Non costituisce giusta causa di licenziamento un reato extra-lavorativo commesso molti anni prima
La giusta causa di licenziamento del contratto collettivo non vincola il giudice. Va valorizzato l'elemento temporale se reato extra-lavorativo commesso dal pubblico dipendente molti anni prima. Tribunale di Taranto Sentenza n. 1535/2023

Interessante sentenza del Tribunale del Lavoro di Taranto (n.1535/2023 del 28/6/2023 dr.ssa Annamaria Lastella) in materia di licenziamento del dipendente pubblico, attinto da condanna penale per condotte extralavorative.
Il Giudice ha infatti ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato dall’Ente Pubblico; il Magistrato ha interpretato estensivamente la previsione contrattuale, dovendo prendersi atto della giurisprudenza della S.C. secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa, la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, attesochè la nozione di giusta causa è nozione legale, ed il giudice deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione legale di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c. e se, in ossequio ai principi generali di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto sia tale da legittimare il recesso, tenuto conto anche dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (fra le molte in tal senso, la sentenza prodotta in motivazione integrale questo processo, Cass. Sez. Lav. 10.8.2006 n. 18144).
La problematica sottesa alla fattispecie in esame si concretizzava quindi nel valutare se i fatti oggetto di contestazione, possano aver giustificato l’adottata reazione espulsiva, e se questa si riveli proporzionata ed adeguata alla gravità del comportamento del lavoratore. Ed all’esito dell’istruttoria del giudizio, nella quale è stata evidenziata la correttezza della condotta che il lavoratore ha tenuto nei vent’anni successivi all’addebitoe dunque “meritevole” il lavoratore della reintegrazione nel proprio posto di lavoro, atteso che “non può ignorarsi, ai fini dell’attuale perdurare della giusta causa giustificativa del licenziamento, l’elemento temporale, il lungo tempo trascorso fra la commissione dei fatti (anno 2003) e il comportamento/condotta positivi e corretti nell’adempimento delle proprie mansioni e nel suo inserimento sociale in generale, del (omissis) come riferita dai testi ( e non documentalmente contestata) alla data della irrogazione del licenziamento (29 maggio 2021).
Ignorare tale elemento, a giudizio di chi scrive, equivarrebbe ad una immobile collocazione puntiforme al momento della commissione dei fatti del 2003, laddove il ricorrente, a seguire, ha mostrato una condotta immune da qualsivoglia richiamo, censura, contestazione, e definito da tutti i testi esaminati corretta, diligente, professionale all’interno del contesto lavorativo, ed immune da censure nel proprio comportamento sociale/esterno".
A tali condizioni, non considerare il mutamento della condotta del ricorrente e l’antica risalenza dei fatti posti a base del licenziamento, significherebbe ignorare un importante e significativo elemento sopravvenuto che, allo stato, non giustifica la conferma, all’attualità, del licenziamento per giusta causa, proprio per mancanza del requisito della proporzionalità, dovendosi decidere il caso ad oggi, e non soffermandosi a ciò che ebbe ad accadere nel lontano 2003.
avv. Del Vecchio Fabrizio
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Di seguito il testo di
Tribunale del Lavoro di Taranto Sentenza n.1535 del 28/6/2023
Tribunale di Taranto
Il Tribunale di Taranto, in funzione di Giudice del Lavoro in composizione monocratica, nella persona della dr.ssa Annamaria Lastella, all’esito della discussione orale tenutasi all’udienza del 14 giugno 2023, nella causa avente ad oggetto “licenziamento per giusta causa”
nella causa fra
D.L. F., rappr. e dif. da avv. Del Vecchio Fabrizio
Ricorrente
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore rapp.e dif. da Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce (avv. Colangelo Salvatore)
convenuto ha pronunciato la seguente
Sentenza ex art. 429 c.p.c. - contestuale -
p.q.m.
Accoglie la domanda attorea e , per l’effetto, annulla il licenziamento irrogato al ricorrente D.L. F. e notificato il 29 maggio 2021.
