La “Ragione più Liquida” nella motivazione della sentenza
Il principio della “ragione più liquida” quale strumento di economia processuale ed accelerazione dell’attività del giudicante. Un principio valido anche nel processo penale.

Origini del principio della “Ragione più Liquida”
Qualche anno fa il termine “liquido” ha avuto il suo massimo fulgore, capace di condensare in una unica parola un più complesso concetto di mobilità, intercambiabilità, “fungibilità” come diremo in termini giuridici, ma anche velocità, praticità, ecc. Tutto messo insieme in quell’unico termine.
Pare che il padre di tale termine sia stato il filosofo Zygmunt Bauman che l’ha utilizzato quando ha coniato il termine “società liquida”, nel tentare di condensare in un termine la sua critica alla modernità, dove tutto si trasforma in merce, incluso l'essere umano con relazioni usa e getta.
Sempre qualche anno fa era sulla bocca di tutti il termine di “musica liquida” che andava a descrivere il fenomeno del passaggio dell’utilizzo, ascolto, della musica da supporti fissi (cassette e dischi prima, poi CD) al variegato mondo dell’ipod, musica in streaming, musica in file contenuti in chiavette USB.
Naturalmente si tratta di un fenomeno internazionale dove il termine “liquido” è la mera e letterale traduzione dell’inglese/americano “liquid” in entrambi i casi su indicati (liquid music, liquid society).
In quegli stessi anni la giurisprudenza coniava il principio di “ragione più liquida”.
Cos’è il principio della “Ragione più Liquida”, che cosa si intende?
Usando le parole di Corte di Cassazione civile n. 11356/2006: “In dottrina si sostiene che il giudicato implicito non possa venire a formarsi anche sulle questioni di cui il giudice non ha avuto bisogno di occuparsi per pervenire ad una pronunzia di rigetto (in giurisprudenza cfr. Cass., 30/3/2001, n. 4773), escludendosi, in applicazione del principio dogmatico della cd. ragione più liquida (in base al quale la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente già pronta, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre)”.
Principio fin da quegli anni accolto gradatamente in misura sempre maggiore, non solo nella giurisprudenza di merito, ma anche, e soprattutto in quella di legittimità, e non solo nei procedimenti civili ma anche nei processi penali.
Tant’é che non è affatto raro imbattersi, nelle motivazioni delle sentenze, in quella che potrebbe definirsi oramai “formula di stile” come, ad esempio: “In applicazione del criterio della ragione più liquida va esaminato senz'altro il terzo motivo d'impugnazione”. Ad abundantiam, citiamo un secondo inciso: “Deve essere esaminato per primo, ai sensi dell'art. 276, comma secondo, c.p.c., il terzo dei motivi di ricorso proposti da ..., perché idoneo a definire il giudizio, in virtù del c.d. principio della ‘ragione più liquida’ ”.
Infine un terzo: “in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" (che trova fondamento nella interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 276 c.p.c. in relazione alle disposizioni degli artt. 24 e 111 Cost., dovendo la tutela giurisdizionale risultare effettiva e spedita per le parti in giudizio), la causa può essere decisa con la pronuncia di inammissibilità dei motivi (per novità ed inconferenza rispetto alla ratio decidendi), in quanto questione di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente la questione pregiudiziale che rimane assorbita per difetto di interesse”.
Ragione più liquida e giudicato implicito
Era il 2014 quando le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Sentenza n. 26242/2014) in una lunga e particolareggiata motivazione si soffermava a ragionare, fra le altre cose, sui “LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO —L'ORDINE LOGICO DELLE QUESTIONI”, interessata ad approfondire il concetto di giudicato implicito.
La questione affrontata era: se una sentenza decide un caso accogliendo una delle motivazioni poste dalla parte a fondamento delle proprie pretese, tutte le altre motivazioni devono intendersi comunque decise e quindi non più discutibili (secondo il principio del ne bis in idem)?
In modo strettamente legato al principio “ragione più liquida”, dal lato pratico si è posta la questione se il giudice abbia, o meno, l’onere/obbligo di decidere ed affrontare tutte le motivazioni poste a base della domanda e se, volendo dare per assodato che il principio della ragione più liquida sia sempre applicabile, cosa ne sia delle parti di contenzioso non affrontate dalla decisione.
Potrà il magistrato chiudere il contenzioso scegliendo la più facile questione di merito (o processuale) capace di assorbire tutte le altre o quantomeno renderne inutile l’esame? E, in caso positivo, sulle questioni non espressamente decise si potrà formare il giudicato?
Le Sezioni Unite del 2014 ebbero modo di affermare che “Proprio la facoltà del giudicante di definire il processo celermente, sulla base della ragione più liquida (criterio di cui meglio si dirà in prosieguo) impedisce di affermare la perfetta sovrapponibilità dell'oggetto del processo all'oggetto del giudicato”. Per un approfondimento si rimanda alla sentenza.
Casi concreti di applicazione del principio
Nel caso pratico di SS.UU. del 2014 su citata, ci si chiedeva “se sia o meno possibile rimettere in discussione la validità di un contratto dopo che, in una precedente causa promossa per ottenerne la sua risoluzione (ma analogo quesito è da porsi per le ipotesi di annullamento e di rescissione), il giudice si sia comunque pronunciato nel merito, in assenza di qualsivoglia indagine su un'eventuale invalidità del contratto stesso, senza che la relativa sentenza sia successivamente impugnata”.
Potrà essere riproposta una domanda giudiziale?
Altro caso: “ … in ipotesi ad esempio di rigetto per prescrizione del diritto al pagamento del prezzo si formi giudicato sulla sussistenza e validità del rapporto di vendita, stante la mancanza in tal caso di alcuna statuizione esplicita od implicita al riguardo”.