Se il progetto non è realizzabile risponde il progettista che perde il diritto al compenso
Il progettista perde il diritto al compenso se il progetto non è realizzabile anche per motivi amministrativi e tecnico-giuridici e pure se il committente rifiuta di adeguarsi alle prescrizioni imposte dalla pubblica amministrazione.

Da alcune sentenze della Corte di Cassazione si evince il principio secondo il quale il progetto non approvato o non realizzabile a causa del fatto che il progettista non avrebbe tenuto in considerazione tutta la normativa tecnica e giuridica di riferimento, comporta il diritto del committente ad evitare il pagamento.
Così espresso il principio, tuttavia, ancora non rende l’idea della posizione ripetuta della giurisprudenza, anche di legittimità, sul punto.
E’ stato ritenuto legittimo il mancato pagamento da parte del committente del compenso richiesto dal progettista anche qualora l’ultimo ostacolo all’approvazione del progetto risiedeva nel rifiuto dello stesso committente ad ottemperare alle prescrizioni indicate dalla Pubblica Amministrazione.
Il committente può non pagare il progetto non approvato se …
Partiamo da un primo provvedimento della Corte di Cassazione con il quale si confermava la bontà della decisione del giudice del gravame.
Si tratta dell’Ordinanza n. 3052 pubblicata in data 10 febbraio 2020.
In questo caso, alcuni rilievi del Genio civile avevano impedito l’approvazione del progetto per la mancanza dell'analisi di compatibilità geologica e la carenza dei muri di sostegno.
La prescrizione dell’Ente, quindi, era di provvedere alla redazione dell’analisi di compatibilità geologica e inserimento in progetto della costruzione di muri di sostegno.
Il committente a quel punto si era fermato, non volendosi adeguare alle indicazioni espresse dal Genio Civile per motivi economici; il muro di sostegno sarebbe risultato a suo dire eccessivamente costoso e non rientrava nella previsione iniziale.
La Corte ha ritenuto che la mancata previsione anticipata da parte del progettista di tali indicazioni tecniche rendessero l’intero progetto inidoneo allo scopo, evidenziassero la mancata previsione di aspetti tecnici funzionalmente essenziali, e quindi legittimassero l'autotutela del committente (vale a dire il mancato pagamento dell'opera di progettazione).
Per tali motivi il giudice d'appello aveva ritenuto inadempiente il professionista.
La Corte di Cassazione 3052/20, confermando due propri precedenti afferma: “Pur costituendo il progetto un opus preparatorio all'edificazione, esso deve assicurare la preventiva soluzione dei problemi ostativi alla realizzazione dell'edificio, che spetta al professionista individuare, quale soggetto dotato di specifica competenza tecnica (Cass. 21 maggio 2012, n. 8014; Cass. 9 luglio 2019, n. 18342)”
Ancora, Cassazione n 1214 del 18/01/2017 ha affermato che “l'obbligazione dell'architetto di redazione di un progetto edilizio è un'obbligazione di risultato, essendo il professionista tenuto a rendere un progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico, sicché l'irrealizzabilità dell'opera, per erroneità o inadeguatezza del progetto, dà luogo a inadempimento dell'incarico e abilita il committente a rifiutare il compenso tramite eccezione d'inadempimento”.
Necessaria l’analisi di fattibilità tecnico giuridica del progetto
Altro esempio riguarda la progettazione di un locale per lo svolgimento dell'attività di ristorazione.
Trattandosi di pubblico esercizio il D.M. 17 dicembre 1992, n. 564 (vale a dire il Regolamento concernente i criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande) dispone che i locali debbano avere caratteristiche costruttive tali da non impedire la sorvegliabilità delle vie d'accesso o d'uscita.
Il Consiglio di Stato, con Sentenza n. 1395 del 25/02/2020, sul punto ha avuto modo di chiarire che l’accesso ai pubblici esercizi "... non possono essere utilizzati per l'accesso ad abitazioni private".
Nel caso affrontato da Corte di Cassazione con Ordinanza n. 3686 depositata in data 12/02/2021, per i locali da adibire a ristorante il Comune aveva revocato l'autorizzazione, pur inizialmente concessa. La revoca veniva motivata per la carenza di sorvegliabilità dell’ingresso (stante l'esistenza di un accesso promiscuo dall'ingresso dell'esercizio commerciale anche ad un'abitazione privata).
I progettisti del locale non avevano preso parte all’iter amministrativo riguardante il rilascio dell’autorizzazione ma si erano limitati alla progettazione della direzione dei lavori per l'apertura di tale locale commerciale di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
Il giudice del merito aveva ravvisato la responsabilità dei progettisti per non avere segnalato alla committenza l'impedimento giuridico rappresentato dall'impossibilità per la porta d'ingresso di assicurare l'accesso diretto dalla strada, piazza o altro pubblico luogo al locale medesimo, senza un contestuale utilizzo per l'accesso ad abitazioni private.
