Nulla la notifica alla PEC ricavata da INI-PEC? Una breve riflessione critica
Solo l'indirizzo estratto da ReGIndE è idoneo a garantire l'effettiva difesa? Quella isolata pronuncia della Corte di Cassazione che ha fatto tanto discutere. Il punto sulla situazione. Cassazione sentenza 3709/2019

Il caso. INI-PEC inidoneo per le notificazioni a mezzo PEC della sentenza per la decorrenza del termine breve
Con riferimento alla questione della notificazione della sentenza in relazione alla decorrenza del termine breve per impugnare ex art. 326 c.p.c., l'Avvocatura dello Stato sosteneva l'ineffiacia della notificazione a mezzo PEC, ritenuta spedita ad un indirizzo elettronico inidoneo a ricevere le notifiche telematiche in quanto estratta dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC), non invece dal Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della Giustizia. L'Avvocatura sosteneva che l'indirizzo elettronico estratto da INI-PEC veniva dalla stessa utilizzato per scopi amministrativi e non giudiziali.
INI-PEC non idoneo alla notificazione della sentenza
La Suprema Corte ha ritenuto di aderire ad un'impostazione (solo asseritamente) già consolidata, secondo cui a seguito dell'introduzione del "domicilio digitale", quindi la PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, la notificazione dell'impugnazione va eseguita all'indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGIndE, «poichè solo quest'ultimo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'organizzazione preordinata all'effettiva difesa». Quindi, ad avviso della Corte INI-PEC «non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all'art. 326 c.p.c., la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo di PEC diverso da quello inserito nel ReGIndE».
Asserzione confortata dall'espressa citazione di precedenti1, ma vedremo più avanti cosa effettivamente contengono quei precedenti.
Solo ReGIndE è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'effettiva difesa
Stando a ciò, la Suprema Corte ha formulato il seguente principio di diritto
«Il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, corrisponde all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest'ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'effettiva difesa, sicchè la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile - a seconda dei casi - alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)».
Qualche breve riflessione (con breve digressione interpretativa).
L'assunto cui perviene la Suprema Corte con la sentenza n. 3709/2019 secondo cui «la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile - a seconda dei casi - alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)» non può non suscitare qualche ragionevole perplessità.
Infatti, il tenore letterale delle disposizioni che rilevano in materia – primo argomento ermeneutico con cui l'interprete deve sempre confrontarsi – sembra deporre per una diversa prospettiva, che invece ammanta INI-PEC della qualità di pubblico registro ai fini delle notificazioni a mezzo PEC.
Un breve commento è d’obbligo anche alla luce del fatto che la sentenza ha sollevato indignate reazioni da parte di tutti gli attori del processo digitale, taluno affermando pubblicamente che la Corte ha “sbagliato”, nel senso che non ha ben compreso la normativa e bollando la sentenza come un “grossolano errore”.
Lo stesso Consiglio Nationale Forense è intervenuto scrivendo al Primo Presidente della Corte di Cassazione chiedendo di porre rimedio all’accaduto, pena gravi conseguenze sulla realtà quotidiana dei processi.
Nella "Guida alla notifica in proprio” pubblicata da anni in questa Rivista, ripresa, su autorizzazione, da un lavoro steso da illustri Avvocati per conto dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati è esplicita: “Per effettuare una notifica via PEC l’avvocato deve: a) utilizzare una casella PEC risultante da pubblici elenchi ... in ogni caso la verifica del proprio indirizzo potrà essere eseguita sul Portale dei Servizi Telematici del Ministero di Giustizia, previa autenticazione forte o sul portale INI-PEC del Ministero dello Sviluppo Economico, senza bisogno di autenticazione ...”.
Ma l’Unione Triveneta si sarà inventata una tale indicazione?
Proviamo ad analizzare la normativa.
L’art. 3-bis, co. 1, della L. 53/1994 dispone che
«La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi».
L’art. Art. 17 delle Specifiche tecniche del Processo Civile Telematico, Provvedimento 16 Aprile 2014 ministero della giustizia, titolato, “Comunicazioni e notificazioni per via telematica - art. 16 del regolamento” prescrive quanto segue:
Il gestore dei servizi telematici provvede ad inviare le comunicazioni o le notificazioni per via telematica, provenienti dall'ufficio giudiziario, alla casella di posta elettronica certificata del soggetto abilitato esterno o dell'utente privato destinatario, recuperando il relativo indirizzo dai pubblici elenchi ai sensi dell'art 16-ter del decreto legge del 30 ottobre 2012, n. 179 oppure ai sensi dell'art 16 comma 7 del medesimo decreto; ...
L’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (titolato “Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”) prescrive quanto segue:
1. A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall'articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia.
1-bis. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche alla giustizia amministrativa.
L’art. 6-bis del D.Lsg. n. 82/2005 istituisce il registro INI-PEC (“Al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2 e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito il pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico ...”).
