Strumenti finanzari e diritto di recesso al vaglio delle Sezioni unite

Le Sezioni Unite riconoscono all'investitore il diritto di recesso da qualsiasi contratto in cui l'intermediario vende fuori sede strumenti finanziari, anche nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso dal collocamento

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Strumenti finanzari e diritto di recesso al vaglio delle Sezioni unite

Le Sezioni unite della Cassazione nella sentenza n. 13905/2013 si sono pronunciate in materia di vendita di strumenti finanziari al di fuori della sede dell'intermediario affrontando lo specificio profilo del diritto di recesso riconosciuto all'investitore.

L'art. 30 T.U.F. dispone che l'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione, termine entro il quale l'investitore può avvalersi del diritto di recesso senza spese.

Occorre, inoltre, che la facoltà di recesso sia espressamente indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore e nelle proposte contrattuali effettuate fuori sede a pena di nullità del contratto.

La Suprema corte è stata chiamata a chiarire se la suddetta disposizione sia applicabile esclusivamente ai contratti di collocamento, e cioè ai contratti con cui l'intermediario vende agli investitori gli strumenti finanziari emessi o comunque offerti in vendita al pubblico da un soggetto terzo, o se invece la facoltà di recesso debba essere riconosciuta per qualsi operazione implicante la vendita di strumenti finanziari, esplicantesi anche in servizi di investimento diversi (negoziazione, esecuzione, ricezione o trasmisssione di ordini).

Le Sezioni unite hanno ricomposto il conflitto accogliendo il secondo orientamento prospettato ed hanno enunciato il seguente principio di diritto:

"il diritto di recesso accordato all’investitore dal sesto comma dell’art. 30 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela".
Mancando chiari indici normativi, le Sezioni unite per ricomporre il conflitto interpretativo hanno fatto leva sulla ratio legis che sta alla base dello jus poenitendi: la circostanza che l'operazione di investiemento sia stata perfezionata al di fuori della sede dell'intermediario rende necessaria una speciale tutela per l'investitore poiché l'investimento non è conseguenza di una premeditata decisione ma costituisce invece il frutto di una sollecitazione che potrebbe aver colto l'investitore impreparato, inducendolo ad una scelta negoziale non sufficientemente ponderata. Il defferimento dell'efficacia del contratto e la possibilità di recedere sono quindi volte a ripristinare a posteriori la mancanza di una adeguata riflessione da parte dell'investitore.
Se questa è la motivazione che ha indotto il legislatore a prevedere la facoltà di recesso è evidente, anche alla luce del principio costituzionale di uguaglianza, che "la medesima esigenza si pone non solo per le operazioni compiute nell'ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio [...], ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso"

 

 

 

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