Il perimento dell’edificio condominiale e le problematiche correlate

Nel caso di crollo parziale di un fabbricato condominiale possono i condomini deliberare la demolizione e la ricostruzione dell’intero edificio?

Il perimento dell’edificio condominiale e le problematiche correlate

La norma di cui all’art.1128 del Codice Civile contiene dei profili di criticità che necessitano di un approfondimento e di una rivisitazione con riferimento alla particolare ipotesi del perimento totale dell’edificio condominiale.

Nulla quaestio con riferimento alla disposizione di cui al comma 2 dell’art.1128 del Codice Civile che prevede la possibilità di ricostruzione delle parti comuni dell’edificio che sia solo parzialmente danneggiato. In tal caso l’assemblea condominiale, con le maggioranze di cui all’art. 1136 comma 2 del Codice Civile, delibera in merito e vincola anche i condomini che si siano astenuti o siano stati dissenzienti.

Il comma 1, invece, disciplina l’ipotesi in cui si verifichi il crollo dell’intero edificio condominiale ovvero di una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore.

Il crollo totale dell’edificio determina ipso iure l’estinzione del condominio, venendo meno il rapporto di servizio tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà esclusiva, instaurandosi una comunione tra gli ex condomini, avente ad oggetto il suolo ed i materiali con conseguente applicabilità delle norme sulla comunione (art.1100 – 1116 Codice Civile).

Problemi sorgono, invece, quando occorre determinare il valore della porzione crollata per verificare se rappresenta i tre quarti del valore dell’intero fabbricato ai fini dell’applicabilità del comma 1 dell’art.1128 del Codice Civile che prevede la possibilità per ciascun condomino di richiedere la vendita all’asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto.

Esaminiamo una fattispecie in cui si è verificato il crollo di una intera scala, composta da sei unità immobiliari, in un fabbricato condominiale dotato di sei scale.

Il valore della parte crollata era apparentemente inferiore a quello previsto dalla legge per considerare totalmente perito il fabbricato ma le consulenze svolte, sia in sede penale che in sede civile avevano portato alla luce la scarsa qualità del materiale utilizzato e la inidoneità delle tecniche costruttive utilizzate negli ’70 (epoca di costruzione del fabbricato), peraltro incompatibili con la legislazione vigente in materia di adeguamento antisismico, evidenziando problemi di carattere statico anche della parte superstite dell’edificio.

Era stata notificata al condominio ed a tutti i singoli proprietari delle unità immobiliari una ordinanza dirigenziale emessa dall’Ufficio Tecnico Comunale che prevedeva la esecuzione di opere per la messa in sicurezza e per l’adeguamento sismico dell’intero fabbricato.

In considerazione delle risultanze peritali l’assemblea condominiale deliberava la demolizione e la successiva ricostruzione del fabbricato tenendo conto altresì di motivi di opportunità e convenienza avendo accertato, i periti incaricati dal condominio, che la demolizione e la ricostruzione avrebbe avuto costi addirittura inferiori rispetto a quelli necessari per l’adeguamento sismico dell’intero fabbricato e per la ricostruzione della porzione crollata.

Nessuno dei condomini manifestava la volontà di richiedere la vendita all’asta del suolo e del fabbricato superstite e dei materiali.

Avverso tale delibera, alcuni condomini proponevano impugnazione sostenendo che per la demolizione del fabbricato era necessaria l’unanimità dei consensi.

Nel corso del giudizio il Comune notificava una seconda ordinanza, questa volta di sgombero del fabbricato.

Il Tribunale di Trani, con sentenza n.965 del 2013, accoglieva la impugnazione.

Argomentava il Tribunale che, se è vero che per la validità delle delibere relative alla ricostruzione degli edifici è richiesto un numero di voti pari alla maggioranza dei presenti in assemblea ed almeno alla metà del valore dell’edificio (art.1136, comma 4, Codice Civile), è vero anche che la giurisprudenza aveva però chiarito che l’art. 1136 Codice Civile, nella parte in cui menziona le deliberazioni dell’assemblea dei condomini concernenti la ricostruzione dell’edificio, va interpretato con riferimento alle norme sostanziali di cui agli artt.1124, 1125 e 1128 Codice Civile, le quali disciplinano unicamente la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio condominiale.

Ne consegue che l’assemblea dei condomini non può deliberare a maggioranza la ricostruzione dell’intero edificio condominiale, comprese le parti di proprietà esclusiva, vincolando i condomini dissenzienti a sostenerne le spese (Cass. 23.10.1978 n.4777).

Ciò conformemente al principio per cui una delibera condominiale è nulla, anche se adottata nell’interesse comune e per adempiere ad un obbligo di legge, quando viola il diritto di proprietà esclusiva del condomino (Cass. 24.05.2004 n.9981).

Il Giudice del Tribunale di Trani, quindi, dichiarava la delibera assembleare nulla nella parte in cui statuendo sulla demolizione e successiva ricostruzione dell’intero fabbricato, andava ad incidere sulla proprietà esclusiva dei singoli condomini senza il relativo consenso, anche se l’adozione di tale delibera rispondeva all’interesse comune e, con soluzioni in parte differenti, tendeva ad ottemperare alla ordinanza dirigenziale del Comune di messa in sicurezza dell’immobile.

La decisione in esame offre spunti di riflessione sulla necessità di intervenire sulle disposizioni di una norma “obsoleta” come quella dell’art.1128 del Codice Civile, in materia di perimento totale dell’edificio: norma che non è stata affatto considerata nel disegno complessivo della riforma operato dalla legge 220/2012.

La conclusione cui perviene il Giudice del Tribunale di Trani, nella predetta sentenza, evidenzia e riconosce i propri limiti e, nel contempo, fornisce indicazioni in prospettiva futura laddove afferma che “non si può non rilevare che la delibera adottata risponde a seri problemi, con carattere di necessità ed urgenza, strettamente connessi alla tutela della incolumità pubblica, prima ancora che ad esigenze legate alla tutela della proprietà, trattandosi di fabbricato di circa ottanta appartamenti, interessati da un crollo parziale che ha coinvolto circa dodici di questi e resi inagibili altri sei, oltre a determinare problemi di staticità dell’intero edificio, attinto successivamente da ordinanza di sgombero”.

Occorrerebbe individuare, infatti, criteri di maggiore certezza e celerità sia con riguardo alla determinazione del valore di edifici di vecchia costruzione, magari in rovina, con il giusto compromesso tra il diritto di proprietà e l’interesse alla incolumità pubblica, per evitare che un manipolo di condomini possa compromettere sia il primo causando inerzia che il secondo determinando pericolo, per altri interessi che possono talvolta essere di natura dilatoria e speculativa.

Un intervento legislativo è quanto mai opportuno considerato che buona parte dei fabbricati delle nostre città è stata edificata negli anni ’60 – ’70 e situazioni, come quella suaccennata, potranno essere sempre più frequenti.

Avv. Alessandro Moscatelli
del Foro di Trani

 

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