Validità dei patti parasociali nelle srl contenenti opzioni put e call e divieto del patto leonino

Sulla validità dei patti parasociali contenenti opzioni put e call riguardanti quote di partecipazione nella srl in relazione al divieto del patto leonino Cassazione Ordinanza n. 27227/2021

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Validità dei patti parasociali nelle srl contenenti opzioni put e call e divieto del patto leonino

La Corte di Cassazione con Ordinanza n. 27227 depositata in data 7 ottobre 2021 si sofferma su una questione raramente affrontata dalla corte di legittimità: come debba essere qualificata una opzione call e/o put all’interno di un patto parasociale e, in particolare, nel caso di specie, riguardando non azioni quotate nei mercati finanziari bensì quote di una società a responsabilità limitata.

L’interesse del provvedimento ricade nell’aver delineato un quadro di insieme di questo istituto (le opzioni).

Si riporta per comodità l’art. 2341-bis del codice civile (Patti parasociali):

1. I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:
a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle societa' per azioni o nelle societa' che le controllano;
b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in societa' che le controllano;
c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali societa', non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza.
2. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni.
3. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a societa' interamente possedute dai partecipanti all'accordo.

 

Opzioni put e call

La Corte, richiamando un proprio precedente del 2016, ricorda che «le opzioni sono call o put. Le call options sono dei contratti in cui l'acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l'obbligo, di acquistare un determinato bene a un prezzo specifico. Le put options sono invece dei contratti in cui l'acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l'obbligo, di vendere un determinato bene a un prezzo specifico».

Ancora, continua, affermando che l'acquisto di un'opzione call è uno strumento finanziario utilizzato quando l'investitore ha delle aspettative al rialzo sul titolo sottostante, vale a dire che se un titolo vale 100, pagando un piccolo costo della scommessa (ad esempio 10) si acquista il diritto ad acquistarlo a 120 (ad esempio). Se il prezzo del titolo supera quota 120 si potrà decidere di attivare l’opzione e ottenere le azioni (il titolo), altrimenti il costo della scommessa rimarrà l’unico danno.

La differenza che esiste tra l'acquisto di un titolo e quello dell'opzione, afferma la corte, consiste nel fatto che acquistando il titolo sottostante si incorre nel rischio di subire perdite anche consistenti, in caso di ribasso delle quotazioni, mentre con le opzioni il rischio di perdita massima è pari al premio pagato.

Le opzioni, sovente, hanno anche un loro mercato, in attesa che si verifichi la condizione o il termine massimo di validità.

E’, quindi, possibile sfruttare l'effetto leva intrinseco che permette di amplificare i guadagni. Cosa significa ciò? Non si deve dimenticare che chi ha acquistato un diritto di opzione ha pagato solo 10 (esempio) mentre i titoli sottostanti oscillano sulla base del loro valore; investito 10, un aumento del titolo da 100 a 120 porta ad un incremento del 200% dell’investimento iniziale.

 

Sulla differenza fra l’opzione e altro prodotto derivato.

Premesso che anche le opzioni possono definirsi essere un prodotto derivato dei mercati finanziari, aventi la caratteristica dalla logica del differenziale, dall'irrilevanza dello strumento economico sottostante e dall'astrazione pura, che rappresenterebbero la traduzione giuridica della funzione economica del derivato.

La S.C. così si esprime: “Il premio dell'opzione è il prezzo che paga il beneficiario di essa per assicurarsi il diritto di acquistare o vendere un determinato bene - nella specie azioni - e varia in base al valore del bene correlato, all'accordo delle parti, al periodo di tempo alla scadenza, all'andamento del mercato (la volatilità) e all'andamento dei tassi di interesse ... Perciò la differenza fondamentale delle opzioni rispetto agli altri strumenti derivati consiste nella definizione dei diritti del possessore: egli non è obbligato ad acquistare/vendere il sottostante, ma può farlo se esercitando l'opzione ne trae un'effettiva convenienza economica. Per tale ragione sono anche detti titoli derivati asimmetrici”.

 

Opzioni anche al di fuori dei mercati finanziari?

Parte ricorrente aveva chiesto fosse riconosciuta la nullità della causa sottostante il patto poiché, a suo dire, la clausola di opzione quale contratto derivato tipico delle operazioni di borsa devono sempre far riferimento ad un prezzo di mercato che nel caso di specie era del tutto assente.

 

Nel caso di specie la Corte di Cassazione non riscontra l’esistenza di un prodotto derivato tipico del mercato borsistico. L’accordo inserito in un patto parasociale con il quale le parti di impegnano ad acquistare (o riacquistare) o a vendere (o a rivendere) a determinato prezzo rientra nell’autonomia delle parti, e la parte contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative.

 

Il patto leonino

Parte ricorrente lamentava inoltre che l’effetto ultimo di tale patto permetteva all’altra società contraente di uscire dall’affare senza alcuna perdita, e ciò in stretta violazione

L’art. 2265 del codice civile (Patto leonino) recita: “E' nullo il patto con il quale uno o piu' soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.

La Corte di Cassazione richiama un principio di diritto espresso da un proprio precedente:

«È lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l'uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l'altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società»

Specifica il principio affermando che al fine di rinvenire un patto leonino vi dovrà essere l’esclusione dalle perdite o dagli utili in modalità «assoluta e costante» tanto da finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l'ente-società, che trasla, quanto al socio interessato da quell'esonero dalla condivisione dell'esito dell'impresa collettiva, da rapporto associativo a rapporto di scambio con l'ente stesso.

Qualora, all’opposto, quell’effetto derivi da un accordo ad effetti temporanei e limitati non si potrà invocare la sussistenza del c.d. patto leonino.

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione Sez. I, Ordinanza n. 27227 dep. 07/10/2021

 

 

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