2016 che confermava la sentenza n. 103/2009 del Tribunale di Grosseto, Sezione distaccata di Orbetello.
2 Il relativo processo penale si era concluso con l'accertamento della pari responsabilità degli imputati, l'autista del mezzo in cui era trasportata la vittima e il terzo alla guida del mezzo con cui si realizzava la collisione, con sentenza confermata in appello e passata in giudicato.
3 «Per le ragioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, affinchè la stessa, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese processuali tra le parti in relazione al presente giudizio di legittimità, proceda all'esame della domanda di risarcimento del danno patrimoniale, formulata dagli odierni ricorrenti, nonchè alla liquidazione del danno non patrimoniale, ad essi spettante jure proprio, e del danno biologico terminale, ad essi spettante jure hereditatis».
4 Sez. 3, Sentenza n. 4253 del 16/03/2012.
5 Sez. 3, sentenza n. 7128 del 2013.
6 Dal 1989. L'azione risarcitoria è stata incardinata nel 1995.
7 Il danno biologico terminale è configurabile in tutti i casi in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte (sent. n. 15350/2015). In capo agli eredi è altresì configurabile, a titolo di danno morale, il danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, rendendosi conto della gravità del proprio stato e dell'approssimarsi della morte (cfr., tra le più recenti, la sent. n. 901/2018).
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione, Sezione III civile, Ordinanza n. 18568 del 13/07/2018
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