Reintegro nel lavoro di dipendente ASL sospeso per mancata vaccinazione. Trib. Taranto
Sospensione dipendente Asl per mancata vaccinazione. Reintegrato con obbligo di pagamento delle retribuzioni maturate e maturande sino all’effettivo reintegro. Tribunale di Taranto Sentenza del 23/09/2022

Interessante Sentenza del Tribunale di Taranto – sezione Lavoro – che accoglie la domanda di un dipendente ASL, in particolare di un tecnico di laboratorio, non vaccinato, e sospeso dal lavoro.
Il lavoratore aveva chiesto si essere reintegrato nel posto di lavoro (precisamente l’annullamento della sospensione) e il pagamento di tutte le retribuzioni fino a quel momento maturate.
La richiesta non si fonda sul fatto di non essere a contatto con il pubblico (tecnico di laboratorio) come in altri contenzioni bensì sulla ottenuta certificazione di essere soggetto esente dall’obbligo vaccinale. Certificazione rilasciata dal proprio medico curante e inviata via PEC sia al datore di lavoro che all’ordine di appartenenza.
La Corte ricorda che secondo la legislazione d’emergenza, “Per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2»”.
Interessante l’esame del tema dell’accertamento dell’obbligo vaccinale divenuto di competenza dell’ordine di appartenenza.
Il Tribunale conclude dichiarando l’illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione disposta nei confronti della ricorrente condannando l’ASL a riammetterla in servizio (con adibizione a mansioni anche diverse, in modo da evitare comunque il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2), ed a corrispondere tutte le retribuzioni maturate sino all’effettivo reintegro. Con condanna al pagamento del maggiore importo tra rivalutazione ed interessi legali.
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Di seguito il testo di
Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
TRIBUNALE DI TARANTO
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, in composizione monocratica
nella persona del dott. Cosimo MAGAZZINO, ha pronunciato fuori udienza, ai
sensi dell’art. 221, co. 4, D.L. 19 maggio 2020 n° 34 (nel testo introdotto in
sede di conversione dalla L. 17 luglio 2020 n° 77), la seguente
Sentenza
nella causa per controversia di lavoro promossa da:
____
contro
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OGGETTO: “OBBLIGO VACCINALE E SOSPENSIONE”
Fatto e diritto
Con ricorso depositato in data 16 novembre 2021 M. M., dipendente a tempo indeterminato – come COLLABORATORE PROFESSIONALE SANITARIO – TECNICO SANITARIO DI LABORATORIO BIOMEDICO, cat. D - della convenuta, esponeva che era stata sospesa (dal servizio e dalla retribuzione) a partire dal 22 ottobre 2021, per non essersi sottoposta alla vaccinazione anti SARS-CoV-2, trattandosi tuttavia di provvedimento asseritamente illegittimo in quanto le era stata certificata dal suo MEDICO DI MEDICINA GENERALE la sussistenza di condizioni patologiche incompatibili con la suddetta somministrazione (giusta attestazione del 1° ottobre 2021, inviata alla ASL tramite PEC del 23 ottobre 2021).
Chiedeva dunque condannarsi la ASL TA a riammetterla in servizio ed a corrisponderle tutte le retribuzioni maturate a far data dal 22 ottobre 2021 sino all’effettivo reintegro, oltre accessori e rifusione di spese.
La “ASL TA” resisteva ed eccepiva preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva (atteso che il potere/dovere di sospensione competerebbe all’ORDINE PROFESSIONALE); nel merito, concludeva per il rigetto dell’avversa iniziativa processuale – richiamando il disposto di cui all’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44 e succ. modif. e integr. – sostenendo che la ricorrente non aveva mai sottoposto al medico vaccinatore alcuna documentazione medica idonea eventualmente a giustificarne l’esonero dall’obbligo vaccinale e, comunque, non sussistendo alcuna possibilità di adibizione ad altre mansioni.
Acquisiti i documenti prodotti dalle parti e tentata invano la conciliazione, la causa è stata infine trattata (previo specifico provvedimento reso da questo giudice, senza udienza e senza la partecipazione fisica dei difensori e delle parti) sulla base degli atti processuali ritualmente depositati, nonché delle “note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni” depositate ai sensi dell’art. 221, co. 4, D.L. 19 maggio 2020 n° 34 (nel testo introdotto in sede di conversione dalla L. 17 luglio 2020 n° 77), con successiva pronuncia fuori udienza, da parte del giudice, della presente sentenza (comprensiva del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione).
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Inaccoglibile è l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla convenuta.
