La truffa del subagente che incassa i premi: responsabilità della compagnia di assicurazione
Il subagente fa sparire i premi ricevuti dai clienti? Quando risponde la compagnia di assicurazione? La responsabilità del preposto e la tutela dell'apparenza. Cassazione Ordinanza n. 5414/2021

Nei fatti di cronaca spesso finisce la vicenda di un subagente di assicurazione (o un collaboratore, o un segnalatore) il quale, visitando come da mandato i clienti per i rinnovi di polizza, continua imperterrito e per lungo tempo ad incassare i premi assicurativi, trattenendoli senza versare il relativo importo alla compagnia mandante.
Solitamente il subagente ad un certo punto sparisce (andando spesso all’estero) oppure, richiesto della restituzione del maltolto, dichiara beatamente che non ce l’ha più, che non ha danaro né altre disponibilità economiche.
Il cliente si rivolge allora all’assicurazione per la quale operava il subagente la quale, di rito, rigetta ogni addebito, dichiarando la propria estraneità ai fatti.
Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con Ordinanza n. 5414 depositata in data 26 febbraio 2021 era uno di questi.
E’ l’occasione per rifare il punto sulla situazione.
La responsabilità della compagnia di assicurazione per il comportamento illecito del subagente
La giurisprudenza si è focalizzata da tempo nel riconoscere, nei casi sopra delineati, una responsabilità ai sensi dell’art. 2049 del codice civile (Responsabilità dei padroni e dei committenti), che puntualmente recita: “I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
Si tratta di una ipotesi ricondotta nel profilo della responsabilità oggettiva.
Trattasi, afferma la S.C. “ … di responsabilità indiretta per il danno provocato dal proprio incaricato, in quanto agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza”.
L’attenzione, piuttosto, si è spostata nell’individuazione del momento nel quale l’incaricato può dirsi non volgere più una incombenza demandata dal mandante ed in proposito si è anche affermato che il dipendente interrompe il rapporto organico nel momento in cui commette un illecito avente rilevanza penale oppure avente l’elemento soggettivo del dolo. In proposito vedasi in questa Rivista l’arresto delle SS.UU. n. 13246/2019, pure richiamato nella sentenza in commento: “Lo Stato risponde dei danni causati da fatto penalmente illecito del dipendente. Le SS.UU”.
Attraverso questa analisi si è mitigata la portata della responsabilità oggettiva sancita dall’art. 2049 c.c. Il committente si potrà riconoscere responsabile per il fatto del dipendente/collaboratore solamente qualora venga dimostrato, da un lato la sussistenza di un rapporto di subordinazione e dall’altro il collegamento del fatto causatore del danno con le mansioni svolte dal dipendente.
Questo collegamento, nesso, fra fatto ed evento è denominato «rapporto di occasionalità necessaria». Trattasi di una «peculiare specie di relazione di causalità».
Ecco, allora, che Cassazione n 5414/21 affermare che per la configurabilità della responsabilità in capo al committente: “ … è necessario e sufficiente provare il «rapporto di occasionalità necessaria» tra la condotta antigiuridica posta in essere dall'agente e le incombenze che gli erano state affidate dal preponente, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell'imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli”.
il caso del “segnalatore” o collaboratore occasionale
Nel caso di specie affrontato dalla Corte di Cassazione la compagnia di assicurazione si era difesa indicando come il responsabile dei fatti non fosse affatto un dipendente, un agente, né fosse un subagente, essendo un semplice aiutante saltuario che la prassi del settore identifica come “segnalatore”.
Si è dimostrato in corso di causa, tuttavia, come lo stesso fosse stato autorizzato ad incassare premi assicurativi fino all’importo di euro 1.500,00.
Secondo la S.C. “non assumono decisivo rilievo la natura e la fonte del rapporto esistente tra preponente e preposto, essendo sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarietà del preposto, nel quadro dell'organizzazione e delle finalità dell'impresa gestita dal preponente”.
E aggiunge che non si necessita della dimostrazione della esistenza di un formale rapporto di lavoro o di agenzia, potendosi rinvenire la responsabilità del committente anche in un rapporto fattuale che si istituisce quando per volontà di un committente, un altro soggetto esplica in fatto attività per di lui conto e sotto il suo potere (“è sufficiente che l'agente sia inserito, anche se temporaneamente o occasionalmente, nell'organizzazione aziendale, ed abbia agito per conto e sotto la vigilanza dell'imprenditore”).
Idem, dicasi, per un rapporto di fatto, non contrattualizzato (“non sono essenziali né la continuità, né l'onerosità del rapporto; è, inoltre, sufficiente l'astratta possibilità di esercitare un potere di supremazia o di direzione, non essendo necessario l'esercizio effettivo di quel potere”).
Assenza di rapporto organico e responsabilità ex art. 2043 c.c. La tutela dell’affidamento
L’interessante sentenza allarga la disamina alla tutela dell’affidamento, qualora non possa essere dimostrato alcun collegamento fra operatore dell’illecito e supposto committente, come potrebbe verificarsi nel caso di un soggetto che operi autonomamente e millanti la sussistenza di un mandato o rapporto di lavoro di compagnia di assicurazione senza che ciò corrisponda minimamente ai fatti.
La Corte di Cassazione si sofferma ad esaminare una potenziale fonte di responsabilità della compagnia di assicurazione anche in un tale caso.
Afferma la Corte che si può “ … ritenere la banca o la compagnia d'assicurazione responsabile del danno provocato dalla condotta illecita del sedicente promotore, pur in mancanza di rapporti di committenza di alcun tipo, in applicazione del principio dell'apparenza del diritto, quando con il proprio comportamento colposo (e, dunque, in tal caso, in forza della generale clausola aquiliana: art. 2043 cod. civ.) la banca o la compagnia d'assicurazione abbia ingenerato nel cliente il legittimo affidamento che il promotore agisse nell'ambito di incombenze affidategli, purché in tal caso sussista la buona fede incolpevole del terzo danneggiato”.
---------------------------------------
Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza n. 5414 dep. 26/02/2021
Rilevato in fatto
Se sei registrato esegui la procedura di Login, altrimenti procedi subito alla Registrazione. Non costa nulla!