Consulente fiscale: responsabilità concorrente e aggravata per "modelli di evasione fiscale"

Reati tributari: sulla responsabilità a titolo di concorso del consulente fiscale per la violazione tributaria commessa dal cliente. Cassazione penale Sentenza n. 1999/2018

Consulente fiscale: responsabilità concorrente e aggravata per "modelli di evasione fiscale"

1. Le massime

«In tema di reati tributari, è responsabile a titolo di concorso il consulente fiscale per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando il primo sia l'ispiratore della frode, ed anche se solo il cliente abbia beneficiato della operazione fiscalmente illecita».

«In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità dell'aggravante nel caso in cui reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale (D.Lgs. n. 74 del 2000, art.13 bis, comma 3), è richiesta una particolare modalità della condotta, ovverosia la serialità che, se pur non prevista espressamente nell'articolo, è desumibile dalla locuzione ...elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione..., rappresentativa di una certa abitualità e ripetitività della condotta incriminata».

«In tema di reati tributari, il sequestro preventivo per equivalente, in vista della confisca prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori della condotta criminosa, non essendo esso ricollegato all'arricchimento personale di ciascuno dei correi bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell'illecito».

 

2.Il fatto

Il procedimento riguardava il reato di cui agli artt. 10-quater, co. 2, e 13-bis, co. 3, D.Lgs. 74/2000, art. 10 quater, comma 2, art. 13 bis, co. 3, indebita compensazione in concorso aggravata dall'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Di tale imputazione rispondeva in concorso il consulente fiscale nonché domiciliatario delle società destinatarie dall'accertamento, il quale veniva raggiunto cautelativamente dal sequestro preventivo per equivalente di beni mobili ed immobili nella sua disponibilità fino alla concorrenza della somma di euro 42.558.848,56 pari all'ammontare dei crediti tributari inesistenti oggetto di indebita compensazione.

Al consulente veniva addebitato di aver ideato e commercializzato "modelli di evasione fiscale" attraverso cui sarebbero stati commessi più reati di compensazione di crediti tributari inesistenti, compensazioni che alcuni soggetti assistiti (titolari e legali rappresentanti della imprese) effettuavano mediante la trasmissione telematica di modelli F24, accollandosi il debito tributario riferibile a terzi, in ciò consentendo loro l'apparente regolarizzazione della propria posizione fiscale, il tutto utilizzando crediti fittizi.

 

3. La quaestio iuris

Il tribunale del riesame, in accoglimento dell'appello del PM avverso l'ordinanza che rigettava l'istanza cautelare, escludeva la buona fede del consulente che aveva fornito un apporto essenziale al meccanismo, apponendo il visto di conformità obbligatorio per la certificazione dei crediti inseriti nelle dichiarazioni poi da lui trasmesse in qualità di intermediario. Invero, al consulente competono oneri di controllo superiori al normale cliente che si rivolge al professionista, essendo «un soggetto che compie un'attività di importanza tale da determinare per legge a suo carico l'obbligo di controllo L. n. n. 147 del 2013, ex art. 1, comma 574». A differenza del normale contribuente che si fida delle altrui attestazioni, il professionista sarebbe invece obbligato a verificare la veridicità di quanto riportato in bilancio. Sotto il profilo dell'elemento psicologico, poi, dalle intercettazioni sarebbe emerso l'inesistenza dei crediti opposti in compensazione e la partecipazione del consulente al complessivo meccanismo di cui era pienamente consapevole, specie riguardo all'inesistenza dei crediti.

Il tribunale aveva inoltre rilevato che il professionista, anche in proprio, si era avvalso del medesimo sistema di indebita compensazione utilizzato per le società e l'aveva poi utilizzato per i clienti: non si era limitato a fornire suggerimenti alle società assistite ma aveva partecipato in pieno alle operazioni illecite, assumendo il ruolo di regista, ideando lo schema dell'indebita compensazione tramite F24 di crediti inesistenti. Il consulente non era inoltre riuscito a fornire prova della sua estraneità ai fatti contestati, anche perché la compilazione "tecnica" e la trasmissione del modello F24 erano adempimenti eseguiti dal consulente.

Il consulente proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 10-quater, co. 2, e 13-bis, co. 3, D.Lgs. n. 74 del 2000.

Per ciò che qui importa, la difesa negava ogni partecipazione attiva e consapevole ai presunti progetti criminali, posto che il consulente si era sempre attivato presso l'Agenzia delle Entrate per metterla a conoscenza dei contratti da registrare e di quanto si andava a predisporre. Si asseriva che non sarebbe configurabile nell'attuale sistema penale un concorso del professionista consulente a titolo colposo, posto che il consulente «avrebbe potuto essere chiamato a rispondere del reato solo ove avesse apportato intenzionalmente un contributo causale, materiale o morale, alla realizzazione del fatto illecito del cliente, agevolandone la condotta ovvero determinandone o rafforzandone la volontà con un proprio comportamento cosciente e volontario».

