Patrocinio infedele nella doppia difesa a posizioni invertite: rileva solo lo specifico procedimento

Nel patrocinio infedele nella doppia difesa a posizioni invertite il nocumento agli interessi della parte patrocinata deve essere apprezzato nell'ambito del singolo procedimento. Cassazione penale Sentenza n. 14751/2018

Patrocinio infedele nella doppia difesa a posizioni invertite: rileva solo lo specifico procedimento

1. La massima

La difesa da parte dell'avvocato di un soggetto, al contempo persona offesa ed indagato in procedimenti "a parti invertite" – a prescindere dall'opportunità di tale doppio patrocinio – impone nondimeno di valutare l'attività defensionale in ipotesi d'accusa integrante il patrocinio infedele non come un tutt'uno, ma in relazione allo specifico procedimento nel quale essa si sia dispiegata, né può condurre a ritenere infedele il patrocinio la circostanza che l'attività dell'avvocato avrebbe potuto comportare un nocumento agli interessi della stessa patrocinata nell'altro parallelo procedimento.

 

2. Il fatto e la quaestio iuris

Il Tribunale del riesame annullava il provvedimento con cui il Gip aveva autorizzato la perquisizione degli studi professionali degli avvocati sottoposti ad indagine ed il conseguente sequestro disposto in tale sede nell'ambito del procedimento per il concorso nel reato di patrocinio o consulenza infedele di cui agli artt. 110 e 380 c.p..

Nel procedimento per maltrattamenti posti in essere da un uomo nei confronti della moglie e dei figli, gli avvocati indagati assistevano rispettivamente ciascuno dei coniugi. La donna poi veniva indagata per il reato di favoreggiamento personale per aver ritrattato quanto dichiarato e in sede di interrogatorio nell'ambito dell'accusa mossa a suo carico si avvaleva della facoltà di non rispondere. Dalle intercettazioni disposte nei confronti dei due coniugi emergeva che l'uomo aveva contattato telefonicamente la moglie rappresentandole che il proprio avvocato (concorrente extraneus) avrebbe incontrato l'avvocato della donna, quindi la invitava a non rispondere nel corso dell'interrogatorio e a lasciar parlare il suo avvocato come da accordo tra i due opposti difensori. In particolare, l'uomo riferiva che il proprio avvocato e quello della donna «si sono messi assieme» e aggiungeva che il di lei avvocato «dice che non devi parlare» e «quando ti chiedono se vuoi rispondere alla domanda.. devi dire che tu parli con il tuo avvocato».

Nell'annullare il provvedimento disponendo la restituzione di quanto sequestrato agli aventi diritto, il Tribunale riteneva che l'avvocato della donna si fosse limitato a suggerire alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere nell'ambito dell'interrogatorio, un diritto espressamente riconosciuto. Inoltre, l'avvocato era stato nominato da poco dalla donna e quindi non conosceva nella sua completezza la vicenda, specie perché la comunicazione con l'assistita analfabeta risultava difficoltosa. Per questo l'uomo contattava la moglie, per spiegarle quali fossero le indicazioni del di lei difensore. Senza contare che anche il Codice Deontologico Forense suggerisce ai difensori delle controparti di avere contatti tra loro e di scambiarsi informazioni.

Il Procuratore della Repubblica chiedeva dunque l'annullamento del provvedimento del Tribunale per violazione di legge penale in relazione agli artt. 110 e 380 cod. pen. sostenendo che fosse stato trascurato di considerare che l'avvocato della donna, ancor prima di diventare difensore della stessa per il reato di cui all'art. 378 c.p., era difensore di fiducia della medesima e dei figli, quali persone offese del reato di maltrattamenti ascritto al marito, reati difficilmente conciliabili nel patrocinio sotto il profilo soggettivo e oggettivo. Inoltre dalla conversazione intercettata e posta a fondamento dell'accusa sarebbe emerso che l'avvocato non avrebbe dovuto lasciare alla sua assistita nessuna autonomia decisionale. Un'indicazione, secondo l'accusa, che non teneva conto dell'esigenza di tutela dell'integrità psico-fisica delle vittime dei maltrattamenti, antitetica rispetto ai doveri del difensore di salvaguardia degli interessi delle parti offese. I due avvocati poi si sono serviti del marito per interloquire con la moglie, nonostante il divieto di comunicazione imposto con il provvedimento cautelare in atto.