Non rileva solo la circostanza che INI-PEC è espressamente indicato quale pubblico registro dall'art. 16-ter L. 221/2012, ma altresì il fatto che il Legislatore individua INI-PEC come pubblico registro anche all'art- 6-bis D.Lgs. 82/2005. Di talché non appare possa in modo alcuno revocarsi in dubbio la qualità di pubblico registro assunta da INI-PEC, quindi la possibilità di effettuare validamente notificazioni agli indirizzi PEC ivi estratti.
Parrebbe opportuno affermare che in claris non fit interpretatio.
E se l'argomento letterale sembra non lasci residuare dubbi, non è certo indifferente nel caso che ci occupa l'argomento sistematico.
A tal proposito, INI-PEC è proprio il primo pubblico elenco indicato dall'art. 16-ter L. 221/2012 («A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis... del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82»), mentre ReGIndE è l'ultimo pubblico elenco preso in considerazione dalla citata disposizione, addirittura in via del tutto residuale («nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia»). Così come d'altronde fa l'art. 16-sexies L. 221/2012 citato dalla Suprema Corte.
Con questo non si vuole certamente sostenere una maggiore "dignità" di INI-PEC rispetto a ReGIndE, piuttosto che il Legislatore non avrebbe potuto indicare quale primo pubblico registro utile ai fini delle notificazione a mezzo PEC un indice la cui consultazione risulterebbe, al contrario, funzionale ad una mera consultazione conoscitiva.
L’art. 19 delle Specifiche tecniche del Processo Civile Telematico, infine, è altrettanto chiaro e ivi si può leggere:
”5. Ai fini della notificazione per via telematica, il sistema informatico dell'UNEP recupera l'indirizzo di posta elettronica del destinatario a seconda della sua tipologia:
- soggetti abilitati esterni e professionisti iscritti in albi o elenchi costituiti ai sensi dell'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito con legge del 28 gennaio 2009, n. 2: dal registro generale degli indirizzi elettronici, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, nonché dall'indice nazionale delle imprese e dei professionisti (INI-PEC), sezione professionisti … “.
Alla luce di quanto sopra parrebbe evidente che la lettura della normativa indichi il registro INI-PEC quale ovvio referente per la lettura degli indirizzi PEC atti alla notifica e alle comunicazioni del PCT e in genere dei vari processi telematici.
Ci si chiede, allora, quale sia il fondamento (necessariamente normativo, "I giudici sono soggetti soltanto alla legge", 101 Cost.) della decisione della S.C.
A leggere la motivazione la S.C. non si sofferma sul punto ma si limita ad eseguire un richiamo di due propri precedenti, uno del 2017 e uno del 2018.
Se andiamo a leggere l’Ordinanza n. 30139 del 14/12/2017, tuttavia, vediamo che si occupa di tutt’altro, trattando della validità o meno della notifica presso la cancelleria dopo la creazione dell’indirizzo telematico a seguito dell'entrata in vigore del PCT.
La stessa ordinanza, del resto, insiste a ricordarci che le notifiche si fanno al Reginde o al registro INI-PEC e citiamo: “nell'ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall'art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l'indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, (codice dell'amministrazione digitale) ovvero presso il ReGIndE, di cui al D.M. n. 44 del 2011, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione”.
Il secondo precedente citato (Ordinanza n. 13224 del 25/05/2018) ancora nulla indica quanto la S.C. oggi in commento è riuscita a leggervi. Anzi, l’opposto.
Il passaggio più rilevante è il seguente: “ … atteso il chiaro disposto normativo, che prescrive di eseguire la notifica telematica all'indirizzo risultante da "pubblici elenchi", e non già a quello eventualmente indicato nell'atto; anche ai fini del domicilio digitale di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, siccome introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, comma 1, lett. b), conv. con modif. in L. n. 114 del 2014, l'unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante è quello risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal "Reglnde", gestito dal ministero della giustizia; coerentemente, l'art. 125 c.p.c., è stato modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45-bis, comma 1, conv. con mod., in L. n. 114 del 2014, nel senso di escludere l'obbligo per il difensore di indicare nell'atto introduttivo l'indirizzo p.e.c. "comunicato al proprio ordine" perchè già risultante dal "ReGInde", in virtù della trasmissione effettuata dall'ordine in base alla comunicazione effettuata dall'interessato”.
Ripetiamo, scrive la Corte di Cassazione in Ordinanza n. 13224/2018 che l'unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante è:
a) quello risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, [alias INI-PEC]
b) nonchè dal "Reglnde.
Ipse dixit.
Avv. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”
Avv. Luca Marco Rasia
________________
1 - Sez. 6 - 3, Ordinanza n. li 30139 del 14/12/2017, Rv. 647189; Sez. 6 - L, Ordinanza n. 13224 del 25/05/2018, Rv. 648685.
---------------------------------------
Di seguito il testo di
Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza n. 3709 dep. 8/02/2019
Svolgimento del processo
Se sei registrato esegui la procedura di Login, altrimenti procedi subito alla Registrazione. Non costa nulla!