Le SS.UU. intervengono sui contratti swap stipulati dalla PA in generale e dai comuni in particolare
I contratti derivati swap devono essere autorizzati dal consiglio comunale. Le SS.UU. intervengono sull'annosa e contestata materia. Cassazione Civile SS.UU. Sent. 8770/2020

La Corte di Cassazione a Sezioni civili Unite (Sentenza n. 8770 depositata in data 12/05/2020) interviene con una importante decisione sulla annosa e controversa materia dei contratti derivati sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni e, nel caso specifico, dai Comuni.
La questione derivati in corpo agli enti locali è di estrema gravità, tanto che taluno l'ha definita una boma ad orologeria, una bomba di circa 30 miliardi dii euro.
Vari comuni d'Italia, nel corso degli ultimi anni, hanno tentato vari ricorsi, arrivando anche ad adire le corti di Londra, per svincolarsi dagli effetti disastrosi dei contratti sottoscritti qualche anno prima e che nessuno aveva avuto l'ardire di chiudere prima che fosse troppo tardi (che il debito diventasse troppo grande).
E non solo enti locali, visto che nel 2012 il governo Monti pagò alla Morgan Stanley 3,1 miliardi di euro (Espresso del 2017 "Deriva di Stato, i contratti segreti che hanno svenduto l'Italia alle banche").
I quesiti posti alle Sezioni Unite.
La prima sezione civile ha posto due questioni, strettamente connesse, che sono centrali per vagliare la validità dei contratti di swap conclusi, in generale, dai Comuni:
a) quella relativa alla possibilità di qualificare come “indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall'investimento” il fatto di stipulare un contratto avente ad oggetto un contratto derivato swap («se lo swap, in particolare quello che preveda un upfront — e non sia disciplinato ratione temporis dalla L. n. 133 del 2008, di conversione del d.l. n. 112 del 2008 —, costituisca per l'ente locale un'operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma dell'art. 30, comma 15, L. n. 289 del 2002»);
b) quella relativa all'individuazione dell'organo chiamato a deliberare un'operazione siffatta, in particolare se sia possibile la stipulazione senza il voto favorevole del consiglio comunale («se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio comunale, implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l'art. 42, comma 2, lett. i), T.u.e.l.»).
Il quadro normativo in sintesi (i derivati per la PA)
La “questione swap” risale all’ormai lontano 1994 quando l’articolo 35 della legge n. 724 del 1994 consegnava la possibilità di ricorrere al mercato dei capitali obbligazionari attraverso l’emissione di titoli, seguito dal Regolamento di attuazione del 1996 il quale nel caso di emissione di obbligazioni in valuta obbligava gli enti a sottoscrivere un contratto swap per la copertura del rischio di cambio.
Se ciò è stato l’inizio, i contratti swap hanno via via assunto i significati ed i contenuti più disparati fino a farli descrivere da parte della dottrina (come ricordato dalle stesse SS.UU.) come una mera scommessa dell’andamento dei più disparati indici (inflazione italiana ed estera, cambio fra valute, andamenti del mercato, ecc.).
Tuttavia l’intento del legislatore in quella fase andava a salvaguardare un interesse primario del sottoscrittore calmierando, con il contratto derivato, le conseguenze nefaste di un possibile andamento negativo di cambio rispetto all’emittente dell’obbligazione.
Volendo fare un esempio per chi non abbia praticità con il meccanismo, se un Comune avesse emesso un’obbligazione per 1 miliardo delle vecchie lire in valuta dollaro avrebbe dovuto tutelarsi di fronte ad un eventuale sprofondamento del valore della lira sul dollaro attraverso un contratto derivato swap che costituisce una scommessa con l’altro contraente e che in parole povere può essere riassunto così: se la lira guadagna sul dollaro il comune paga l’emittente del derivato e viceversa. Il tutto in una proporzione che doveva essere di perfetto equilibrio. In tal modo il comune emittente l’obbligazione sarebbe rimasto a pari rispetto alla variazione del cambio.
Nel 2001 il quadro normativo si allarga permettendo agli enti pubblici di emettere titoli a debito ancora più rischiosi o complessi (non andiamo a specificare e si rimanda alla sentenza) sempre con l’obbligo di coprire con un derivato l’eventuale rischio.
