Continua lÂ’ammonizione europea per lÂ’Italia sulla sicurezza e salute dei lavoratori
Una lunga vicenda, da anni, interessa lÂ’Italia per una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per il non corretto recepimento della Direttiva 89/391/CEE del Consiglio

Una lunga vicenda, da anni, interessa lÂ’Italia per una procedura di infrazione (p.i. n. 2010/4227) avviata dalla Commissione europea per il non corretto recepimento, nel nostro ordinamento giuridico, della Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.
Il 27 settembre 2009 il Signor Marco Bazzoni, RLS, Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, operaio metalmeccanico fiorentino di 36 anni, senza il supporto di sindacati né di associazioni, presenta alla Commissione Europea una grave denuncia sulle carenze normative italiane in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. La Commissione europea accoglie integralmente la denuncia e nel settembre 2011 approva definitivamente il progetto di costituzione in mora per l’Italia.
Ad oggi, salvo qualche adeguamento, la problematica ancora persiste. Dando seguito alla procedura di infrazione avviata nel 2011, il 21 novembre 2012 , infatti, la Commissione Europea ha emesso un avviso motivato nei confronti dell’Italia per violazione dell’art. 5 della direttiva 89/391/CEE, in quanto “ si esonera il datore di lavoro dalla sua responsabilità in materia di salute e sicurezza in caso di delega e subdelega ” e per violazione dell’art. 9 della medesima direttiva poiché si prevede una “ proroga dei termini prescritti per la redazione di un documento di valutazione dei rischi per una nuova impresa o per le modifiche sostanziali apportate a un’impresa esistente ”. La direttiva 89/391/CEE, in riferimento ai punti evidenziati, dovrà essere recepita correttamente dall’ordinamento italiano, pena il deferimento della vicenda alla Corte di Giustizia, le cui sentenze sono vincolanti per gli Stati membri e le cui sanzioni potranno arrivare fino a 700 mila euro al giorno!Il termine per adeguarsi scadrà a gennaio 2014.
I punti ritenuti dolenti nella normativa italiana già dal 2011 sono stati i seguenti:
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L’esonero da responsabilità del datore di lavoro in caso di delega o subdelega di alcune delle sue funzioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
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LÂ’esonero dellÂ’obbligo di predisporre un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori;
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La proroga dei termini impartiti per la redazione di documenti contenenti i risultati della valutazione dei rischi nel caso di nuova impresa o di modifiche sostanziali apportate a unÂ’impresa esistente;
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Il differimento dellÂ’entrata in vigore dellÂ’obbligo di valutazione del rischio di stress da lavoro;
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Il differimento dellÂ’entrata in vigore della legislazione sulla salute e sicurezza per i lavoratori appartenenti a cooperative sociali e organizzazioni di volontariato della protezione civile;
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La proroga dei termini per lÂ’adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto esistenti in data 9 aprile 1994.
In risposta a dette “censure”, in data 8 dicembre 2011, il Ministero dell’interno insieme al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha redatto un atto contenente spiegazioni tecniche. Le spiegazioni tecniche sui punti 2, 4, 5, 6 sono state accolte dalla Commissione europea.
Il problema, tuttora irrisolto e continuamente evidenziato dalla Commissione Europea, è, invece, attinente al tema delle “ responsabilità ” e delle sue dinamiche nell’ambiente di lavoro. L’importanza dei beni personali del lavoratore, vita, salute, dignità , beni indisponibili e primari, determina la prioritaria necessità della loro conservazione e protezione, aldilà di ogni altro possibile interesse meritevole di tutela. Il cardine su cui poggia, oggi, l’intero agglomerato normativo italiano sulla sicurezza è l’articolo 2087 c.c. L’articolo in esame - Tutela delle condizioni di lavoro – dispone che: “ L' imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ”. Esso è la norma di chiusura dell’intero sistema di tutela, una sorta di Grundnorm che, potenzialmente, può ricomprendere tutte le possibili fattispecie non ancora disciplinate in norme specifiche; esso è, dunque, il fondamento basico di tutte le altre possibili norme in materia; di qui, si comprende bene la primaria rilevanza attribuitagli da dottrina e giurisprudenza consolidata.
Dunque, la Commissione Europea non risparmia critiche neanche all’art. 2087 c.c.. Si critica, innanzitutto, che detta norma, tanto evocata dai tecnici italiani, rischi, in realtà , di “escludere” dall’obbligo fondamentale della sicurezza alcune categorie di datori di lavoro non qualificati come “imprenditori”, nel senso di cui all’articolo 2082 c.c. (“ E’ imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi ”.). Lo stesso ruolo di “norma di chiusura” del sistema di prevenzione e tutela riconosciuto all’art. 2087 è di pura matrice giurisprudenziale e la Commissione Europea “precisa” che, nell’ordinamento italiano, la giurisprudenza non ha forza di “precedente vincolante”, come accade, invece, in altri sistemi giuridici, motivo per cui tutti i “dogmi”, stratificatisi nel tempo per opera della giurisprudenza e fatti confluire omogeneamente nell’applicazione dell’art. 2087 c.c., possono essere solo “relativamente” vincolanti, non in via assoluta. Ciò determina, inevitabilmente, un’attenuazione della certezza del diritto.
