Niente vaccino niente stipendio? Nota al provvedimento del Tribunale di Belluno

L’ordinanza di rigetto ex art. 700 del Tribunale di Belluno sulle ferie forzate degli infermieri e OS che hanno rifiutato il vaccino anti-covid pone più domande che soluzioni

Niente vaccino niente stipendio? Nota al provvedimento del Tribunale di Belluno

Niente vaccino niente stipendio”. Così è stata enfatizzata su tutti i grandi giornali 1 la notizia del deposito dell’Ordinanza, del Tribunale di Belluno, di rigetto di un ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da alcuni infermieri e operatori sanitari per essere riammessi sul posto di lavoro dopo essere stati posti in ferie forzatamente dall’Azienda per cui lavoravano.

Ma è veramente così ricostruibile la vicenda?

I dipendenti avevano scelto di non sottoporsi alla vaccinazione predisposta dal datore di lavoro assumendo e dichiarando che non esiste un obbligo di legge al trattamento sanitario, richiamando i principi costituzionali di libertà di scelta circa il sottoporsi o meno alla vaccinazione. L’Azienda, a seguito di tale scelta, aveva deciso di porre detto personale in ferie forzate. I dipendenti avevano chiesto al Giudice di essere reintegrati nel luogo di lavoro con ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

Il giudicante ha respinto il ricorso motivando, come richiesto dal codice di procedura, sulla sussistenza del periculum in mora e del fumus boni iuris. Si riporta l’art. 700 c.p.c. per completezza

Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti di urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.

Il contratto collettivo della sanità prevede che l’Azienda o Ente pianifica le ferie dei dipendenti al fine di garantire la fruizione delle stesse nel termini previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti, ed è pacifico che compete al datore di lavoro assegnare le ferie annuali ai propri dipendenti. Ed è altresì pacifico che trattasi di ferie retribuite.

Quindi, possiamo immaginare che l’azienda (dai media si evince fosse una casa di riposo) non sapendo come fare a risolvere il problema abbia deciso di adottare una soluzione temporanea con l’assegnare dette ferie nel tentativo di prendere tempo e capire come andasse gestito il rifiuto alla vaccinazione in relazione agli obblighi del datore di lavoro; per tutti il magistrato del ricorso ex art. 700 cpc richiama l’art. 2087 c.c., il quale, si afferma in ordinanza, impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti.

In proposito, per una più articolata disamina, vedasi l’intervento in questa Rivista “Vaccinazione anti-covid e rapporto di lavoro. Dato protetto da privacy secondo il Garante” nella parte riguardante l’art. 279 del D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro).

E’ peculiare che entrambi i riferimenti normativi, l’art. 279 T.U.S.L. e l’art. 2087 c.c. siano posti a tutela del lavoratore stesso, della propria incolumità fisica, ed entrambi vengano richiamati ed utilizzati in una antinomia applicativa che rischia di sconcertare.

Si, perché, il provvedimento di assegnazione delle ferie è stato creato ai fini della tutela proprio di quei lavoratori che rifiutavano la vaccinazione i quali, a loro volta, stavano rifiutando la vaccinazione con l’intenzione di tutelare la propria salute (sulla valutazione del bilanciamento dei rischi del vaccino – che è una cura genica e non un classico vaccino – rispetto ai vantaggi).

Lo conferma anche il magistrato di Belluno dove afferma che “il vaccino per cui è causa … costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia” e poi ancora “ è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati”.

Quindi, semplifichiamo, i dipendenti che avevano rifiutato il vaccino sono stati posti in ferie per il loro bene. Ma questi dipendenti pensano che il vaccino sia piuttosto un rischio e che il loro bene sia evitare il vaccino.

Questo contrasto di vedute è l’argomento base dell’odierna discussione sull’obbligo vaccinale.

A parere dello scrivente il provvedimento proveniente da Belluno non costituisce una pietra miliare da cui prendere spunto per la soluzione di tale contrasto, visto che il magistrato ha ben visto di liquidare in poche righe la questione concreta che gli era stata sottoposta senza allargarsi oltre.