Condanna la resistente Amministrazione Ministero della Difesa alla reintegrazione in servizio del ricorrente, ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate nelle more sino all’effettivo reintegro parametrata all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, maggiorati degli interessi di legge dal d del licenziamento a quello della reintegrazione.
Condanna altres il resistente Ministero della Difesa alla rifusione delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida in € 2.500,00 oltre IVA, CAP, rimborso forfettario spese generali al 15%, con distrazione in favore dell’avv. Del Vecchio Fabrizio, dichiaratosi anticipante.
Motivi della decisione
Con ricorso depositato in Cancelleria in data 27.7.2021 D.L. F. impugnava innanzi a questa A.G. il licenziamento comminatogli per giusta causa in data 29 maggio 2021 dal datore di lavoro Ministero della Difesa, di cui era stato dipendente civile dal 3.3.1989 al 20.5.2021 in qualit di assistente amministrativo Area 2 fascia 3, adibito in Taranto; concludeva chiedendo :
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dichiararsi nullo, illegittimo ed ingiustificato il licenziamento intimatogli perchØ privo di giusta causa, per insussistenza del fatto contestato;
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per l’effetto condannare la convenuta Amministrazione, in virtù del D.Lgs. n. 75/17 e della normativa di riferimento, alla reintegrazione i servizio di esso ricorrente, ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate nelle more sino all’effettivo reintegro parametrata all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, maggiorati degli interessi di legge dal d del licenziamento a quello della reintegrazione.
Resisteva il Ministero convenuto.
La causa, istruita documentalmente e con prova testimoniale è stata all’odierna udienza decisa con la presente sentenza contestuale.
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La vicenda in fatto trae origine dalle imputazioni elevate in procedimento penale a carico del ricorrente (dopo un precedente annullamento di sentenza del 16 novembre 2016 in primo grado del Tribunale Penale di Taranto , poi annullata dalla S.C. e rinvio al Tribunale di Taranto) e che il Tribunale Penale con sentenza n. 216/19 del 22 febbraio 2019, irrevocabile il 13 gennaio 2021, in parziale riforma della ridetta sentenza del 16 novembre 2016 aveva condannato alla pena di anni 4 d reclusione ed € 1.000,00 di multa con pene accessorie della interdizione temporale dai Pubblici Uffici per la durata di anni 5.
Le imputazioni, come di seguito riportate e oggetto di contestazione in data 10.12.2019, successiva quindi al passaggio in giudicato della sentenza penale, , si riferiscono all’anno 2003, e precisamente al 30 giugno:
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artt. 110, 628 comma 3 cp perchè, per procurarsi un ingiusto profitto si impossessavano della somma di euro 7285,00 di 2 portafogli e di 2 telefonini che sottraevano a Fontana Antonio e Dimilito Cosimo, dipendenti della Alleanza Assicurazioni, agenzia di Manduria commettendo il fatto con violenza e minaccia con uso di pistola (consistita la violenza nel colpire ripetutamente il capo del Fontana Antonio con il calcio della pistola) e con il volto travisato dall’uso del passamontagna (accertato in Manduria il 30/6/2003).
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artt 110, 582, 585 cp perché con la condotta descritta sub n) procuravano a Fontana Antonio lesioni guaribili in giorni 12 (accertato in Manduria il 30/6/2003).
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artt. 2 e 4 L. 895/67, 110, 61 n. 2 cp, perché in concorso tra loro, al fine di commettere il reato sub. N) ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, detenevano illegalmente e portavano in luogo pubblico la pistola (di cui sub n) non meglio individuata (accertato in Manduria il 30/6/2003 alle ore 23,00).
Accadeva peraltro – e ci è stigmatizzato nella lettera di contestazioni – che il D.L. non si presentava al proprio posto di lavoro il 15 febbraio 2021(quindi a sentenza irrevocabile gi emessa), e solo due giorni dopo la moglie comunicava che era stato arrestato; alla data della emissione della contestazione il ricorrente si trovava in affido in prova al Servizio Sociale , con fine pena prevista al 24 ottobre 2021.
