Come si forma la parcella di un avvocato? Applichiamo i parametri forensi.
Come si calcola il compenso del legale? Vademecum che descrive le nuove modalità di calcolo dei compensi degli avvocati. Un commento al Decreto Ministeriale 55/2014 (parametri forensi)
Pattuizione del compenso – preventivo - patto di quota lite - palmario
Mancato accordo e applicazione delle Tariffe
L’articolo 2233 del codice civile regola il caso della quantificazione del compenso nel caso in cui non sia pattuito fra cliente e avvocato.
Art. 2233 c.c.
Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene.
In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.
Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.
L’art. 13 della Legge Professionale Forense (di seguito L.P.F.) è dedicato all’argomento qui trattato e inserisce importanti punti di riferimento.
Secondo l’art. 2233 c.c. quando il compenso non è concordato si deve fare riferimento alle tariffe (agli usi per quei professionisti ai quali non è applicabile un tariffario dettato dalla legge, ma questo non è il caso della professione forense). Analoga prescrizione è contenuta dal comma 6 dell’art. 13 della L.P.F.
Le tariffe sono l’oggetto di questo vademecum, a qui sono dedicati tutti i capitoli precedenti.
Il comma 9 dell’art. 13 della L.P.F. stabilisce che “In mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi può rivolgersi al consiglio dell'ordine affinché esperisca un tentativo di conciliazione. In mancanza di accordo il consiglio, su richiesta dell'iscritto, può rilasciare un parere sulla congruità della pretesa dell'avvocato in relazione all'opera prestata”.
Il comma 1 della L.P.F. chiarisce che “l'incarico può essere svolto a titolo gratuito”.
Il preventivo
Il comma 5 dell’art. 13 L.P.F. stabilisce che “il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico; è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale”. Dal 2017 è stato eliminato l’inciso “su richiesta del cliente” e quindi è da applicarsi sempre.
Si ritiene che l’inciso su riportato concretizzi l’obbligo per l’avvocato di consegnare il preventivo scritto al cliente. Su tale misura vi è ampia discussione, in particolare per coloro che hanno ancora presente la minuziosa descrizione dell’attività procuratoria e dell’avvocato nel precedente regime tariffario. Allora la risposta ad una richiesta di preventivo poteva essere che sarebbe dipeso dall’attività concretamente svolta: quante volte dovrò accedere alla cancelleria? Quante memorie dovrò depositare? Quante udienze avrà questa causa? E quindi che formulare un preventivo era impossibile.
E ora? Il lavoro dell’avvocato non è cambiato ma il riconoscimento del compenso si è fatto fumoso per l’avvocato e concreto per il cliente. La fase istruttoria è una, con un unico compenso, e potrebbe risolversi con pochissima attività (due testimoni da sentire) o moltissima (molti testimoni che non si presentano e quindi ripetute udienze e convocazioni; possibili prove delegate ad altro tribunale, CTU, plurime CTU (medica e dinamica ad es.), contestazioni della CTU o addirittura rinnovazione della stessa, contestazione della sottoscrizione, querela di falso, ecc.)
Abbiamo visto che il rimedio proposto dal legislatore per la liquidazione effettuata dal giudice è quella di regolare la variazione in aumento o in diminuzione del valore previsto per tale fase.
Ma il legale come può fare un preventivo sulla base di tale incertezza? Sarà valido un preventivo formulato con una riserva di diminuzione o aumento fino al 50% sulla base dell’attività svolta? E se anche fosse, chi stabilirà la quantità dell’incremento o diminuzione?
La stesura del preventivo farà riferimento alla misura del compenso sulla base dell’attività che è prevedibile al momento del conferimento dell’incarico all’avvocato. La soluzione potrebbe essere che ogni preventivo avrà l’accortezza di individuare degli aggiustamenti (max numero udienze, max numero di atti scritti, ecc). Ma ancora non sarà esattamente parametrato all’attività concretamente svolta. Ad esempio un preventivo per una esecuzione presso terzi non è comprensivo della eventuale fase di opposizione. Ma è comprensivo degli innumerevoli eventuali tentativi di notifica del debitore che sfugge, ricerche anagrafiche, visure in CCIAA,
Non c’è da sorprendersi, pertanto, se la categoria degli avvocati è restia ad abbracciare questo sistema.
Ma cosa succede se l’avvocato non fornisce il preventivo scritto?
Va chiarito che a fronte di una tale prescrizione normativa la parte sanzionatoria non è chiara e, comunque, non è prevista dalla legge.
Si potrebbe ragionare su una eventuale violazione dell’obbligo di trasparenza nel rapporto con il proprio cliente, di cui al comma 5 dell’art. 13, su riportato, e conseguente violazione disciplinare. Tuttavia, il Consiglio Nazionale Forense ha avuto modo di affermare che in caso di mancanza di preventivo, il compenso dell’avvocato va calcolato sulla base dei parametri forensi.
Quanto alla giurisprudenza, l’orientamento prevalente (ma non unico), analogamente alle posizioni del CNF, ritiene che l’assenza di un preventivo non determina invalidità del rapporto instauratori fra cliente e avvocato e che la quantificazione del compenso andrà calcolata sulla base delle tariffe/parametri.
Pattuizione del compenso
Abbiamo visto che sulla base dell’ultimo comma dell’art. 2233 c.c. sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti che stabiliscono i compensi professionali. Se l’accordo c’è, pertanto, questo deve avere forma scritta. Qualunque tipo di accordo, compresi quelli che andiamo qui sotto ad esaminare.