Giustamente il dipendente non poteva dolersi di essere stato posto in ferie visto che è un potere che compete al datore di lavoro. Punto.

 

Due i rilievi critici.

Primariamente possiamo affermare che non arriva da questa Ordinanza alcuna soluzione univoca alla questione assai dibattuta sul potere di licenziamento, demansionamento, sospensione legati al rifiuto della somministrazione della cura; ma è chiaro che per questo dovremo attendere i primi provvedimenti della Corte di Cassazione.

In secondo luogo possiamo affermare che il provvedimento di rigetto de qua cita argomenti assai rilevanti motivando solamente con ripetuti riferimenti al fatto notorio.

 

Il fatto notorio scientifico

Può esservi un riferimento alla comune esperienza in questioni scientificamente dibattute e nuove?

L’art. 115 c.p.c. dispone, al secondo comma, che “Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.

Fatto notorio, quindi, è la comune esperienza, l’esperienza fatta da ognuno dei partecipanti alla comunità, o perlomeno la stragrande maggioranza.

Il magistrato di Belluno avrebbe potuto evitare prese di posizione sul caso visto che sarebbe bastato richiamare, come sopra abbiamo visto, il diritto del datore di lavoro ad assegnare le ferie.

Invece sceglie di motivare attraverso una serie di sussunzioni di notorietà.

Secondo la Corte di Cassazione (25567/2017) si intende fatto di comune esperienza ai sensi dell’art. 115 c.p.c. il “fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura”, e ancora il fatto notorio è “ ... da intendere come fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo”.

Quando il magistrato afferma che “ è ormai notoria l’efficacia del vaccino” o che “notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus , fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui” dovrebbe dire che è notorio è che questo è quanto è affermato in TV e sui giornali perché il dato scientifico direbbe quanto alla prima “notorietà” che il vaccino è posto in commercio con modalità condizionata (come spiegato dall’istituto superiore della sanità), visto che solitamente “ lo sviluppo di un vaccino è un processo lungo, che necessita dai sette ai dieci anni, durante i quali le ricerche vengono condotte a tappe successive che includono i test di qualità, la sperimentazione preclinica e le fasi della sperimentazione clinica nell’uomo”, come afferma, ancora, l’ISS 2, e quanto alla seconda “notorietà” altri paesi che praticamente non hanno vaccinato nessuno hanno ugualmente cali significativi nei contagi e decessi, come l’India 3.

Senza contare l’attuale contesa circa il concetto di scientificità, sulla quale mi sono soffermato nell’articolo “La crisi del metodo scientifico influisce anche sull’attività giudiziaria. La figura del CTU”.

Quindi, per concludere, in campi minati come quello attualmente oggetto di discussione è quantomai opportuno procedere con piedi di piombo ed evitare di farsi trascinare dallo spirito di tifoseria, quanto mai inopportuno trattandosi del delicato diritto alla salute.

 

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Di seguito il testo dell'Ordinanza Tribunale di Belluno del 19/03/2021

TRIBUNALE DI BELLUNO
n. 12/2021 R.G.

Il Giudice

sciogliendo la riserva assunta con verbale di trattazione scritta in data 16.3.21;

ritenuto che risulta difettare il fumus boni iuris, disponendo l’art. 2087 c.c. che “ L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro “;

ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS -CoV-2, essendo notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui;

rilevato che è incontestato che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro;

ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione;

ritenuto che la permanenza    dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa - notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione - costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia;

ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro “Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro “; che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c.;

ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento;

ritenuto che, attesa l’assenza di specifici precedenti giurisprudenziali, sussistono le condizioni di cui all’art. 92 co. II c.p.c. per compensare le spese processuali.

P.Q.M.

visto l’art. 700 c.p.c.;
1. rigetta il ricorso;
2. compensa le spese processuali.
Belluno, 19/03/2021
Il Giudice
Dott.ssa Anna Travìa

 

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