Inoltre la difesa riteneva che la fattispecie contestata costituisse un reato proprio di natura commissiva del debitore che non versa quanto dovuto allo Stato e il modello fraudolento di pagamento dei debiti tributari non offrirebbe all'indagato alcun conseguimento di profitto, in quanto la condotta che sarebbe dal medesimo stata perpetrata non avrebbe direttamente prodotto un incremento patrimoniale, nè consentito un mancato decremento patrimoniale, avendo piuttosto percepito una giusta ricompensa professionale regolarmente fatturata.

 

4. Il decisum

La Suprema Corte ha ritenuto l'argomentazione del tribunale del riesame ineccepibile in diritto, respingendo quindi il motivo addotto in ricorso.

4.1 Dolo del professionista e concorso nel reato proprio

Con riferimento alla presunta mancanza del dolo, è emerso il contributo causale – in termini di partecipazione attiva e consapevole alla condotta illecita protrattasi per un arco temporale di diversi anni – offerto dall'imputato in qualità di consulente fiscale delle società interessata e domiciliatario di varie società beneficiarie dell'indebita compensazione alla realizzazione del fatto illecito posto in essere dal cliente-contribuente.

A detta della Corte non residuano dubbi sulla responsabilità concorsuale del professionista in ipotesi simili, dovendosi ritenere responsabile in concorso il consulente fiscale per la violazione commessa dal cliente quando sia l'ispiratore della frode, ed anche se per avventura solo il cliente abbia beneficiato della frode1. Da cui la responsabilità penale del commercialista a titolo di concorso di persone nel reato solo in caso di dolo, configurando condotta dolosa da parte del consulente l'essere consapevole e cosciente nel porre in essere una frode fiscale.

Inoltre, per il particolare meccanismo descritto, la condotta del consulente è sanzionabile ancorché la fattispecie di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 preveda un reato proprio che, in ambito societario, viene generalmente e principalmente commesso dagli amministratori, giacchè su di loro gravano gli oneri di natura tributaria.

4.2 Modelli di evasione fiscale e serialità

Il fatto è addirittura aggravato ex art. 13-bis D. Lgs. 74/2000 in quanto «commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale». Si tratta di un'ipotesi di "concorso qualificato" di quei soggetti di cui all'art. 7 D.Lgs. 241/1997, cioè i soggetti abilitati dall'Agenzia delle Entrate alla presentazione delle dichiarazioni o ciascun soggetto che svolge attività di consulenza fiscale2.

È ben presente la "serialità", come desumibile dalla locuzione «..elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione fiscale» che postula una certa abitualità e ripetitività della condotta incriminata3, stante che i "modelli di evasione" sono oggetto di una condotta "seriale", costituendo forme di evasione particolarmente complesse ed elaborate replicabili (e, nel caso, replicati) in più casi analoghi.

4.3 Utilità e sequestro per equivalente

Non ha pregio poi l'eccezione difensiva dell'assenza del conseguimento di utilità o profitti dall'attività illecita, in quanto «il concorso di persone nel reato implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e il sequestro non è collegato all'arricchimento personale di ciascuno dei correi, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell'illecito».

Principio più volte affermato dalla stessa Corte, per cui «esclusa la possibilità di sequestrare l'originario profitto del reato, il sequestro preventivo per equivalente, in vista della confisca prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del suddetto profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori della condotta criminosa, non essendo esso ricollegato all'arricchimento personale di ciascuno dei correi bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell'illecito»4

 

Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”

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1 Sez. 3, sentenza n. 24166 del 2011, ud. 5/05/2011 - dep. 16/06/2011.

2 «Ritiene peraltro il Collegio di dover seguire l'interpretazione fornita dall'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione nella relazione 111/5/2015 sulla revisione del sistema sanzio-natorio penale tributario, laddove si precisa che la nozione di "professionista" deve essere intesa "in senso sostanziale" e, dunque, comprensiva di chiunque, nell'esercizio della sua professione, svolge attività di consulenza fiscale (commercialisti, consulenti, avvocati e così via). Nessun dubbio, nel caso di specie, dunque, circa la sussistenza di tale primo profilo».

3 «..d'altronde nella scarna parte della Relazione Illustrativa dello schema di decreto viene utilizzato l'aggettivo "seriale", a conferma della necessarietà che la condotta in argomento assuma il carattere della riproducibilità in futuro».

4 Sez. 2, n. 10838 del 20/12/2006 - dep. 14/03/2007; Sez. 3, sentenza n. 24967 del 2015, ud. 14/05/2015 - dep. 16/06/2015.

 

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione penale Sentenza n. 1999 del 18/01/2018

 

 

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