Ed invero – anche a prescindere da quanto appresso si dirà in ordine alla titolarità ratione temporis del potere/dovere di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale – comunque nel presente giudizio la domanda si riferisce direttamente al rapporto di lavoro, di cui si chiede il ripristino sotto il profilo funzionale e retributivo, sicché è evidente che la relativa titolarità (dal lato passivo) di tale rapporto giuridico non può che competere al datore di lavoro.
Tra l’altro, quanto testé rilevato induce anche ad asseverare la sussistenza della giurisdizione dell’A.G.O. e la competenza del giudice del lavoro.
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Nel merito, il ricorso appare fondato e, quindi, deve essere accolto, per quanto di ragione.
E’ bene precisare che la prospettazione di parte ricorrente non pone in discussione in generale l’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie (attualmente ancora vigente, almeno sino al 31 dicembre 2022), ma solo con riferimento alla sua specifica posizione soggettiva, in ragione di condizioni patologiche che determinerebbero l’incompatibilità con la relativa somministrazione.
Norma di riferimento è certamente quella di cui all’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44 («MISURE URGENTI PER IL CONTENIMENTO DELL'EPIDEMIA DA COVID-19, IN MATERIA DI VACCINAZIONI ANTI SARS-COV-2, DI GIUSTIZIA E DI CONCORSI PUBBLICI»), convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 2021, n. 76 e successivamente ancora modificato dal D.L. 26 novembre 2021, n. 172 (conv. con modif dalla L. 21 gennaio 2022, n. 3), nonché dal D.L. 24 marzo 2022, n. 24 (conv. con modif dalla L. 19 maggio 2022, n. 52).
Nella specie, non è contestato che la sospensione sia stata inizialmente disposta in data 22 ottobre 2021, a seguito del VERBALE del 7 settembre 2021 avente ad oggetto “ACCERTAMENTO ADEMPIMENTO OBBLIGO VACCINALE”, nel quale la COMMISSIONE ASL all’uopo incaricata aveva concordato sulla «… necessità dell’allontanamento dal servizio e dallo svolgimento di prestazioni o mansioni che implichino contatti interpersonali o comportino il rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov-2 per tutti i soggetti sottoindicati, sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale … ASL TARANTO … … M. M. … Orbene, all’epoca la norma sopra richiamata – rispetto all’obbligo vaccinale disposto in linea generale dal comma 1, quale requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali – prevedeva specifiche cause di esonero.
In particolare, il comma 2 dell’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44, nel testo vigente fino al 26 novembre 2021, disponeva che: «Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita».
Il comma 10, poi, prevedeva che: «Salvo in ogni caso il disposto dell'articolo 26, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARSCoV- 2».
Si rileva, altresì, che all’epoca il procedimento di accertamento dell’adempimento dell’obbligo vaccinale era assegnato proprio all’AZIENDA SANITARIA, posto che il comma 5 dell’art. 4 prevedeva che: « … l'azienda sanitaria locale di residenza invita l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione o l'omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. … …», mentre il successivo comma 6 disponeva che: «Decorsi i termini per l'attestazione dell'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 5, l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».
Il datore di lavoro (nel caso di specie, peraltro, coincidente con la stessa AZIENDA SANITARIA), successivamente, ai sensi del comma 8, «… … adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio.
Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato».
Appare dunque evidente che la legittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione all’epoca adottato dalla ASL nei confronti della ricorrente presupponesse necessariamente la mancanza di alcuna comunicazione in ordine all’eventuale sussistenza di condizioni cliniche documentate, da attestarsi da parte del medico di medicina generale, a causa delle quali la vaccinazione poteva essere omessa o differita.
Va quindi innanzitutto rilevata, in linea di diritto, la non condivisibilità della tesi di parte convenuta secondo la quale solo il medico vaccinatore avrebbe potuto attestare la sussistenza o meno delle condizioni per l’esonero, risultando anzi che, all’epoca, solo il medico di medicina generale lo potesse fare.
Peraltro, si osserva che anche nelle formulazioni successive della norma il medico curante di medicina generale ha comunque mantenuto tale competenza («… nel rispetto delle circolari del MINISTERO DELLA SALUTE in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2…»), sebbene in alternativa con il medico vaccinatore: si veda il testo del comma 2 vigente a decorrere dal 26 gennaio 2022.