Si legge (per estratto, e ad essa integralmente si rimanda, prodotta agli atti) quanto segue:
Trattasi nel caso in esame, di fatti di reato di innegabile disvalore sociale ed elevata pericolosità, idonei ad arrecare grave pregiudizio a beni patrimoniali e individuali qua li l’integrità fisica e psichica della persona, con conseguenze spesso imprevedibili e drammatiche che assumono grave e specifico rilievo disciplinare non solo in relazione all’entità della condanna alla quale si aggiunge l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, ma anche perché essi si pongono come aspetti sintomatici di un comportamento generalizzato del dipendente in aperta violazione di quei principi di lealtà, fedeltà e correttezza che costituiscono il presupposto imprescindibile per l’instaurazione e la continuazione di qualsiasi rapporto di lavoro, soprattutto di quello pubblico finalizzato alla cura ed agli interessi della collettività; principi che sono immanenti al rapporto di lavoro e che impongono al dipendente di evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi ed all’immagine della pubblica Amministrazione nonché di anteporre il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati e altrui.
Si rinviene dunque nel comportamento del sig. D.L. la violazione di quei fondamentali obblighi di cui all’art. 213 commi 1 e 2 CCNL 16 maggio 1995 e successive modificazioni, che appunto sanciscono non solo il rispetto della legge da parte del dipendente, ma anche una condotta che favorisca l’instaurazione di rapporti di fiducia e collaborazione tra l’Amministrazione e i cittadini e gli impongono di evitare situazioni che possano nuocere agli interessi della P.A.
non può sottacersi che la giurisprudenza ha avuto modo di ricomprendere nella giusta causa di licenziamento anche condotte del dipendente ritenute incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro, alla stregua dei valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale. (…omissis)
Pertanto, valutata l’obiettiva gravità e pericolosità del comportamento posto in essere dal dipendente D.L., tenuto conto che il medesimo è stato sospeso cautelarmente in via obbligatoria dal servizio a decorrere dal 16 gennaio 2021, in quanto sta scontando la condanna (provvedimento tuttora in atto) e considerata la sanzione accessoria dell’interdizione temporanea dai PPUU per la durata di 5 anni, circostanze che fanno venir meno, unitamente alla fiducia, anche l’interesse dell’Amministrazione alla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’interessato il quale si ritiene abbia leso in maniera diretta l’immagine ed il prestigio della P.A. ed incrinato irrimediabilmente il rapporto fiduciario con la stessa che, instaurato e finalizzato al perseguimento di precisi fini istituzionali, non pu prescindere da una costante valutazione delle qualità morali dei propri dipendenti, si ritiene di irrogare nei confronti del dipendente D.L. F. la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso a decorrere dal 16 gennaio 2021 data sotto la quale il medesimo è stato sospeso cautelarmente dal servizio in via obbligatoria.
Il Ministero irrogava il licenziamento per giusta causa notificato in data 29 maggio 2021.
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La prospettazione di parte ricorrente si basa sulla circostanza che l’episodio è unico, lontano nel tempo, e che successivamente allo stesso nessun rilevo disciplinare è stato mosso al ricorrente (v. prova testimoniale di G.G. capitano di vascello in servizio e direttore di M____ a Taranto, il quale ha riferito che, avendo il ricorrente alle proprie dipendenze dal 3.8.2020, questi ha sempre adempiuto alle proprie mansioni con correttezza e diligenza; teste M.A., dipendente del Ministero della Difesa con mansioni di capo tecnico-amministrativo di M. a Taranto, il quale ha riferito di conoscere il ricorrente dal 2011 perché suo sottoposto, e che da tal data al 2021 ha sempre lavorato con diligenza e correttezza, e di non aver mai ricevuto in tale periodo contestazioni disciplinari; di R.V., dipendente del Ministero della Difesa dal 2014 con mansioni di assistente amministrativo, il quale parimenti ha riferito che il ricorrente, dal 2014 al 2021, ha sempre svolto con correttezza e diligenza le proprie mansioni; di S.A., dipendente del Ministero dal 2000, e che dal 2009 al 2021 il ricorrente lavorò presso l’Ufficio Appalti senza ricevere contestazione disciplinare alcuna, svolgendo sempre le proprie mansioni con correttezza, diligenza, professionalità).