Ulteriore disappunto manifestato dalla Commissione Europea è quello sull’articolo 10 del DPR n. 1124 del 1965. L’ art. 10 citato dispone che “ L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.
Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.
Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se dei fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile.
Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa.
Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se, per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto dei presente articolo .
Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti .
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità di infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 .”
L’art. 10 del decreto, in sostanza, esclude la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ammesse alla tutela previdenziale in assenza di un reato perseguibile d’ufficio . Dunque, tranne nel caso in cui venga accertato un reato, il datore non è personalmente responsabile; ciò, implica, un potenziale disinteresse del datore di lavoro nel porre in essere misure adeguate di sicurezza.
Un vero nodo gordiano è rappresentato, poi, dal problema della delega e subdelega di funzioni , disciplinate all’art. 16, TU n. 81/2008 . Su questo argomento l’Italia riceve, da anni, pareri negativi.
La delega di funzioni per definizione è: “l’atto organizzativo interno all’impresa, con il quale un soggetto a ciò abilitato (delegante) – in presenza di determinati requisiti oggettivi e soggettivi, positivi e negativi – trasferisce ad un altro soggetto (delegato) doveri originariamente gravanti su di lui, il cui omesso o negligente impedimento può dare luogo a responsabilità penale” (cit. ALDOVRANDI, Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di delega di compiti penalmente rilevanti , in Riv. Trim. Dir. Pen., 1995, 699).
La delega è, dunque, in concreto, un utilissimo strumento di gestione delle imprese: si pensi alle strutture complesse di grande entità o anche alle piccole e medie imprese aventi più sedi di produzione, dislocate in più territori.
Va ricordato, inoltre, che la delega incide sulla distribuzione delle responsabilità penali, inerenti alla violazione della normativa in materia di salute e sicurezza, ma non sulla responsabilità civile che resta, invece, disciplinata dagli articoli 2087 e 2049 del codice civile .
L’art. 16, comma 3, stabilisce che la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite; il comma 3bis dispone, inoltre, che il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro, delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. D’altro canto, l’art. 17, TU 81/2008 dispone che “ Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività : a)la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28; b)la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi ” (la sanzione consiste nell’arresto da 3 a 6 mesi o in un’ ammenda da 2500 a 6400 euro).
La censure espresse sulla delega e subdelega continuano ad essere molto accese in quanto, scrive la Commissione Europea, esse implicano una presunzione di adempimento da parte del datore di lavoro dei suoi obblighi, spettando alla controparte, i lavoratori, l’onere di dimostrare che il datore di lavoro non avrebbe adeguatamente vigilato . La Commissione non censura, invero, la facoltà del datore di lavoro di trasferire determinate funzioni mantenendo la vigilanza sul loro esercizio ma il fatto che egli resti responsabile diretto della salute e sicurezza dei lavoratori: se così non fosse, il datore di lavoro non avrebbe interesse ad adottare adeguate misure! L’incertezza sulle responsabilità si tradurrebbe sul piano fattuale in disinteresse, disincentivo e, dunque, pericoloso danneggiamento dei lavoratori.
Prestigiosa dottrina ( FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penale dell’impresa , Firenze, 1985, 53; MINGHELLI, Sicurezza del lavoro, “ad impossibilia nemo tenetur” ed efficacia della delega di funzioni , RIDPP, 1986, 352.), inoltre, sulla responsabilità penale, ha distinto tra incarico di funzioni “in senso proprio” e incarico di “mera esecuzione”.
Nell’incarico di funzioni “in senso proprio”, il soggetto formalmente qualificato trasferisce i propri compiti ad un terzo , il quale, sul piano materiale, potrà essere considerato soggetto attivo del reato , proprio perché riveste le funzioni proprie della persona obbligata all’osservanza del precetto antinfortunistico.
Nell’incarico di esecuzione, invece, il soggetto originariamente obbligato non trasferisce ad altri la propria funzione, ma ne delega semplicemente il momento attuativo . La delega è dunque puramente esecutiva e costituisce un semplice strumento operativo del delegante. Quest’ultimo mantiene integralmente il potere di organizzazione della struttura imprenditoriale, con le connesse responsabilità e fermi restando gli ordinari criteri di imputazione soggettiva del fatto penale . Da ciò ne discende che, qualora il datore di lavoro attribuisse a terzi, idonei e competenti, gli obblighi non delegabili ex articolo 17 del Testo Unico, non si spoglierebbe della posizione di garanzia, rimanendo sempre a lui attribuita formalmente la funzione non delegabile.
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Auspicando la risoluzione definitiva di queste lunghe e complesse problematiche, aldilà delle censure europee su delega-subdelega, sulla responsabilità civile diretta del datore di lavoro quando il fatto non costituisce reato, sulla vacatio applicativa del DVR in caso di nuove imprese o di modifiche sostanziali, in Italia è urgente e prioritario “educare” gli operatori del diritto e gli operatori economici ed imprenditoriali ad una cultura generale della sicurezza negli ambienti di lavoro, intesa nella più ampia accezione possibile . Resta, infatti, ancora quella mentalità malata e distorta tutta italiana, dedita alla elusione normativa, alla “circuizione” della legge e dei regolamenti, alla logica del profitto licenzioso e sregolato.
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