Sanzioni pecuniarie e nuovi illeciti civili: considerazioni sulla nuova disciplina

Depenalizzazione: prime riflessioni sul recente intervento di abrogazione di reati ed introduzione dei nuovi illeciti civili ad opera del D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. A cura dell'Avv. Francesca Fioretti

- di Avv. Francesca Fioretti
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Sanzioni pecuniarie e nuovi illeciti civili: considerazioni sulla nuova disciplina

Con l’emanazione dei decreti legislativi n. 7 e n. 8 del 15 gennaio 2016 – pubblicati in G.U. del 22 gennaio 2016 n. 17 e in vigore dal prossimo 6 febbraio – il Governo ha esercitato la delega contenuta nell’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, in materia di depenalizzazione.

Si tratta, in realtà, di un doppio intervento legislativo: il primo contenente disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili (D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7) e il secondo recante disposizioni in materia di depenalizzazione (D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8).

Così come i precedenti interventi legislativi rivolti in tal senso (L. n. 689/1981 e L. n. 205/1999), la riforma sottrae dall’area del penalmente rilevante una notevole quantità di fattispecie che, d’ora in avanti, avranno un rilievo esclusivamente amministrativo e – questa è la vera novità – civilistico.

Il legislatore, infatti, accanto ai reati trasformati in illeciti amministrativi di cui al D. Lgs. n. 8/2015, ha previsto che altri – tra cui l’ingiuria – perdano il carattere di illecito penale per assumere quello di illecito civile.

Per queste fattispecie, dunque, la risposta sanzionatoria approntata dall’ordinamento non sarà più di carattere penale, ma civile e sarà demandata all’iniziativa della parte che assume di aver subito un danno, previa dimostrazione di una condotta dolosa da parte dell’agente convenuto in giudizio. La sanzione pecuniaria civile, infatti, a mente dell’art. 8 D. Lgs. n. 7/2015, è subordinata all’accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta dalla persona offesa.

La riforma è di portata storica, in quanto le fattispecie interessate dalla riforma perdono il carattere di illecito penale per integrare altrettanti illeciti civili corrispondenti alla violazione di posizioni soggettive riconosciute dall’ordinamento civile e da esso tutelate attraverso modalità completamente inedite.

Il modello preso a riferimento dal legislatore delegato si trova espresso nella relazione al disegno di legge S. 110 della XII Legislatura, che è stata la base dell’adozione dell’art. 2, comma 3, Legge n. 67 del 2014.

Ivi si afferma espressamente che le nuove sanzioni pecuniarie civili sono ricondotte alle c.d. pene private e che “mentre il risarcimento ha una funzione riparatoria, la pena privata ha una funzione sanzionatoria e preventiva e si giustifica allorquando l’illecito, oltre a determinare un danno patrimoniale, consente di ottenere un arricchimento ingiustificato. In tali casi se il legislatore si limitasse alla eliminazione dell’illiceità penale, gli autori – a prescindere dal risarcimento dovuto alla persona danneggiata – si gioverebbero del vantaggio patrimoniale provocato dal fatto illecito”.

Con la locuzione di pena privata elaborata dalla dottrina si designa una sanzione civile, di natura prettamente pecuniaria, comminata nei confronti di un soggetto privato, su iniziativa e a vantaggio di un altro privato. Consiste essenzialmente in una attribuzione di carattere patrimoniale il cui ammontare supera l’entità del pregiudizio subito. Proprio questa eccedenza “risarcitoria” caratterizza la figura, che vuole essere uno strumento più efficace di tutela contro una violazione dolosa o gravemente colposa di una posizione giuridica soggettiva giuridicamente tutelata1.

Nel novero delle pene private sono, più o meno pacificamente, ricondotte alcune fattispecie, tra cui le sanzioni previste a fronte degli illeciti commessi a mezzo della stampa di cui all’art. 12 L. n. 47/1948, le varie forme di potestà sanzionatoria del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, l’indennità di cui all’art. 129 bis c.c. dovuta al coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio, le sanzioni comminate dal giudice ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. (nei casi di gravi inadempienze dei genitori rispetto ai provvedimenti emessi dal giudice in sede di separazione, a tutela degli interessi dei figli minori) e, in ambito negoziale, la clausola penale ex artt. 1382 e ss. c.c.

