Corte Costituzionale: sospensione automatica della pena inferiore a quattro anni (non a tre)

Sospensione automatica della pena: dichiarata l'illegittimità costituzionale dell’art. 656 co. 5 c.p.p., Corte Costituzionale Sentenza n. 41 02/03/2018

Corte Costituzionale: sospensione automatica della pena inferiore a quattro anni (non a tre)

1. Statuizione. Norma oggetto del giudizio di costituzonalità e norme parametro

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce1 con ordinanza n. 109 del 13 marzo 2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2017, sollevava in riferimento agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost. la questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, co. 5, c.p.p. «nella parte in cui non prevede che l’ordine di sospensione della pena debba essere emesso anche nei casi di pena non superiore a quattro anni di detenzione».

La Corte Costituzionale dichiarava «l'illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni».

L'art. 656, co. 5, c.p.p. oggetto di sindacato di costituzionalità dispone che

« Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione...».

Il comma impone la sospensione dell’ordine di esecuzione in modo da consentire al condannato di presentare istanza per ottenere una delle misure alternative alla detenzione previste dagli artt. 47, 47-ter, e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, c.d. Ordinamento penitenziario), e dall’art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).

Il parametro per il giudizio di costituzionalità riguardava gli artt. 3 e 27, co. 3, della Costituzione, dunque con riferimento al principio di uguaglianza e al principio di rieducazione2.

In particolare, il condannato chiedeva al giudice a quo di dichiarare inefficace l’ordine di esecuzione3, sostenendo che esso avrebbe dovuto essere sospeso nonostante la pena da espiare eccedesse il limite triennale. Ciò in quanto l’art. 47, co. 3-bis, Ordinamento penitenziario 4 consente una particolare forma di affidamento in prova quando la pena detentiva da eseguire non è superiore a quattro anni. E poiché la norma citata permette l’affidamento in prova anche quando la pena da espiare non è superiore a quattro anni, il condannato riteneva che il limite cui subordinare la sospensione dell’ordine di esecuzione di cui all'art. 656, co. 5, c.p.p. avrebbe dovuto essere armonizzato con tale limite di pena.

 

2. Le argomentazioni del giudice a quo: rilevanza e non manifesta infondatezza

In punto di rilevanza, secondo il giudice a quo l’accoglimento delle questioni comporterebbe l’inefficacia dell’ordine di esecuzione, poiché il condannato deve scontare una pena superiore a tre anni di detenzione, ma non a quattro e la condanna si riferiva al reato punito dall’art. 73, co. 1, del d.P.R. 309/1990 per cui non era prevista alcuna preclusione alla sospensione ai sensi del’art. 656, co. 9, c.p.p..

In punto di non manifesta infondatezza, invece, il giudice rimettente rilevava che la sospensione dell’ordine di esecuzione fosse strutturalmente e funzionalmente collegata alla possibilità di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale, misura anch'essa animata dallo scopo di "deflazione carceraria" e di prevenzione speciale, sulla base della comune presunzione di una ridotta pericolosità del condannato, da cui il limite di tre anni stabilito dall’art. 656, co. 5, c.p.p. censurato corrisponde a quello fissato dall’art. 47, co. 1, L 354/1975 ai fini dell’affidamento in prova. Identica ratio ravvisata nell’"affidamento allargato" di cui al co. 3-bis del medesimo articolo, che si distinguerebbe dall'affidamento di cui al co. 1 solo perché il periodo di osservazione del comportamento del condannato è di almeno un anno, anziché di almeno un mese.

 

3. La contrarietà al dettato costituzionale: lesione degli artt. 3 e 27, co. 3, Cost.

L’omesso adeguamento del limite di pena previsto dalla norma censurata a quello utile per l'accesso all'affidamento allargato previsto dall'Ordinamento penitenziario determinava secondo il giudice a quo un «disallineamento sistematico», un «mancato raccordo tra norme», con lesione anzitutto dell’art. 3 Cost. a causa della discriminazione ingiustificata tra coloro che potevano essere ammessi alla misura alternativa perché avrebbero dovuto espiare una pena detentiva non superiore a quattro anni e coloro che, potendo godere dell’affidamento in prova relativo a una pena detentiva non superiore a tre anni, avrebbero ottenuto la sospensione automatica dell’ordine di esecuzione.

Comportando l’ingresso in carcere di chi può godere dell’affidamento in prova allargato, la norma oggetto di sindacato di costituzionalità la si reputava in contrasto con la finalità rieducativa della pena prevista dall’art. 27, co. 3, Cost..