Parte resistente, dal proprio canto, prospetta come la condotta penalmente rilevante del D.L. rappresenta un fatto di estrema gravità che, per le modalità con le quali è stato perpetrato e per la qualifica soggettiva dell’autore (pubblico dipendente), è idoneo ad infrangere definitivamente quel rapporto fiduciario che deve sorreggere la relazione sinallagmatica tra pubblico dipendente e datore di lavoro pubblico.
L’azione posta in essere dal ricorrente, oltre a connotarsi per evidente disvalore sociale, in quanto direttamente lesiva dell’integrità fisica e patrimoniale dei soggetti passivi del reato, si pone in aperta violazione di quei principi di lealtà , fedeltà e correttezza che - più volte ed a vario titolo richiamati dall’ordinamento - rappresentano il presupposto per l’instaurazione e la prosecuzione del rapporto di lavoro al servizio della pubblica amministrazione, la quale ha per suo stesso fine e ragion d’essere la cura degli interessi della collettività e la stessa legalità.
Inutile sottacere, poi, che anche la condotta posta in essere dal ricorrente all’indomani della irrevocabilità della sentenza della Corte di Appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto, risulta oltremodo opaca.
Nel tempo successivo alla definitivit della sentenza di condanna, il ricorrente ha adottato nei confronti del datore di lavoro pubblico un comportamento che appare intenzionalmente omissivo, improntato all’assenza di trasparenza e buona fede, presumibilmente nella speranza di potersi sottrarre in qualche modo alle conseguenze disciplinari del giudicato penale.
Costituitosi in carcere in data 16 febbraio 2021 ha omesso, infatti, di comunicare tempestivamente la propria condizione detentiva, dandone notizia solo due giorni dopo per il tramite della moglie, impedendo così l’adozione immediata del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio obbligatoria che, infatti, l’ente di impiego ha adottato solo in data 25 febbraio 2021 con decorrenza retrodatata al 16 febbraio 2021.
Tale circostanza, tutt’altro che secondaria, comporta che il dipendente già da tempo indisponibile per l’Amministrazione perché assoggettato alla pena detentiva, con successiva ammissione all’affidamento in prova ai servizi sociali, permanga indisponibile per l’Amministrazione Difesa dal 24/10/2021 per un ulteriore quinquennio, ovvero fino a completa espiazione anche della pena accessoria.
E' facile allora comprendere come una tale ipotesi determini ipso facto il venir meno di un interesse al mantenimento in vita del rapporto lavorativo. L’Amministrazione dovrebbe infatti congelare la posizione lavorativa del De Luca per
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Esaminando la normativa contrattuale di cui al CCNL applicato, in materia di sanzioni disciplinari vi si legge, per ci che qui direttamente attiene, che il licenziamento può essere senza preavviso nei seguenti termini (art. 62 CCNL): senza preavviso per:
a) le ipotesi considerate nell’art. 55-quater, comma 1, lett. a), d), e) ed f) del d.lgs. n. 165/2001;
b) commissione di gravi fatti illeciti di rilevanza penale, ivi compresi quelli che possono dare luogo alla sospensione cautelare, secondo la disciplina dell’art. 64, fatto salvo quanto previsto dall’art. 65;
c) condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravità ;
d) commissione in genere - anche nei confronti di terzi - di fatti o atti dolosi, che, pur non costituendo illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; (omissis).
A ben leggere, le ipotesi sopra riportate e sottolineate giustificative del licenziamento senza preavviso ( e per giusta causa) ricorrono tutte.