Anche in questo caso veniva segnalato come il committente avesse omesso di adeguarsi alle prescrizioni comunali atte a risolvere il problema.
Ciò nonostante la Corte di Cassazione conferma l’impostazione data dal giudice del merito.
Afferma la Corte di Cassazione che in tema di contratto d'opera per la redazione di un progetto edilizio, pur trattandosi di una fase preparatoria rispetto all'esecuzione dell'opera, il professionista (che nella specie abbia cumulato l'incarico di progettista e di direttore dei lavori), deve assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da prevenire la soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell'opera richiesta dal committente. Ne consegue che ne sussiste la responsabilità per l'attività espletata sia nella fase antecedente all'esecuzione delle opere in relazione alla scelta del titolo autorizzativo occorrente per il tipo di intervento edilizio progettato sia in quella successiva di controllo e verifica della difformità dell'opera progettata rispetto a quella eseguita, trattandosi di un obbligo del professionista giustificato dalla specifica competenza tecnica necessariamente richiesta a chi abbia assunto l'incarico del progetto e della direzione dei lavori.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui (Cass. n. 8197/2010; Cass. n. 562/2019; Cass. n. 14759/2016) il professionista che si obbliga alla redazione di un progetto edilizio deve usare la diligenza del buon padre di famiglia nel porre in essere tutte le attività finalizzate ad ottenere il provvedimento amministrativo che consenta la legittima esecuzione dell'opera che ne costituisce oggetto, ivi compresa la presentazione della documentazione richiesta dal Comune ai fini del rilascio della concessione edilizia (nella specie il professionista aveva assicurato la fattibilità di un progetto avente ad oggetto la costruzione di una villetta, in realtà non realizzabile alla luce dei divieti imposti dalla normativa ambientale).
Ancora, è stata reputata fondata l'eccezione di inadempimento del committente perché i progetti immobiliari redatti dall'architetto si erano rivelati irrealizzabili, perché non approvati dal comune, siccome contrastanti con prescrizioni urbanistiche o implicanti il consenso, invece mancato, del proprietario di altro immobile (Cass. n. 22129/2008), e ciò in quanto, con riguardo alla redazione di un progetto di ingegneria o architettura, è comunque addebitabile al professionista il mancato conseguimento dello scopo pratico avuto mira dal committente, quando sia conseguenza di errori commessi dal professionista medesimo nella formazione dell'elaborato, che lo rendano inidoneo ad essere attuato.
Rientra nella prestazione dovuta dal tecnico incaricato della redazione di un progetto edilizio, in quanto attività strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell'opera, l'obbligo di assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica e di individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da garantire la preventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dei lavori richiesti dal committente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8014 del 21/05/2012), il committente ha, invero, diritto di pretendere dal professionista un lavoro eseguito a regola d'arte, sicché l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di autotutelarsi, rifiutandogli il compenso .
L'incarico di progettazione e direzione dei lavori relativi al locale commerciale della committente, il riscontro circa la presenza dei requisiti per la sorvegliabilità dei locali rappresentava una prestazione sicuramente ricompresa nell'incarico professionale, pur in assenza di una specifica pattuizione contrattuale, atteso che solo il rispetto della detta prescrizione regolamentare, avrebbe assicurato il rilascio dell'autorizzazione sotto il profilo urbanistico ed amministrativo, e quindi il risultato che la committente si aspettava di conseguire.
Non tutti i motivi di irrealizzabilità del progetto, tuttavia, sono stati ritenuti validi per negare il diritto al compenso del professionista progettista.
Ad esempio, la Cassazione Civile con Sentenza n. 6935 del 08/04/2016 ha ritenuto illegittimo il mancato pagamento del compenso del professionista che aveva svolto attività professionale nella consapevolezza che il committente non era proprietario dei fondi dove dovevano essere realizzati i fabbricati progettati. E il reale proprietario aveva, ad un certo punto, negato il proprio consenso alla realizzazione dell'opera.
Afferma la Corte, infatti: “La censura non merita accoglimento. Il richiamo all'art. 1460 c.c. appare non conferente, non prospettando il motivo alcun inadempimento. La corte distrettuale, poi, con motivazione immune da vizi, ha chiaramente esposto come la proprietà del suolo non precluda in alcun modo il conferimento di un incarico progettuale avente ad oggetto il manufatto da erigersi su di esso”.
Come capita per gli avvocati può scindersi la figura del cliente rispetto al destinatario/beneficiario dell’opera professionale.