Orbene, nel caso di specie, parte ricorrente ha documentalmente dimostrato che il proprio medico curante di medicina generale aveva attestato in data 1° ottobre 2021 la sussistenza di condizioni patologiche incompatibili con la somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2:
[[ ... CERTIFICATO ... ]]
Risulta altresì dimostrato che tale certificato sia stato inviato alla ASL tramite PEC del 23 ottobre 2021, da parte del legale della ricorrente, con missiva peraltro sottoscritta anche dalla lavoratrice:
[[ ... PEC ... ]]
In relazione alle suddette circostanze, invero, nessuna specifica contestazione è stata formulata da parte convenuta, dovendosi peraltro osservare - con particolare riguardo alla prova della trasmissione con modalità telematiche - che l’art. 2712 cod. civ. (RIPRODUZIONI MECCANICHE), nel testo vigente, dispone che: “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Ed ancora, l’art. 20 (“VALIDITÀ ED EFFICACIA PROBATORIA DEI DOCUMENTI INFORMATICI”) del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (“CODICE DELL'AMMINISTRAZIONE DIGITALE), al comma 1-bis prevede che: “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida”.
Pare altresì opportuno richiamare alcuni principî di diritto enunciati dalla SUPREMA CORTE in casi analoghi (essendo all’evidenza simili le ipotesi di comunicazioni mediante “SMS”, “messaggi Whatsapp” ovvero “e-mail”, tutte non recanti autenticazioni “forti” del mittente):
✓ CASS. LAV. 21 FEBBRAIO 2019 N° 5141: “Lo "short message service" ("SMS") contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell'ambito dell'art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l'eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall'art. 215, comma 2, c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni” (nella specie, veniva in questione il disconoscimento della conformità ad alcuni "SMS" della trascrizione del loro contenuto);
✓ CASS. SEZ. VI-II, 14 MAGGIO 2018 N° 11606: “In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime” (nella specie, la S.C. ha richiamato anche il disposto di cui all'art. 1, comma 1, lett. p), d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 - CODICE DELL'AMMINISTRAZIONE DIGITALE);
✓ CASS. LAV. 8 MARZO 2018 N° 5523: “In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) privo di firma elettronica non ha l'efficacia della scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, attribuita dall'art. 21 del d.lgs. n. 82 del 2005 solo al documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, sicché esso è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell'art. 20 del medesimo decreto, in ordine all'idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”.
Pertanto, applicando siffatti orientamenti ermeneutici alla fattispecie in esame in questa sede, appare evidente che la prova documentale della trasmissione della suddetta documentazione (peraltro effettuata mediante posta elettronica certificata) non è stata oggetto di alcuna specifica contestazione e, quindi, ben può essere valutata come idonea a dimostrare l’adempimento da parte della lavoratrice dell’onere stabilito a suo carico dai commi 2 e 5 dell’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44, nel testo applicabile ratione temporis al provvedimento di sospensione adottato a far data dal 22 ottobre 2021.
A fronte di tale idonea attestazione, pertanto, l’ASL non poteva disporre la sospensione ma, ai sensi del comma 10 dell’art. 4 all’epoca vigente, avrebbe dovuto adibire la ricorrente a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, dovendosi anche rilevare che – diversamente da quanto disposto dal comma 8 per i lavoratori ingiustificatamente inadempienti all’obbligo vaccinale – per i lavoratori legittimamente “esonerati” non viene usata la locuzione «… ove possibile … », né si prevede che « … Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione … … non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato».
Deve pertanto opinarsi che – nel caso di lavoratori per i quali la vaccinazione de qua non è obbligatoria e può essere omessa o differita (in ragione di specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, evidentemente sotto la sua personale responsabilità professionale) – il datore di lavoro sia obbligato a disporne l’adibizione a mansioni anche diverse, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, comunque senza decurtazione della retribuzione.
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Del resto, quanto al diritto a percepire tutte le retribuzioni maturate e maturande a far data dal 22 ottobre 2021 sino all’effettivo reintegro, deve anche osservarsi – in linea generale - che: «Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 cod. civ., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attività produttiva. Ne consegue che il dipendente "sospeso" non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione» (sic CASS. LAV. 16 APRILE 2004 N° 7300).
In sostanza, deve ritenersi che la “sospensione” del rapporto di lavoro a tempo indeterminato possa avere luogo solo nei casi previsti dalla legge, sicché il datore di lavoro che unilateralmente sospenda il rapporto sulla base di proprie erronee convinzioni è tenuto a corrispondere le pertinenti retribuzioni, finanche senza necessità di un atto di messa in mora da parte del lavoratore (cfr. anche CASS. LAV. 11 APRILE 2012 N° 5711).