La leggerezza degli enti locali in merito a tali strumenti finanziari spinse il Ministero dell'economia e delle finanze a limitare nel 2003 l’attivismo delle giunte e organi vari, e poi a seguire interventi legislativi del 2007, 2008 fino ad arrivare all’intervento del 2013 (legge di stabilità per il 2014), che ha vietato definitivamente, salvo nei casi individuati dalla stessa norma, alle Province autonome di Trento e di Bolzano e agli enti locali di "3. (...) a) stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati (...); b) procedere alla rinegoziazione dei contratti derivati in essere alla data di entrata in vigore della presente disposizione; c) stipulare contratti di finanziamento che includono componenti derivate".
Se ad oggi si può considerare essere arrivati ad un punto di equilibrio l’interesse si spinge a considerare la sorte di tutti quei derivati swap (tanti) sottoscritti dagli enti locali dal 2001 al 2014.
Cos’è il derivato SWAP? Ce lo descrivono le SS.UU.
La Suprema Corte prende atto che risulta “controversa anche l'esistenza di una definizione unificante del fenomeno dei derivati” e ancora “i derivati sono stati creati dalla prassi finanziaria e, solo in seguito, sono stati in qualche misura recepiti dalla regolazione del sistema giuridico”.
Nel caso, poi, dell’interest swap rates, le peculiarità si accentuano.
Lo swap c.d. plain vanilla ce lo descrive la stessa Corte: “il cd. plain vanilla, ossia quel contratto di scambio (swap) di obbligazioni pecuniarie future che, in sostanza, si traduce nel dovere di un Tale di dare all'Altro la cifra X (dove X è la somma corrispondente al capitale 1 per il tasso di interesse W) a fronte dell'impegno assunto dell'Altro di versare al Tale la cifra y (dove y è la somma corrispondente al capitale 1 per il tasso di interesse Z)”.
Descrive, ancora, la Suprema Corte in questo modo: “a fini puramente descrittivi e semplificativi, si potrebbe dire che l'IRS consiste in una sorta di scommessa finanziaria differenziale (in quest'ultimo aggettivo essendo presente un riferimento alla determinazione solo probabilistica dei suoi effetti ed alla durata nel tempo del rapporto)”.
Ciò non esplicita ancora la particolarità che consiste, invece, nell’essere costruito su misura e non avere un mercato. Afferma la Corte “non ha le caratteristiche intrinseche degli strumenti finanziari, e particolarmente non ha la cd. negoziabilità, cioè quella capacità di rappresentare una posizione contrattuale in forme idonee alla circolazione”. Ne consegue che non puoi liberarti dell’obbligo se non nei limiti del contratto stesso e, quindi, o rinunciando, sottostando a penali in grado di fare desistere qualunque ben intenzionato, oppure ricontrattando con la controparte.
Lo Swap (ISR) può essere par oppure non par. E ancora, in quest’ultimo caso, si fa riferimento al c.d. up-front di cui andiamo brevemente a esporre il significato.
Peccato che la Suprema Corte non si sia soffermata (e quindi non ne abbia dato alcun valore) sull’effetto psicologico estremamente forte che connota la sottoscrizione del contratto, in particolare nella sua rinegoziazione.
Il derivato par, lo dice la parola, pone le due controparti in equilibrio, vale a dire la perdita di una parte corrisponde al guadagno dell’altra in misura univoca e paritaria. Questo tipo di contratto è il più sano, se così di può dire.
Il contratto non par prevede una maggiorazione del rischio da parte dell’ente sottoscrittore il quale riceve, in compenso, un pagamento immediato, il cosiddetto up-front (“l’up-front costituisce un pagamento immediato a favore del cliente in ragione dell’accettazione di un rischio maggiore perché tale up-front rappresenta il pagamento del costo implicito del contratto” Corte Appello Trento 5/3/2009).
Si parlava dell’effetto psicologico. Accadeva sovente che in un momento in cui il contratto derivato stava producendo una perdita per l’ente pubblico sottoscrittore (avrebbe dovuto pagare alla controparte somme importanti) l’intermediario finanziario si faceva parte attiva e suggeriva una via di uscita: la rinegoziazione, attraverso la quale la stesa controparte addirittura si offriva di ripianare il debito (upfront) pagando (generosamente) la perdita accumulata dall’ente pubblico e, spesso tacendo (o minimizzando) sulla vera entità del rischio del nuovo contratto.
Veniva, quindi, offerto e sottoscritto un contratto non par con dazione immediata dell’up-front.
Ovvia conseguenza è che dopo del tempo (più o meno variabile) la perdita così ripianata si ripresentava moltiplicata.