Dalla lettura della legge delega, tuttavia, e soprattutto di quanto adottato in via definitiva dal Governo, sembra che il modello effettivamente preso a riferimento per l’introduzione delle nuove sanzioni civili, più che l’istituto delle pene private, sia quello dei c.d. “punitive damages” o danni punitivi, previsti nei sistemi di common law, ovvero somme di denaro, ulteriori rispetto al risarcimento dei danni effettivamente subiti dalla persona offesa, che il convenuto soccombente può essere condannato a pagare all’esito del giudizio civile. L’art. 3 del decreto in commento, infatti, stabilisce che le condotte, previste dall’art. 4, se dolose, obbligano oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile. Così come accade per i “punitive damages”, dunque, la sanzione pecuniaria civile si affianca al risarcimento del danno vero e proprio ed ha una natura meramente indennitaria, in quanto la somma dovuta dal soccombente è preventivamente stabilita dalla legge – sanzione da euro cento a euro ottomila, ovvero da euro duecento a euro dodicimila – e non è parametrata sull’entità del pregiudizio subito dall’attore. L’art. 10, peraltro, stabilisce che il provento della sanzione irrogata dal giudice, a differenza del risarcimento del danno riconosciuto all’attore/danneggiato, sia devoluto alla Cassa delle ammende.

Anche la portata applicativa dei nuovi illeciti li rende molto simili ai punitive damages, i quali, diversamente dalle pene private, non possono trovare origine nella volontà negoziale delle parti, collocandosi esclusivamente nell’ambito della responsabilità extracontrattuale. La matrice, inoltre, è marcatamente più sanzionatoria rispetto alle pene private, in quanto sono volti a reprimere unicamente le condotte dolose, così come viene previsto per la nuova sanzione pecuniaria civile.

Quanto ai presupposti dei nuovi illeciti civili, si nota immediatamente che il Governo, seguendo pedissequamente la legge delega, ha optato per una “de-criminalizzazione” di talune fattispecie di reato, seppure per un numero di reati minore rispetto a quanto inizialmente previsto, rimandando al codice civile la definizione ex novo delle condotte per le quali si applica la sanzione pecuniaria civile. L’elemento oggettivo dei nuovi illeciti, dunque, è rinvenibile nelle definizioni di cui all’art. 4 D. Lgs. n. 7/2015, il quale espressamente descrive ad esempio la condotta di “chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa”. È quasi letterale il riferimento al vecchio testo dell’art. 594 c.p. che prevedeva e puniva il reato di ingiuria, così come accade per le altre ipotesi ora trasformate in illeciti civili (ex art. 485 c.p. – Falsità in scrittura privata; ex art. 486 c.p. – Falsità in foglio firmato in bianco; ex art. 627 c.p. – Sottrazione di cose comuni; ex art. 647 c.p. – Appropriazione di cose comuni, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito)2.

Quanto all’elemento soggettivo, il legislatore delegato ha previsto che le condotte sanzionabili saranno esclusivamente quelle caratterizzate dal dolo del soggetto agente, così come previsto dalla L. n. 67/2014 che non prevedeva la sanzione delle condotte colpose.

Le sanzioni pecuniarie, previste nel loro minimo e massimo, sono modulabili dal giudice civile secondo i criteri di commisurazione previsti dall’art. 5, già contenuti nell’art. 2, comma 3, lett. e) della legge delega: gravità della violazione, reiterazione dell’illecito, arricchimento del responsabile, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito, personalità e condizioni economiche dell’agente. Alcuni di tali criteri sono già conosciuti all’interno del processo civile, la gravità della violazione ad esempio rileva nella quantificazione della riparazione di cui all’art. 12 L. 8 febbraio 1948 (c.d. legge sulla stampa). Altri, invece, sono assolutamente inediti in ambito civilistico e rispecchiano essenzialmente i criteri previsti dall’art. 133 c.p. in tema di valutazione della gravità del reato ai fini della commisurazione della pena. L’arricchimento del soggetto agente in sede civile viene utilizzato come criterio limitativo dell’indennizzo dovuto, ma pur sempre in presenza del canone “buona fede”, incompatibile con i nuovi illeciti dolosi introdotti nell’ordinamento. Estranea al diritto civile è anche l’indagine sulla personalità dell’agente, assimilabile forse solo all’accertamento sullo status delle persone fisiche, in relazioni a procedimenti speciali quali l’amministrazione di sostegno.

Viene introdotta anche una forma di “recidiva”, laddove l’art. 6 chiarisce che si ha reiterazione dell’illecito ogni qual volta questo sia compiuto entro quattro anni dalla commissione di un’altra violazione sottoposta a sanzione pecuniaria civile della stessa indole, accertata con provvedimento esecutivo (ove per stessa indole deve intendersi una violazione della medesima disposizione o di quelle diverse disposizioni che, “per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni”). Anche in tale ipotesi il legislatore ha trasferito in sede civile un istituto prettamente penalistico che non trova precedenti nell’ordinamento civilistico.