Argomentazione a cui non aderiva l'Avvocatura dello Stato, rappresentante e difensore dell'intervenuto Presidente del Consiglio, ritenendo inammissibile o comunque infondata la questione sollevata5.

 

4. Il decisum.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, co. 5, c.p.p. in riferimento all’art. 3 Cost. è stata ritenuta fondata, in quanto «la genesi dell’istituto definito dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. e lo sviluppo che esso ha trovato nella legislazione confermano che immanente al sistema, e tratto di imprescindibile coerenza intrinseca di esso, è un tendenziale parallelismo tra i due termini posti a raffronto». A fronte del parallelismo tra sospensione automatica dell'ordine di esecuzione e misure alternative6, posto che all’incremento della soglia di accesso alla misura alternativa ha corrisposto una pari elevazione del limite stabilito ai fini della sospensione, nel caso di specie non è stato apprezzabile una simile evoluzione imputabile al mancato adeguamento legislativo della disposizione censurata.

A dire della Corte, nel caso in esame, «la rottura del parallelismo... appare di particolare gravità, perché è proprio il modo con cui la legge ha configurato l’affidamento in prova allargato che reclama, quale corollario, la corrispondente sospensione dell’ordine di esecuzione».

Vero che è espressamente prevista la concessione dell’affidamento "allargato" al condannato in stato di libertà, tuttavia l'impossibilità di sospendere l’ordine di esecuzione di una pena detentiva tra tre anni e un giorno e quattro anni rende la previsione irrealizzabile, come avviene nella situazione normativa venutasi a creare a causa del mancato adeguamento dell’art. 656, co. 5, c.p.p., con la conseguenza che «il legislatore smentisce sé stesso, insinuando nell’ordinamento una incongruità sistematica capace di ridurre gran parte dello spazio applicativo riservato alla normativa principale».

In definitiva, dal difetto di coordinamento riviene la lesione dell'art. 3 Cost., in quanto l'omesso intervento legislativo ha dato luogo «a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato».

 

Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”

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1 Il giudice a quo è stato investito, in qualità di giudice dell’esecuzione, della domanda di sospensione di un ordine di esecuzione della pena detentiva di tre anni, undici mesi e diciassette giorni, che il pubblico ministero ha emesso in base all’art. 656, comma 1, cod. proc. pen., senza sospenderlo, perché la pena da scontare eccedeva il limite di tre anni fissato dal quinto comma dello stesso articolo.

2 La questione sull'illegittimità costituzionale con riferimento all'art. 27, co. 3, c.p.p. è rimasta assorbita.

3 Il pubblico ministero non aveva sospeso l’ordine, come è invece tenuto a fare ove la pena da espiare non superi i tre anni di detenzione. In questo caso infatti si preserva la libertà del condannato per consentirgli di presentare al tribunale di sorveglianza una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale e di rimanere libero fino a quando non sopraggiunga una decisione sulla richiesta. Così si evita l’ingresso in carcere di persone che possono godere della misura alternativa alla detenzione.

4 Introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria) convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 10.

Il nuovo art. 47, co. 3-bis, L. 354/ 1975 ha introdotto un’ulteriore ipotesi di affidamento in prova, quello cosiddetto allargato. In particolare, l'affidamento in prova può essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.

5 Per l'argomentazione addotta dall'Avvocatura dello Stato in qualità di rappresentante e difensore del Presidente del Consiglio, si rimanda ai punti 4 e 5 della parte in fatto della Sentenza allegata. Il punto 6, invece, è dedicato all'esplicazione delle istanze del ricorrente nel procedimento principale.

6 La sospensione automatica dell’ordine di esecuzione è dovuta alla sentenza n. 569 del 1989 della Corte Costituzionale, che estese a chi si trovava in stato di libertà la possibilità di accedere all’affidamento in prova riservato in precedenza ai soli carcerati. «Il legislatore allora si avvide che sarebbe stato in linea di principio incongruo disporre temporaneamente la carcerazione di chi avrebbe poi potuto godere di una misura specificamente pensata per favorire la risocializzazione fuori dalle mura del carcere e giunse a perseguire al massimo grado l’obiettivo di risparmiare il carcere al condannato, sostituendo... l’art. 656 cod. proc. pen. e introducendo l’automatica sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, entro un limite pari a quello previsto per godere della misura alternativa».

 

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Di seguito il testo di
Corte Costituzionale Sentenza n. 41 depositata il 2 marzo 2018

 

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