La nuova Responsabilità sanitaria: sul danno morale e parentale resta il divieto delle duplicazioni

No della Corte al danno morale dopo aver già riconosciuto per il medesimo pregiudizio il danno da perdita del rapporto parentale (Cass. N. 28989/19).

La nuova Responsabilità sanitaria: sul danno morale e parentale resta il divieto delle duplicazioni

Nell’ambito della responsabilità sanitaria, merita di essere evidenziato anche un ulteriore aspetto trattato dalla Corte di Cassazione – Sez. III civile, in merito alle condizioni per il cumulo tra “biologico” e morale.

Dal decalogo di San Martino, infatti, la Sentenza n. 28989/2019, sia pure intervenuta su questioni relative all’onere della prova e alla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, si distingue per aver trattato con anche ulteriori profili della liquidazione del danno stesso, in ordine alla possibilità o meno di liquidare, insieme al danno morale, anche la componente da perdita del rapporto parentale.

Nel caso in esame la decisione ha specificatamente confermato che determina duplicazione di risarcimento, non consentita, la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, se riferite al medesimo pregiudizio, consistente nel peculiare patimento che affligge una persona per la perdita del rapporto parentale.

 

La vicenda

La vicenda riguarda un caso di responsabilità sanitaria per infezione ospedaliera.

Nel corso del ricovero presso la struttura ospedaliera il paziente contraeva una infezione da stafilococco aureo, che lo portava al decesso.

La Corte d'Appello di Roma liquidava il risarcimento del danno in favore dei figli e del coniuge. Avverso tale pronuncia l’Azienda Sanitaria proponeva ricorso per Cassazione ritenendo che la Corte territoriale avesse errato a liquidare in favore degli attori una somma a titolo di danno morale soggettivo, dopo aver già riconosciuto, in favore degli stessi soggetti, il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.

Censurava inoltre l’Azienda ricorrente che la Corte avesse erroneamente riconosciuto ai familiari l’importo massimo previsto dalle tabelle utilizzate per la liquidazione del danno derivante dalla perdita del rapporto parentale, nonostante la sopravvivenza di altri congiunti e il mancato venir meno dell’intero nucleo familiare dei danneggiati.

 

Il danno da perdita del rapporto parentale nella giurisprudenza precedente

La Suprema Corte, con la sentenza sopra richiamata, ha ritenuto sussistente un’ipotesi di duplicazione del risarcimento concesso per la stessa lesione di interessi, richiamando orientamenti già presenti nella giurisprudenza della Terza sezione e coordinandoli nel quadro di una più ampia ricostruzione del danno non patrimoniale.

La decisione in commento ha ricordato come già le Sezioni Unite del 2008 (Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972), avevano stabilito come la congiunta applicazione del danno morale e del danno parentale determinano una duplicazione di risarcimento atteso che “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.

Tale presa di posizione, ci ricorda la Corte, seguiva il solco di un precedente orientamento1 secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale per la perdita di una persona cara e il danno da perdita parentale costituiscono un’indebita duplicazione di risarcimento, poiché il pregiudizio destinato ad essere risarcito, è identico.

Allo stesso modo, in virtù del principio di unitarietà del risarcimento del danno non patrimoniale deve escludersi altresì che al prossimo congiunto possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca (Sez. III Ordinanza n. 30997 del 30.11.2018).

Secondo la Corte, quindi, in considerazione del pur sempre unitario concetto di danno non patrimoniale, la considerazione separata delle varie componenti è ammessa in quanto sia evidente la diversità dell’interesse oggetto di lesione.

 

Altre ipotesi di duplicazione di componenti di danno

Tale principio ha avuto ulteriore conferma se si considera che, anche in altre occasioni, si è ritenuto che costituisce duplicazione risarcitoria nel risarcimento del danno non patrimoniale da lesione della salute, la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno dinamico relazione, atteso che quest’ultimo è espressione di pregiudizi già ricompresi nel grado di invalidità permanente.

Al contrario, non costituisce duplicazione la congiunta attribuzione del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidatà permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione).