Sempre in stretta analogia con l’ordinamento penale è anche la previsione del registro informatizzato dei provvedimenti in materia di sanzioni pecuniarie. Quasi come un “casellario civile”, verrà istituito (con l’emanazione di apposito decreto del Ministro della giustizia) un registro automatizzato dei provvedimenti di applicazione delle sanzioni pecuniarie, ai fini della valutazione della reiterazione dell’illecito.

Per quanto concerne la competenza a conoscere dei nuovi illeciti civili, l’art. 8 prevede che le sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno. La soluzione offerta dal legislatore, nel silenzio della legge delega, è quella per cui si applicheranno le normali regole di ripartizione della competenza tra Tribunale ordinario e Giudice di Pace, a seconda del valore della controversia. Giacché è l’iniziativa della persona offesa/attore ad attivare il procedimento, sarà il valore del risarcimento del danno da questi richiesto a determinare la competenza del Tribunale o del Giudice di Pace, a seconda che la pretesa sia ricompresa ovvero superi la soglia di 5.000,00 Euro. Questa sembrerebbe la soluzione più logica e aderente al dettato normativo, ma, proprio per la laconicità della previsione, è legittimo chiedersi ad esempio se il valore della causa debba ricomprendere anche il valore della sanzione pecuniaria che presumibilmente potrebbe essere irrogata. Tuttavia, vista la forbice piuttosto ampia concessa alla discrezionalità del giudice, una simile soluzione equivarrebbe quasi ad escludere in radice la competenza del Giudice di Pace.

Le regole processuali che disciplineranno il procedimento, anche ai fini dell’irrogazione delle sanzioni pecuniarie civili, secondo l’art. 8, saranno le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili. Anche in questo caso, nonostante la previsione onnicomprensiva, ci si chiede ad esempio se la domanda dell’attore debba limitarsi alla richiesta di risarcimento del danno, ovvero debba estendersi anche alla specifica richiesta di applicazione della sanzione.

L’abrogazione delle fattispecie di reato trasformate in illeciti civili produce i suoi effetti, oltre che sul piano sostanziale, anche sotto il profilo processuale penale.

L’art. 12, infatti, prevede una disciplina transitoria che rende applicabili le nuove disposizioni anche ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore delle stesse, salvo che il procedimento sia stato definito con sentenza o decreto divenuti irrevocabili. In tal caso il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti, osservando le disposizioni di cui all’art. 667, comma 4, c.p.p.

Attualmente, dunque, se l’azione penale non è stata ancora esercitata ma vi sia un procedimento aperto in fase di indagini preliminari, il pubblico ministero dovrà chiedere l’archiviazione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, ai sensi dell’art. 411 c.p.p., per il procedimento ordinario, e art. 17, comma 1, D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 per i procedimenti innanzi al giudice di pace.

Se, invece, l’azione penale è già stata esercitata deve trovare applicazione l’art. 129, comma 1, c.p.p. e il giudice “in ogni stato e grado del processo”, dovrà dichiarare d’ufficio con sentenza che il fatto non è previsto dalla legge come reato. In tale ipotesi, peraltro, il giudice potrebbe pronunciare una sentenza di assoluzione nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p.p., solo nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere la sussistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo incontestabile, in modo tale che la valutazione da compiere sia più una constatazione che un apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi ulteriore necessità di accertamento o di approfondimento3.

Nel caso, infine, in cui vi sia un procedimento penale per una delle fattispecie abrogate già definito con sentenza di condanna o decreto divenuti irrevocabili, il condannato dovrà ricorrere al giudice dell’esecuzione (individuato ex art. 666, comma 1, c.p.p.), il quale dovrà revocare la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adottando i provvedimenti conseguenti ex art. 673 c.p.p.. Tra questi provvedimenti ragionevolmente non rientra la revoca delle statuizioni civili eventualmente pronunciate con la sentenza di condanna. L’art. 2, comma 2, c.p., infatti, prevede che la perdita del rilievo penale del fatto determina la revoca della condanna, con la cessazione della sua esecuzione e degli eventuali effetti penali. Ne consegue che se il fatto ha determinato una condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno in sede civile, queste statuizioni restano ferme.

 

Avv. Francesca Fioretti

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1 S. Patti, “Pena privata” in Digesto Civile VI ed., Torino, Utet.

2 F. Palazzo, “Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1, p. 1720 “la stessa delega prescrive che le condotte dei nuovi illeciti siano indicate tassativamente; e per il legislatore delegato, il modo ad un tempo più rigoroso e più semplice di adempiere a tale criterio direttivo, sarà di riprodurre le nuove fattispecie come esse erano formulate nel codice penale”.

3 Cass. Pen., Sez. Un., 28 maggio – 15 settembre 2009, n. 35490; Cass. Pen., Sez. III, 8 aprile – 15 aprile 2015, n. 15449, in materia di particolare tenuità del fatto.

 

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