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A decorrere dal 27 novembre 2021, come già segnalato, l’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44 è stato modificato dal D.L. 26 novembre 2021, n. 172 (conv. con modif dalla L. 21 gennaio 2022, n. 3), e poi ancora dal D.L. 24 marzo 2022, n. 24 (conv. con modif dalla L. 19 maggio 2022, n. 52).
Per quanto specificamente interessa questo giudizio, tuttavia, le previsioni relative ai lavoratori per i quali la vaccinazione de qua non è obbligatoria e può essere omessa o differita (in ragione di specifiche condizioni cliniche documentate, attestabili sempre dal medico di medicina generale) non sono significativamente cambiate, essendo tuttora previsto che:
«2. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del MINISTERO DELLA SALUTE in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARSCoV- 2, non sussiste l'obbligo di cui ai commi 1 e 1-bis e la vaccinazione può essere omessa o differita»;
«7. Per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».
E’ invece significativamente mutato il procedimento di accertamento dell’adempimento dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie, non più assegnato all’AZIENDA SANITARIA, bensì al competente ORDINE PROFESSIONALE, con successiva comunicazione al datore di lavoro.
Tuttavia, anche con riferimento alla normativa come attualmente vigente, parte ricorrente ha dato adeguata dimostrazione, mediante l’ulteriore documentazione prodotta nel corso del giudizio, di aver provveduto alle relative comunicazioni anche nei confronti del proprio ORDINE PROFESSIONALE, mentre l’ASL TA, di converso, non ha fornito alcuna dimostrazione di una eventuale sospensione della ricorrente dall'esercizio della sua professione sanitaria, trattandosi peraltro di provvedimento che avrebbe dovuto necessariamente essere comunicato al datore di lavoro dal competente ORDINE PROFESSIONALE (come previsto dall’attuale comma 4 dell’art. 4 cit.). Pertanto, anche per il periodo successivo al novembre 2021 la sospensione dal servizio e dalla retribuzione disposta nei confronti della ricorrente (sì come prorogata dalla ASL con provvedimento del 4 gennaio 2022) appare ancora illegittima.
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In definitiva, deve dichiararsi l’illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione disposta nei confronti della ricorrente a far data dal 22 ottobre 2021, sicché la ASL TA deve essere condannata a riammetterla in servizio (ai sensi e nei limiti di quanto previsto dall’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44 e succ. modif. e integr., quindi con adibizione a mansioni anche diverse, in modo da evitare comunque il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2), ed in ogni caso a corrisponderle tutte le retribuzioni maturate sino all’effettivo reintegro.
Spetta altresì il maggiore importo tra rivalutazione ed interessi legali, dal dovuto all’effettivo soddisfo (dovendosi ovviamente richiamare la sentenza della CORTE COSTITUZIONALE n. 459 del 2000, in base alla quale per i dipendenti di enti pubblici opera legittimamente il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione - divieto invece ritenuto illegittimo per i crediti di lavoro dei dipendenti privati - ai sensi dell'art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, sulla base della "ratio decidendi" prospettata dal Giudice delle leggi, avuto riguardo a "ragioni di contenimento della spesa pubblica": sul punto, cfr.
anche Cass. Lav. 3 agosto 2005 n° 16284). Le spese di lite (liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014 n° 55 come da dispositivo) vanno poste a carico della parte convenuta, in ragione della sua soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, così provvede:
1. accoglie il ricorso per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiarata l’illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione disposta nei confronti della ricorrente a far data dal 22 ottobre 2021, condanna la ASL TA a riammetterla in servizio (ai sensi e nei limiti di quanto previsto dall’art. 4, D.L. 1° aprile 2021 n° 44 e succ. modif. e integr., con adibizione a mansioni anche diverse, in modo da evitare comunque il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2) ed in ogni caso a corrisponderle tutte le retribuzioni maturate e maturande sino all’effettivo reintegro, oltre al maggiore importo tra rivalutazione ed interessi legali, dal dovuto all’effettivo soddisfo;
2. condanna, altresì, la convenuta alla rifusione delle spese e competenze del giudizio, che liquida in complessivi €.2.000,oo a titolo di compenso professionale ex D.M. n° 55/14, oltre al rimborso delle spese forfetarie, dell'eventuale contributo unificato, dell’I.V.A. e del contributo integrativo, con distrazione in favore dell’avv. Fabrizio DEL VECCHIO, dichiaratosi anticipatario.
Taranto, 23 settembre 2022.