 

La nuova presa di posizione della Terza sezione

La decisione in esame, nel richiamare come si è detto la natura unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale, come predicata dalla Sezioni Unite del 2008, ha il pregio di aver superato la categorizzazione delle voci di risarcimento, ristabilendo un accertamento di fatto dei pregiudizi risarcibili, a prescindere dalle etichette e dai nomi utilizzati.

L’unitarietà predicata dalla Corte è da intendersi con rispetto a qualsiasi interesse o valore costituzionalmente protetto, non suscettibile di valutazione economica e come obbligo per il giudice di merito di tener conto ai fini risarcitori di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno nessuna esclusa.

Il Giudice, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in peius” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazione).

Oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno, infatti, alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale (Sentenza n. 235/2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni), è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto la quale nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali.

In quest’ottica, se guardiamo alle conseguenze fenomenologiche per la perdita di una persona cara, e proviamo ad immaginare le conseguenze di questa vicenda, saremo tutti d’accordo a ritenere che le reazioni possibili sono di due tipi: una reazione “interiore”, che riguarda la parte più intima, il dialogo interno con se stessi sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e una reazione, “esterna”, che riguarda la modificazione delle abitudini di vita, cioè i percorsi della vita quotidiana attiva che cambiano del soggetto che ha subito la perdita.

Sono due aspetti della persona umana, distinti, e non necessariamente automatici come reazione, ma sempre presenti: il dolore da una parte e il cambiamento della vita dall’altra.

Tali due aspetti possono essere autonomamente risarcibili ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.

 

I meccanismi presuntivi nella prova del danno non patrimoniale

E’ in tale quadro che emerge con evidenza il valore dimostrativo dei meccanismi presuntivi previsti in tema di prova al fine di fornire una rigorosa dimostrazione della gravità e della serietà del pregiudizio e della sofferenza patita dal danneggiato, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale.

La maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, etc..), ma anche gli intensi rapporti affettivi, come quelli che si dimostrano esistenti ad esempio con i figli del coniuge e del convivente, nonché gli altri elementi del rapporto parentale, come l’età delle parti, l’effettiva convivenza o meno del congiunto, saranno apprezzati dal giudice, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, per valutare la sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza descritti.

In quest’otica non assume di per sé rilevanza decisiva la sola convivenza con il soggetto venuto a mancare, o la presenza di un “tradizionale” rapporto parentale, se non accompagnato da una consistente ed apprezzabile dimensione affettiva ed esistenziale.

Ne deriva che, nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso e ulteriore rispetto alla sofferenza morale (anch’essa rigorosamente da dimostrare) può ritenersi, quindi, sussistente, non per il fatto che la vittima superstite lamenti una generica “perdite delle abitudini quotidiani”, bensì qualora sussista, e si dimostri (oltre al danno morale soggettivo nel senso sopra inteso), un reale radicale cambiamento dello stile di vita, circostanziato.

 

Conclusioni

Questa sentenza appare un’ulteriore conferma della necessità, di distinguere il danno biologico, (che dopo la riforma della legge di stabilità, intervenuta non solo sul contenuto ma anche sulla rubrica degli artt. 138 e 139 cod. ass., diventa “danno non patrimoniale”) dalle sue componenti del danno morale soggettivo e di quello dinamico-relazionale.

Tutto questo sta a significare che il danno non patrimoniale si articola secondo questi due aspetti della sofferenza, che bisogna attrezzarsi a liquidare, avendo cura di valutare che ciascuno di essi non siano già stato oggetto di valutazione e sempre che per ognuno sia fornita la prova da parte del soggetto danneggiato.

Sarà, quindi, possibile distinguere un danno da perdita del rapporto parentale con un eventuale danno biologico quando detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica.

L’uno e l’altro, saranno quindi oggetto di separata considerazione come aspetti del danno non patrimoniale, pur sempre suscettibili, per il principio dell’onnicomprensività, di liquidazione unitaria.

Avv. Angelo Forestieri

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1 - Cassazione, sezione III, 23 settembre 2013 n. 21716; Cassazione, sezione III, 8 luglio 2014 n. 15491 e Cassazione, Sezione III, 17 dicembre 2015 n. 25351);

 

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione civile Sez. III, Sentenza n. 28989 dep. 11/11/2019

 


FATTI DI CAUSA

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