Intercettazioni di conversazioni con il difensore inutilizzabili per la funzione, non la qualifica

L'intercettazione del difensore è vietata solo nel momento in cui riveste tale funzione non indiscriminatamente per la qualità di avvocato. Cassazione penale, Sentenza n. 24451/2018

Intercettazioni di conversazioni con il difensore inutilizzabili per la funzione, non la qualifica

1. La massima

«...il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la "ratio" della regola posta dall'art. 103 c.p.p., va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa».

Così la Sezione II penale con la sentenza del 22/03/2018 - 30/05/2018, n. 24451, con le specificazioni di cui a seguire.

 

2. La quaestio iuris

La Corte di appello confermava la responsabilità penale dell'imputato per il reato contestato.

Per quanto qui importa, i giudici di merito valutavano la conversazione intercettata tra gli imputati e un avvocato estranea ad un contenuto professionale, rilevando invece come amicale e dunque pienamente utilizzabile ai fini dell'accertamento. A tal proposito si evidenziava l'ammissione degli imputati circa il contenuto della conversazione che si risolveva nell'apprensione del problema da parte dell'avvocato e nell'indicazione di un professionista competente per gestire la situazione processuale, il mancato conferimento del mandato e la non intervenuta iscrizione al tempo dei fatti del nominativo degli imputati nel registro delle notizie di reato.

Gli imputati quindi proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l'altro, l'inutilizzabilità dei contenuti dell'intercettazione della conversazione intercorsa con l'avvocato, trattandosi a loro dire di conversazione per nulla amicale, bensì professionale, a nulla rilevando che il mandato difensivo non fosse stato conferito e che gli imputati non fossero all'epoca iscritti nel registro delle notizie di reato.

 

Il decisum

Nel dichiarare infondato il ricorso, la Suprema Corte ha ribadito quanto affermato dalla giurisprudenza in tema di intercettazioni delle conversazioni tra imputato e difensore nell'ambito del divieto di utilizzabilità di cui all'art. 103 c.p.p., distinguendo il caso in cui le conversazioni trovino causa nel rapporto amicale ovvero anche nel rapporto di natura professionale.

Invero, il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni di cui all'art. 103 c.p.p. non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste la qualifica di avvocato e per il solo fatto di possederla, inerendo piuttosto solo quelle conversazioni attinenti alla funzione difensiva. Ciò è coerente con la ratio dell'art. 103 c.p.p., da rinvenirsi nella tutela del diritto di difesa.

Con precipuo riguardo alla intercettazione di un colloquio tra l'indagato ed un avvocato legati da uno stretto rapporto di amicizia, la Corte ha individuato gli elementi che il giudice del merito deve esaminare al fine di valutare correttamente la possibile inutilizzabilità di cui all'art. 103 c.p.p.1, e quindi:

a) se quanto detto dall'indagato sia finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali ovvero a rendere una mera confidenza ad un amico;

b) se quanto detto dall'avvocato abbia natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute.

Solo nel caso in cui quanto detto dall'indagato sia finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali e quanto detto dall'avvocato abbia natura professionale trova operatività l'inutilizzabilità di cui all'art. 103 c.p.p..

Nel caso di specie, i giudici del merito avevano dato conto di tale accertamento, ritenendo correttamente utilizzabili le conversazioni captate.

 

Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”

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1 Cass. sez. 2, n. 26323 del 29/05/2014 - dep. 18/06/2014.

 

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione, Sezione II penale, Sentenza n. 24451 30/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano confermava la responsabilità dei ricorrenti per il reato di estorsione, rideterminando la pena inflitta in primo grado al C. tenuto conto dell'estinzione per decorso del termine di prescrizione di alcuni reati satellite.

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