Ma, evidentemente, andando oltre la stretta previsione contrattuale, deve prendersi atto della giurisprudenza della S.C. secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa, la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, attesochè la nozione di giusta causa è nozione legale, ed il giudice deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione legale di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c. e se, in ossequio ai principi generali di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto sia tale da legittimare il recesso, tenuto conto anche dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (fra le molte in tal senso, la sentenza prodotta in motivazione integrale questo processo, Cass. Sez. Lav. 10.8.2006 n. 18144).
Si tratta quindi di valutare se tali fatti possano aver giustificato l’adottata reazione espulsiva, e se questa si riveli proporzionata ed adeguata alla gravità del comportamento del lavoratore.
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Passando dunque alla disamina dei radicati principî generali, secondo l’insegnamento della consolidata, costante e prevalente giurisprudenza di legittimità , il giudizio di proporzionalità fra illecito e sanzione espulsiva non pu infatti basarsi esclusivamente sul profilo oggettivo, rappresentato dalla specifica condotta posta in essere dal lavoratore, dovendosi necessariamente tener conto anche del profilo soggettivo, rappresentato in particolare dall’elemento psicologico (dolo o colpa). Tale valutazione, inoltre, non deve essere condotta avuto riguardo ai fatti astrattamente considerati, bens ad ogni aspetto del caso concreto (afferente alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente).
In definitiva il licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cod. civ. pu ritenersi legittimo solo ove la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile sia tale da far venir meno l’elemento fiduciario che costituisce il presupposto fondamentale della collaborazione fra le parti nel rapporto di lavoro e, comunque, rivesta una gravit tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro (c.d. extrema ratio).
Cos indicati i criteri-guida ai quali occorre ispirarsi nel verificare la effettiva sussumibilità di determinate condotte nell’ambito del concetto di
Ci posto tuttavia, a giudizio di chi scrive, ed allo scopo di valutare nella sua reale, effettiva, attuale rilevanza la posizione del ricorrente, non può ignorarsi, ai fini dell’attuale perdurare della giusta causa giustificativa del licenziamento, l’elemento temporale, il lungo tempo trascorso fra la commissione dei fatti (anno 2003) e il comportamento/condotta positivi e corretti nell’adempimento delle proprie mansioni e nel suo inserimento sociale in generale, del D.L. come riferita dai testi ( e non documentalmente contestata) alla data della irrogazione del licenziamento (29 maggio 2021).
Ignorare tale elemento, a giudizio di chi scrive, equivarrebbe ad una immobile collocazione puntiforme al momento della commissione dei fatti del 2003, laddove il ricorrente, a seguire, ha mostrato una condotta immune da qualsivoglia richiamo, censura, contestazione, e definito da tutti i testi esaminati corretta, diligente, professionale all’interno del contesto lavorativo, ed immune da censure nel proprio comportamento sociale/esterno.
A tali condizioni, non considerare il mutamento della condotta del ricorrente e l’antica risalenza dei fatti posti a base del licenziamento significherebbe ignorare un importante e significativo elemento sopravvenuto che, allo stato, non giustifica la conferma, all’attualità, del licenziamento per giusta causa, proprio per mancanza del requisito della proporzionalità , dovendosi decidere il caso ad oggi, e non soffermandosi a ci che ebbe ad accadere nel lontano 2003.
Per tali motivi la domanda attorea va accolta.
Va disposto l’annullamento del licenziamento impugnato, e per l’effetto condannata la resistente
Amministrazione alla reintegrazione i servizio del ricorrente, ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate nelle more sino all’effettivo reintegro parametrata all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, maggiorati degli interessi di legge dal dì del licenziamento a quello della reintegrazione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e, liquidate e distratte come da dispositivo, vanno poste a carico del Ministero della Difesa.
Taranto, 28 giugno 2023
Il Giudice del lavoro
Dr. Annamaria Lastella