L'art. 13 della Legge Professionale Forense stabilisce al comma 2 che "Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale".
Ed aggiunge, al comma 3: “La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”.
Compensi sproporzionati
Se vige il principio della massima autonomia delle parti nella pattuizione del compenso, le norme impongono un freno ad eventuali eccessi in aumento, rispetto alle previsioni tariffarie.
Il codice deontologico forense, al comma 4 dell’art. 29, dispone la responsabilità deontologica dell’avvocato quando pattuisce e comunque chiede compensi che siano sproporzionati all’attività svolta.
La difesa contro il “cliente forte”: l’equo compenso.
Il secondo comma dell’art. 2233 c.c. prescrive che in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione. Taluno richiama, altresì, principi costituzionali come il primo comma dell’art. 36 che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
L’art. 13-bis della L.P.F. è dedicato all’ “Equo compenso”. Al comma 2 prevede che “Ai fini del presente articolo, si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri … ”.
Patto di quota lite o quantificazione a percentuale
Il comma 4 del’art. 13 L.P.F. stabilisce che “Sono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”. Ad esempio il patto con cui l’avvocato quantifica il proprio compenso in una percentuale del risarcimento del danno ottenuto con la sua attività.
Quindi se da un lato il comma 3 ci ricorda che la pattuizione del compenso è libera, tale libertà viene subito ridimensionata dal comma 4, perlomeno relativamente al patto di quota lite.
Le SS.UU. 25012/2014 1 scrivono “il patto di quota lite integra un contratto aleatorio in quanto il compenso varia in funzione dei benefici ottenuti in conseguenza dell’esito favorevole della lite e il suo tratto caratterizzante è dato, appunto, dal rischio, perché il risultato da raggiungere non è certo nel quantum né, soprattutto, nell’an”
La ratio è quella di mantenere l’obiettività e oggettività dell’avvocato nella conduzione della propria attività di assistenza. Quel necessario distacco è destinato a venir meno quando è lo stesso avvocato ad avere interesse in causa o, comunque, nella conduzione dell’attività. Il diventare “socio” nella conduzione dell’attività è vietato e tale apparentamento, tale consociazione, è stata ritenuta nulla recentemente dalla S.C. (Cass. 21420/22) in un caso dove l’avvocato era entrato in una associazione in partecipazione di attività estrattiva partecipando agli utili a fronte dell’attività di consulenza prestata.
Si vede, quindi, che il divieto non copre solamente il caso dell’attività giudiziale dell’avvocato ma anche quella stragiudiziale.
Se la ratio è quella di evitare che il professionista entri “in affari” con il cliente, prestando la propria opera professionale, si comprende che, viceversa, la pattuizione del compenso in percentuale alla questione trattata non integra il patto di quota lite vietato dalla legge.
Qualora la quantificazione a percentuale non sia determinata in base al risultato, e quindi una percentuale del risultato, ma sia, invece, determinata fin dall’origine sulla base di una attribuzione di valore della questione trattata, in questo caso non opera il divieto e la pattuizione è valida. La pattuizione di un compenso a percentuale sulla questione trattata e predeterminata nell’ammontare è consentita. E’ anche valido l’accordo nel quale le parti individuano sin dall’inizio il compenso (anche a percentuale dell’oggetto della controversia) che verrà riconosciuto all’avvocato in caso di esito positivo della lite.
In Cass. 2169/2016 si è ritenuto parimenti lecito un accordo successivo alla definizione della vicenda giudiziaria, a bocce ferme, dove l’alea era venuta meno. Si legge che nel giudizio di merito, non cassato, era stato “esclusa la presenza di un patto di quota lite perché l'accordo sui compensi professionali, prodotto in giudizio dall'avvocato C., era intervenuto successivamente alla conclusione del giudizio civile e del procedimento amministrativo per cui era stata prestata assistenza legale dall'avvocato, decidendo la controversia sulla base dell'accordo intercorso fra le parti”.
Conseguenze del patto di quota lite.
Si ritiene che la pattuizione nulla in quanto contenente un patto di quota lite non infici il diritto dell’avvocato a percepire un compenso che, in tal caso sarà calcolato sulla base dei parametri forensi. Si ritiene, infatti, che la nullità non determini l’invalidità dell’intero accordo.
Va, infine, valutata l’eventualità che la pattuizione di una quota lite comporti anche una violazione deontologica e, quindi, sanzionabile.
Palmario
Seppure talvolta si intenda quale sinonimo di patto di quota lite, il cosiddetto “palmario” ha una differente ratio.
Se l’avvocato non può pretendere di ottenere quale compenso una parte del bene oggetto della lite, non è vietato pattuire un premio (o una decurtazione) relazionato all’esito dell’attività svolta.
E’, anzi, principio che si sta espandendo quello per cui certi risultati vanno premiati in relazione alla quantificazione del compenso. Si pensi al comma 6 dell’art. 4 del D.M. 55/2014 che recita: “Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso e' di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta”.
Il palmario, in sostanza, è un compenso suppletivo straordinario che il cliente si obbliga a dare all’avvocato, per l’esito vittorioso della lite, in aggiunta all’onorario spettante in base a quanto diversamente pattuito o stabilito dai parametri forensi. Esso è legittimo come più volte confermato dalla giurisprudenza.
________
1 - In questa Rivista in “Patto di quota lite e compensi proporzionati all'attivita' espletata: le SS.UU.”