Capacità dell’ente locale nella sottoscrizione di un contratto derivato Swap. Limiti
Le SS.UU. si rifanno alla pronuncia del “giudice delle leggi” (sentenza n.. 52 del 2010) e ricordano che secondo tale sentenza “anche per il periodo di vigenza dell'articolo 41 della legge finanziaria per il 2002 e, quindi, fino al 2008 (anno in cui il legislatore ha inserito limiti più stringenti alla capacità degli enti di concludere derivati) il potere contrattuale degli enti locali incontrava sicuri limiti”.
Il derivato per essere ammissibile deve essere economicamente conveniente essendo vietato alla PA concludere derivati speculativi.
Aggiungono le SS.UU. che “ i contratti derivati, in quanto aleatori, sarebbero già di per sé non stipulabili dalla P.A., poiché l'aleatorietà costituisce una forte disarmonia nell'ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introducendo variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa”.
Compete al giudicante del caso concreto valutare, di volta in volta, se siasi in presenza della violazione delle anzidette regole base. La Corte, inoltre, sottolinea la possibile rilevanza del potenziale conflitto di interessi nel quale l’offerente il contratto potrebbe trovarsi (“Con la possibilità di riconoscere una ipotesi di conflitto di interessi fra intermediario e cliente, poiché nei derivati OTC, a differenza che in quelli uniformi, tale conflitto è naturale, discendendo dall'assommarsi nel medesimo soggetto delle qualità di offerente e consulente”).
E conclude sul punto affermando la seguente regula iuris:
“in tema di contratti derivati, stipulati dai Comuni italiani sulla base della disciplina normativa vigente fino al 2013 (quando la legge n. 147 del 2013 ha escluso la possibilità di farvi ulteriore ricorso) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, pur potendo l'ente locale procedere alla stipula dei primi con qualificati intermediari finanziari nondimeno esso poteva utilmente ed efficacemente procedervi solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell'oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l'ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell'ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio”.
Organo competente dell’ente locale a deliberare la sottoscrizione del derivato
Uno dei quesiti posti dalla prima sezione concerne l’individuazione dell’organo deliberante dell’ente locale ai fini della sottoscrizione del contratto derivato swap.
La soluzione passa attraverso la qualificazione dell’operazione finanziaria.
Dovrà, inoltre, chiarirsi se l’individuazione della competenza sia limitata all’iniziale contratto oppure anche a quelli sottoscritti in fase di rinegoziazione/ rimodulazione del contratto.
Le SS.UU. ricordano che “in ordine all'organo comunale tenuto ad autorizzare il ricorso agli IRS, la dottrina e la giurisprudenza perciò attribuiscono, in grande prevalenza e condivisibilmente, la relativa competenza al Consiglio comunale” e specificando che “ove l'IRS negoziato dal Comune incida sull'entità globale dell'indebitamento dell'ente, l'operazione economica debba, a pena di nullità della pattuizione conclusa, essere autorizzata dal Consiglio comunale”.
Quanto alla rinegoziazione, inine, secondo le SS.UU. “gli importi ricevuti a titolo di upfront costituiscono indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell'articolo 119 Cost., anche per il periodo antecedente l'approvazione dell'articolo 62, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008”, ricadendo ancora una volta la competenza in capo al Consiglio Comunale.
Concludono le Sezioni Unite esprimendo la seguente regula iuris:
“l'autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi ín cui la sua negoziazione si traduce comunque nell'estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al D. Igs. n. 267 del 2000 [laddove stabilisce che «Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (...) - spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi (...)»]; non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell'indebitamento dell'ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, dello stesso testo unico”.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Civile SS.UU. Sent. n. 8770 dep. 12/05/2020
FATTI DI CAUSA
1. — Il Tribunale di Bologna ha respinto le domande che il Comune di Cattolica aveva proposto nei confronti di Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. (d'ora in avanti, semplicemente: BNL o Banca) in riferimento ad alcuni contratti (formalmente, contenuti in quattro scritture) di interest rate swap, conclusi fra le menzionate parti in tre diverse date (il 15 maggio 2003, il 1° dicembre 2003 e il 22 ottobre 2004), e rivolte alla declaratoria della nullità, all'annullamento, o all'accertamento dell'inefficacia sopravvenuta ex d.m. 10 dicembre 2003, n. 389, dei predetti negozi, oltre che alla condanna della convenuta alla restituzione dei pagamenti ex art. 2033 cod. civ. e, in subordine, al risarcimento del danno, quantificabile in relazione ai «differenziali negativi attesi».
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