 

3. Il decisum: il delitto di cui all'art. 380 c.p.

L'art. 380 c.p. disciplina un reato proprio, sanzionando il "patrocinatore" o del "consulente tecnico" che «rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'autorità giudiziaria». Reato aggravato «1) se il colpevole ha commesso il fatto colludendo con la parte avversaria; 2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato». Un delitto plurioffensivo, ledendo l'amministrazione della giustizia e il regolare funzionamento dell'attività giudiziaria oltre gli interessi della parte processuale difesa dal patrocinatore che si rende inadempiente ai suoi doveri professionali. L'integrazione del delitto postula un nocumento agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria.

La VI Sezione1 chiarisce che ai fini della integrazione del delitto non è dunque sufficiente che l'avvocato non adempia ai doveri discendenti dall'incarico affidato, occorrendo invece la pendenza di un procedimento nell'ambito del quale si sia realizzata la violazione degli obblighi assunti con il mandato2 e il conseguente danno, che non deve intendersi in senso civilistico, potendo anche il nocumento agli interessi della parte concretizzarsi nel mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici anche solo morali che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale3. Certo, inoltre, che il nocumento agli interessi della parte conseguenza del patrocinio infedele possa anche essere costituito da un pregiudizio di natura processuale, come l'ostacolo alla possibilità di vedere riconosciuta la penale responsabilità dell'autore di un reato in danno della parte assistita e dei propri figli o l'esposizione propria e dei propri congiunti a nuove condotte lesive.

Ciò posto, per la Suprema Corte difettano tanto l'infedeltà ai doveri professionali, quanto il nocumento agli interessi della parte assistita, il che esclude la materialità del reato in contestazione.

Il caso di specie, quindi, si pone come eccentrico rispetto al paradigma del patrocinio infedele, in quanto il patrocinatore assiste la donna in due procedimenti penali distinti ma "a parti invertite", nell'uno quale persona offesa unitamente ai figli minori e nell'altro quale indagata per favoreggiamento personale. Prescindendo dall'opportunità di tale doppio patrocinio, si impone di valutare l'attività defensionale che si assume integrare il patrocinio infedele in relazione allo specifico procedimento nel quale essa si sia dispiegata e non in relazione ad un inesistente unico procedimento.

Secondo la Suprema Corte non è revocabile in dubbio che nel colloquio intercettato tra i due coniugi ci si riferisca a pregressi contatti ed intese fra i due rispettivi avvocati con tanto di indicazione veicolata attraverso il coniuge, che "traduceva" quanto l'avvocato voleva far comprendere alla moglie sua assistita. Suggerimenti che in ogni caso si riducono ad una sollecitazione a non rispondere alle domande, una condotta processuale in linea con il diritto di difesa, espressione del principio nemo tenetur se detegere, esplicazione dello ius defendendi costituzionalmente garantito dall'art. 24 della Costituzione. Manca pertanto il nocumento alla parte patrocinata.

A motivo per cui deve guardarsi allo specifico procedimento in cui si concentra l'attività defensionale da accertare, il patrocinio non appare infedele neppure con riferimento all'asserito possibile nocumento agli interessi della stessa patrocinata e dei figli nel parallelo procedimento per maltrattamenti in loro danno, in quanto la violazione dei doveri professionali ed il nocumento agli interessi della parte patrocinata devono essere apprezzati, nella specie, nell'ambito del solo procedimento per favoreggiamento personale.

Non sfugge tuttavia quanto anomala e censurabile sia una siffatta conduzione del patrocinio, nella misura in cui le comunicazioni dell'avvocato con la sua assistita siano avvenute con la mediazione quale interprete dell'indagato di un reato rispetto al quale la propria patrocinata era persona offesa, violando anche le prescrizioni imposte nella misura cautelare applicata allo stesso.

 

Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”

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1 La Suprema Corte, nel ritenere non delibabili in sede di legittimità asseriti vizi di motivazione diversi dall'inesistenza o dalla mera apparenza del provvedimento cautelare reale, ha circoscritto la sua cognizione alla verifica della dedotta violazione di legge penale, limitandosi dunque al profilo della qualificazione giuridica del fatto.

2 Sez. 2, n. 6382 del 29/01/2008.

3 Sez. 5, n. 22978 del 03/02/2017; Sez. 2, n. 22702 del 20/05/2008; Sez. 6, n. 31678 del 28/03/2008.

 

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione penale Sentenza n. 14751 del 30/03/2018

 

RITENUTO IN FATTO

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